CONTATORE PERSONE

21/08/12

La donna si protegge dall’ictus con frutta e verdura


 

Una dieta ricca di frutta e verdura, con un buon apporto di antiossidanti, riduce il rischio di ictus nelle donne, anche se vi è una storia di malattie cardiovascolari

Frutta e verdura fanno bene alla donna non solo in linea generale, ma la proteggono anche dal rischio di ictus – e questo indipendentemente che possa avere una storia di precedenti malattie cardiocircolatorie. Ecco quanto afferma un nuovo studio svedese, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of the American Heart Association.

Il merito è degli antiossidanti contenuti nei vegetali che combattono lo stress ossidativo. Questo processo avviene quando vi è uno squilibrio tra la produzione di radicali liberi che danneggiano le cellule e la capacità del corpo di neutralizzarli.
La conseguenza è un’infiammazione generalizzata o localizzata. Questa situazione è stata accusata di essere la causa di molte malattie, anche gravi. Ma, come detto, in questi casi possono arrivare in soccorso gli antiossidanti, contenuti in buona quantità in frutta e verdura. Tra questi, possiamo citare i flavonoidi, i carotenoidi, le vitamine come la C e la E.

Contro lo stress ossidativo e l’infiammazione, poi, pare svolgano un ruolo di primo piano proprio i flavonoidi che contribuiscono a migliorare la funzione endoteliale – in parole semplici l’equilibrio e la corretta funzione vascolare – e diminuiscono la pressione sanguigna, l’infiammazione e la coagulazione.
Ecco dunque l’importanza di assumere alimenti ricchi di antiossidanti.
«Mangiare alimenti ricchi di antiossidanti può ridurre il rischio di ictus inibendo lo stress ossidativo e l’infiammazione», spiega la dottoressa Susanne Rautiainen autore principale dello studio – Ciò significa che le persone dovrebbero mangiare più alimenti come frutta e verdura che contribuiscono alla capacità antiossidante globale».

I ricercatori del famoso Karolinska Institutet (Svezia) hanno condotto il loro studio basandosi sulloSwedish Mammography Cohort che ha coinvolto 36.715 donne, di cui 31.035 esenti da malattie cardiovascolari e 5.680 con una storia di malattia cardiaca alle spalle. Le donne partecipanti allo studio avevano un’età compresa tra i 49 e gli 83 anni.
Gli autori dello studio hanno poi seguito per circa 11 anni e mezzo le donne senza storia di malattie cardiache e 9 anni e mezzo le donne con storia di malattia. Il periodo di follow-up è durato dal settembre 1997, fino alla data del primo ictus o morte, al 31 dicembre 2009, a seconda di quale evento si è verificato prima.

Dai dati raccolti si è scoperto che durante questo lasso di tempo vi erano stati 1.322 ictus tra le donne senza storia di malattia cardiovascolare e 1.007 ictus tra le donne con una storia di malattie cardiovascolari. Le valutazioni, durante il periodo di osservazione, sono state fatte utilizzando un questionario circa la dieta seguita dalle donne partecipanti, un database standard atto a determinare la capacità antiossidante totale (CAT) delle partecipanti.
I risultati hanno mostrato come la capacità antiossidante totale fosse inversamente proporzionale al rischio di ictus: maggiore era la CAT, minore era il rischio.

«In questo studio, abbiamo preso in considerazione tutti gli antiossidanti presenti nel la dieta, tra cui migliaia di composti, in dosi ottenute da una dieta normale – sottolinea Rautiainen – Le donne con un alto apporto di antiossidanti possono essere più attente alla salute e hanno un tipo di comportamenti sani che possono aver influenzato i nostri risultati».
«Tuttavia, l’associazione inversa osservata tra la CAT della dieta e l’ictus ha perdurato anche dopo gli aggiustamenti per i potenziali fattori  confondenti legati al comportamento sano come il fumo, l’attività fisica e l’educazione», conclude la scienziata.
Mangiare frutta e verdura, e fare il pieno di antiossidanti, non può che fare bene insomma.
[lm&sdp]


Combattere lo stress ossidativo con gli antiossidanti del Kiwi


 

Il frutto di origini cinesi, a seguito di uno studio, è risultato tra i frutti più ricchi di sostanze antiossidanti e benefiche

Certo, la mela è la mela, e fa sempre bene. Ma alla lista dei frutti che possono togliere il medico di torno, possiamo aggiungervi il kiwi. Il tradizionale frutto neozelandese - ma di origini cinesi - , che è ormai di casa anche qui nel nostro Paese.

È una vera e propria miniera di sostanze benefiche, il kiwi. Già noto per il suo alto contenuto di vitamina C ora, grazie a un nuovo studio giapponese, sappiamo che uno tra i frutti più ricchi di polifenoli. Queste sostanze ci proteggono dallo stress ossidativo, ritenuto tra i fautori dell’invecchiamento, l’indebolimento del sistema immunitario e l’aumento dell’infiammazione del corpo. Tutti questi problemi possono, tra gli altri, portare la morte cellulare e l’insorgere di malattie gravi come il cancro, neoplasie, aterosclerosi, insufficienza cardiaca, malattia di Alzheimer e di Parkinson.

Il kiwi, quindi, sarebbe in grado di stimolare il sistema immunitario e proteggere l’organismo da questo stress meglio che i più noti pompelmi e arance. Ecco quanto affermano i ricercatori della Teikyo University di Tokyo, sulle pagine del Biological And Pharmaceutical Bulletin su cui è stato pubblicato lo studio.

I risultati dello studio, che ha valutato e preso in considerazione diverse qualità di kiwi, mostrano che quella più ricca di polifenoli, le sostanze antiossidanti, sarebbe la qualità “Gold”, a cui segue la varietà “verde”.

«Abbiamo dimostrato che il kiwi ha forti effetti antiossidanti e, in particolare, è in grado di inibire l’ossidazione precoce dei lipidi e di impedire lo sviluppo e il deterioramento delle malattie causate dallo stress ossidativo», concludono i ricercatori.
Via libera al kiwi sulle nostre tavole quindi, senza però dimenticare che anche tutta l’altra frutta fa bene, specialmente se di stagione.
[lm&sdp]

Il Parkinson si previene con cibi giusti


 

I frutti di bosco contengono molti flavonoidi che possono proteggere da molte malattie, compresa quella di Parkinson, suggerisce un nuovo studio

Una dieta ricca di cibi contenenti flavonoidi è in grado di promuovere il benessere e proteggere dalla malattia di Parkinson. Lo studio

Un nuovo studio pubblicato su Neurologysuggerisce che una dieta ricca di cibi come i frutti di bosco, mele, uva, tè e altri ricchi di sostanze antiossidanti, oltre a promuovere la salute generale e proteggere da diverse patologie, possa ridurre significativamente il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson – una condizione neurologica in grado di ridurre di molto la qualità della vita.

Per questo studio, un team di ricercatori delle università di Harward ed East Anglia (UEA) hanno coinvolto circa 130mila uomini e donne, che sono stati seguiti per 20 anni analizzando lo stile di vita e le abitudini alimentari.
Durante questo lasso di tempo, 800 soggetti hanno sviluppato la malattia di Parkinson e i ricercatori hanno così avuto modo di valutare quali fossero gli effetti sulla salute e il rischio d’insorgenza della malattia da parte del tipo di alimenti che i partecipanti assumevano.

I risultati hanno confermato il crescente corpo di evidenze che vede nei flavonoidi un tipo di sostanza in grado di offrire protezione su tutta una vasta gamma di patologie. Tra queste, ricordiamo le malattie dell’apparato cardiocircolatorio, l’ipertensione, la demenza e anche alcuni tipi di cancro.
A fronte di queste evidenze, il dottor Xiang Gao della Harvard School of Public Health insieme al professor Aedin Cassidy del Dipartimento di Nutrizione della Norwich Medical School UEA, hanno scoperto che gli uomini che assumevano il maggior numero di flavonoidi e antocianine avevano il 40 percento in meno di rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.
Nelle donne non si sono mostrate particolari evidenze in base al consumo più o meno marcato di queste sostanze.

«Questi entusiasmanti risultati sono un’ulteriore conferma che il consumo regolare di flavonoidi può avere potenziali benefici per la salute – ha commentato Cassidy nel comunicato UEA – Questo è il primo studio sugli esseri umani a esaminare le associazioni tra la gamma di flavonoidi nella dieta e il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, e i nostri risultati suggeriscono che una sottoclasse di flavonoidi chiamati antocianine possono avere effetti neuroprotettivi».
Flavonoidi e antociani sono sostanze naturalmente presenti in molti ortaggi e frutti – in particolare quelli di bosco come fragole, ribes, mirtilli, more, lamponi.

«È interessante osservare che antociani e frutti di bosco, ricchi di antociani, dal raggruppamento delle analisi sembrano essere associati a un minor rischio di malattia di Parkinson. I partecipanti che consumavano una o più porzioni di frutta a bacca ogni settimana hanno avuto circa il 25 percento meno probabilità di sviluppare il Parkinson, rispetto a coloro che non mangiano frutti di bosco – fa notare il dottor Gao – Tenuto conto di altri potenziali effetti per la salute dei frutti a bacca, come per esempio la riduzione del rischio di ipertensione come riportato nei nostri precedenti studi, è bene aggiungere regolarmente questi frutti alla propria dieta».
Ecco dunque l’ennesimo motivo in più per favorire il consumo di verdura e frutta che contenga queste preziose sostanze che fanno dei cibi una vera e propria medicina.
[lm&sdp]

info di:
http://www3.lastampa.it/benessere/sezioni/alimentazione/articolo/lstp/449240/

Ipertensione, combattila con una mela


 

nella buccia della mela ci sono molte sostanze benefiche

Fino a sei volte più antiossidanti per combattere pressione alta, colesterolo e ipertensione. Questi però sono contenuti soltanto nella buccia

Una mela al giorno toglie sempre e ancora il medico di torno, recita ormai il solito vecchio detto. E, quanto pare, il caro biblico frutto, è ancora tenuto in gran considerazione da medici e scienziati. I suoi antiossidanti sembrano essere particolarmente utili anche per prevenire disturbi dell’apparato cardiocircolatorio. Il suo segreto, tuttavia, non è racchiuso totalmente nell’interno del frutto, bensì nella buccia che, secondo alcuni ricercatori, diviene un’importante strumento per l’ipertensione arteriosa.

E non si può certo dire che le sue virtù passino inosservate, visto che studi recenti hanno scoperto che è addirittura più “potente” del tè verde e dei mirtilli.
L’unico problema in cui si potrebbe incappare è se si considera che proprio la buccia, ovvero la parte più importante del frutto, spesso contiene dosi elevate di pesticidi che potrebbero causare problemi di salute anziché promuoverla.
Secondo quanto riferito dal Telegraph, le mele, da tempo, sono una rinomata fonte di antiossidanti e flavonoidi, ossia delle sostanze amiche per cuore e apparato cardiocircolatorio.
Per arrivare a queste conclusioni gli scienziati hanno testato separatamente la buccia dal frutto su un campione di enzima denominato ACE. Tale enzima da tempo è noto proprio per i suoi effetti negativi sull’apparato cardiocircolatorio: può causare la pressione alta.

Secondo i risultati pubblicati nella nota rivista Food Chemistry, la buccia ha dimostrato di essere almeno sei volte più efficace del frutto carnoso.
«Le mele sono uno dei frutti più popolari e spesso vengono consumati in tutto il mondo», spiegano i ricercatori del Nova Scotia Agricultural College.
«La buccia della mela è un fonte ricchissima di flavonoidi in grado di fornire benefici per la salute. I flavonoidi della buccia inibiscono, infatti, l’ACE, un enzima associato all’ipertensione».
Buone news, quindi, dal fronte “prevenzione naturale”. Ora non ci aspetta che attendere anche ulteriori ricerche sull’eventuale danno causato dai prodotti chimici utilizzati per “abbellire” le mele. Se i risultati fossero negativi potremmo davvero continuare a sostenere che “una mela al giorno toglie il medico di torno”.
[lm&sdp]

info di:
http://www3.lastampa.it/benessere/sezioni/alimentazione/articolo/lstp/466023/ 

Con la “fettina” si rischia il cancro alla prostata


 

La carne cotta in padella pare possa aumentare il rischio di cancro alla prostata

Secondo un nuovo studio la carne rossa fritta in padella può aumentare del 40% il rischio di sviluppare il cancro della prostata

Lo cosiddetta “fettina” in padella pare possa far aumentare di ben il 40% il rischio d’insorgenza del temuto cancro della prostata. A essere sotto accusa in questo caso è il tipo di cottura che, esponendo repentinamente la carne alle alte temperature, favorisce la formazione di noti agenti cancerogeni.

A lanciare l’allarme fettina sono stati i ricercatori dell’University of Southern California (USC) e del Cancer Prevention Institute della California (CPIC) con il loro studio pubblicato sulla versione online della rivista Carcinogenesis.
La dottoressa Mariana Stern, professore associato di medicina preventiva presso la Keck School of Medicine della USC, e colleghi hanno valutato gli effetti della cottura sulla carne bianca e sulla carne rossa, confrontando questi con la predisposizione genetica, e il rischio di cancro della prostata.

Per far ciò, gli scienziati hanno esaminato i dati raccolti dal “California Collaborative Prostate Cancer Study”. Da questi hanno raccolto quelli inerenti a circa 2.000 uomini, che sono poi stati invitati a compilare un questionario incentrato sull’alimentazione e la dieta seguita. Le domande comprendevano anche quale tipo di carne consumavano, il tipo di cottura eccetera.
Dei partecipanti, oltre 1.000 hanno ricevuto una diagnosi di tumore avanzato della prostata. 
«Abbiamo scoperto che gli uomini che mangiavano più di 1,5 porzioni a settimana di carne rossa fritta in padella hanno aumentato il rischio di cancro della prostata avanzato del 30 percento – spiega Stern nella nota USC – Inoltre, gli uomini che mangiavano più di 2,5 porzioni di carne rossa cotta ad alte temperature avevano il 40 percento più probabilità di essere affetti da cancro avanzato della prostata».

I ricercatori hanno altresì notato una differenza nel rischio tra il consumo di carne rossa e pollame: nel caso del pollame in genere il rischio era ridotto, tuttavia aumentava quando anche questo tipo di carne era cotta in padella o fritta – in sostanza, esposta rapidamente ad alte temperature. L’esposizione rapida alle alte temperature sia esterne che interne, poi, ha un effetto cancerogeno anche e soprattutto nel caso di hamburger, sottolineano i ricercatori.
Questi risultati vanno a sommarsi a quelli di un precedente studio della dottoressa Stern che suggeriva come anche il pesce sottoposto ad alte temperature – del tipo cotto in padella – facesse aumentare il rischio di cancro alla prostata. Come detto, il sospetto dei ricercatori è che con certi tipi di cottura si sviluppino delle sostanze chimiche cancerogene: in questo caso sono note quelle che si formano quando per esempio si cuoce la carne alla brace, che viene tuttavia abbrustolita dalle fiamme.

«Le osservazioni fatte solo con questo studio non sono abbastanza per fare tutte le necessarie raccomandazioni di salute – fa notare Stern – ma visti i pochi e noti fattori di rischio per il cancro alla prostata modificabili, la comprensione dei fattori dietetici e dei metodi di cottura sono di grande rilevanza per la sanità pubblica».
[lm&sdp]


 http://www3.lastampa.it/benessere/sezioni/alimentazione/articolo/lstp/465940/


20/08/12

Cuscino Cervicale Consigliato

 

Cuscino Cervicale Consigliato CLIKKA O COPIATI  QS LINC GIALLO PER LEGGETE TUTTO
CRC: Cuscino di reclinazione cervicale

CUSCINO CONSIGLIATO PER PAZIENTI CON SINDROME D'ARNOLD CHIARI I E/O OPERATI di COLONNA CERVICALE
Durante migliaia di anni l'essere umano ha cercato l'appoggio delle braccia per riposare la testa durante il sonno. Negli ultimi 2000 anni si è cercato di trovare il massimo confort della regione cranio-cervicale quando ci si sdraia. Gli antichi Egizi inventarono un supporto fisso per appoggiare la testa nel riposo da sdraiati supini nei letti diurni. Gli antichi Romani e Greci lo fecero con cuscini cilindrici o cuscinetti come il "cervicale" nei "triclinium" o unioni di tre letti accanto ad una tavola. Attualmente i cuscini per il riposo notturno sono scelti dal gestore d'hotel, dall'amministratore di una residenza o dall'utente in particolare, senza altri parametri al di fuori del loro giudizio. I materiali e le forme sono varie e rispettano in generale un modello cilindrico che seguono come unico criterio quello della longitudine. Considerato che fino ad ora nessun professionista ha realizzato un serio studio di un qualcosa così utilizzato come il cuscino, che ci accompagna per un terzo della nostra vita, alcune persone preferiscono dormire senza cuscino, altre per dormire su di un fianco hanno bisogno di piegarlo su se stesso, altre più numerose si rassegnano a dormire sul cuscino che gli è stato assegnato, così com'è. ..............
 www.institutchiaribcn.com/index.php?arxiu=fitxa_document&idioma=6&id=14525

La siringomielia

La siringomielia (nota in passato come malattia di Morvan) consiste nella formazione anomala di una o più cisti o cavità all'interno del midollo spinale. Questa cavità viene chiamata "siringa". La siringa dilata il midollo stirando i tessuti nervosi.
La gravità della malattia dipende da quanto essa è allungata e può provocare la perdita della sensibilità motoria degli arti, disturbi nella deglutizione e più in generale nella contrazione muscolare. La malattia può portare inoltre dolore, indolenzimento nella zona colpita, ma anche in braccia e gambe. Ogni paziente sperimenta una diversa combinazione di sintomi con un quadro clinico estremamente variegato, dipendente dalla sede della siringa nel midollo spinale.
La siringomielia ha una prevalenza stimata di 8.4 casi ogni 100000 persone, e si manifesta generalmente nei giovani adulti. La progressione della malattia è generalmente lenta.
Il liquido cefalorachidiano in condizioni normali scorre nello spazio subaracnoideo che avvolge il midollo spinale e l'encefalo, e nel sistema dei ventricoli cerebrali, dei quali il canale midollare rappresenta il prosieguo caudale. Il liquido cefalo-rachidiano veicola sostanze nutrienti e prodotti di scarto. Il liquido cefalorachidiano serve anche con sistema di ammortizzazione per l'encefalo. Un eccesso di liquido cefalo-rachidiano nel canale midollare prende il nome di idromielia. Quando il liquido determina una dissezione della circostante sostanza bianca e penetra nel midollo spinale formando una cavità cistica allora si parla di siringomielia. Dal momento che le due condizioni spesso coesistono si parla spesso di siringoidromielia.
Il flusso pulsatile del liquido cefalo-rachidiano è il risultato della differenza di fase fra il flusso in ingresso ed il flusso in uscita dai ventricoli cerebrali. Per ogni ciclo cardiaco mediamente in un individuo normale 1 cc di liquido cefalo-rachidiano viene escreto nei ventricoli cerebrali e da qui fluisce nel canale midollare.
È stato osservato che l'ostruzione del flusso del liquido cefalo-rachidiano nel canale midollare determina la formazione di siringhe. Questo si verifica ad esempio in caso di malformazione di Chiari, aracnoidite midollare, scoliosi, disallineamento delle vertebre, neoplasie midollari, spina bifida ed altro.

Generalmente, si distinguono due forme di siringomielia: congenita ed acquisita. Peraltro, una variante della malattia coinvolge il bulbo o midollo allungato, una parte del tronco encefalico. Il tronco encefalico controlla molte delle funzioni vitali, come la respirazione e la termoregolazione e presiede alla regolazione dell'attività cardiaca. Quando la malattia interessa il bulbo si parla di siringobulbia.

La forma più diffusa è dipendente dalla cosiddetta malformazione di Chiari, dal nome del medico che per primo la studiò. Per una malformazione ossea, la fossa cranica posteriore è di dimensioni troppo piccole e il cervelletto, il tronco encefalico ed i nervi cranici in essa contenuti con lo sviluppo presentano una dislocazione verso l'alto e/o verso il basso, determinando una compressione sugli altri tessuti ed ostacolando il flusso del liquido cefalo-rachidiano. In questa forma i sintomi si manifestano solitamente fra i 25 ed i 40 anni. Alcuni pazienti soffrono anche di idrocefalo, condizione nella quale il liquido cefalo-rachidiano si accumula nel sistema dei ventricoli cerebrali, o di aracnoidite.
Rari casi di questo tipo di siringomielia sono familiari

Le forme acquisite di siringomielia come complicanza di trauma, meningite, emorragie, neoplasie. In queste circostanze la siringa si forma nella porzione di midollo spinale danneggiato dal primo insulto. In seguito la cisti si espande. Questa forma viene talvolta definita siringomielia non comunicante. I sintomi si manifestano mesi o anni dopo l'insulto primitivo.


Il sintomo iniziale più importante della siringomielia post-traumatica è il dolore . Una delle cause tipiche di siringomielia post-traumatica è un incidente stradale o un simile trauma che determinano un colpo di frusta.

La siringomielia causa un'ampia varietà di sintomi neurologici. I pazienti possono soffrire di dolore cronico, parestesie e perdita di sensibilità, in particolar modo alle mani. Alcuni pazienti sperimentano una paralisi oppure una paresi temporanea o permanente. La siringomielia può danneggiare anche la funzione del sistema nervoso autonomo conducendo ad un'alterata regolazione della temperatura corporea, della sudorazione, e della motilità intestinale. In caso di siringobulbia si possono osservare paralisi delle corde vocali, atrofia ipsilaterale della lingua, nevralgia trigeminale o perdita di sensibilità nel territorio di innervazione del nervo trigemino. Rarely, bladder stones can occur in the onset of weakness in the lower extremities. Classicamente, la siringomielia risparmia il lemnisco mediale del midollo, lasciando intatte la sensibilità pressoria, vibratoria e tattile e la propriocezione degli arti superiori.






I sintomi della siringomielia sono comuni a diverse altre malattie, il che portava a tempi lunghi per formulare una corretta diagnosi. Con l'uso della risonanza magnetica si riesce ora ad individuare precocemente la siringomielia, diagnosticandola già nello stadio iniziale. Questa metodica è in grado di dimostrare la presenza delle siringhe.
L'intervento chirurgico, effettuato esclusivamente da un neurochirurgo, consente di drenare la siringa, abbassando la pressione sul midollo spinale, mediante il posizionamento di shunt fra la siringa ed il canale midollare. La procedura non è esente da rischi per danni in acuto sul midollo spinale o di infezioni.
In caso di malformazione di Chiari, la terapia è diretta alla correzione chirurgica delle ossa della fossa cranica posteriore così come in occasione di siringomielia conseguente a traumi o neoplasie l'intervento deve mirare a correggere l'eventuale anomalia anatomica residua o all'asportazione della neoplasia.
In casi "stazionari", in cui la malattia non progredisce si può optare per una terapia di controllo del dolore, tramite oppiacei più o meno forti, farmaci specifici per il dolore neuropatico come gabapentin oppure pregabalin e paracetamolo.


Cos'è la siringomielia?

Dr. Assunta Gennarelli
Risponde: Dr. Assunta Gennarelli
E' una malattia dolorosa che può svilupparsi nel primo periodo successivo alla lesione midollare. La siringomielia è causata dalla formazione di un ampio spazio colmo di fluido (o da una cavità) chiamata fistola, all’interno del midollo spinale. Questo può accadere in seguito alla lesione midollare quando tante piccole intercapedini piene di fluido, che si formano attorno alla zona della lesione, si fondono per formare uno spazio più grande. Questa intercapedine piena di fluido si espande attorno al midollo spinale causando un danno ai nervi circostanti e coinvolge il controllo dei muscoli ed i sensori che rilevano il calore ed il dolore.

la sindrome di Arnold-Chiari


La sindrome di Arnold-Chiari, così chiamata in onore di Julius Arnold e Hans Chiari, i due medici che la descrissero, è un insieme di segni e sintomi associato a una rara malformazione della fossa cranica posteriore che normalmente contiene il tronco encefalico e il cervelletto. Se questa è poco sviluppata, le strutture encefaliche erniano (cioè escono dalla loro sede naturale) attraverso il forame magno (apertura alla base del cranio) ed entrano nel canale spinale. La malformazione di Arnold-Chiari può essere associata ad altre condizioni patologiche, quali il mielo-meningocele, la siringomielia, la spina bifida e l’idrocefalo. Si distinguono due tipi principali di malformazione di Arnold-Chiari, con diversa eziologia, età di comparsa e gravità: il tipo I ed il tipo II; esistono anche il tipo III e IV, ma sono molto gravi e per lo più incompatibili con il proseguimento della vita.
Nel tipo I erniano le tonsille cerebellari, che, poste al di sotto degli emisferi cerebellari si dislocano nella parte superiore del canale cervicale e possono spingersi fino a livello della I (atlante) o della II vertebra cervicale (epistrofeo). Solitamente si manifesta nel giovane adulto. In una quota variabile tra il 20 e l'85% dei casi è associata a siringomielia e ad anomalie ossee della base cranica.
Nel tipo II (malformazione di Arnold-Chiari propriamente detta) sono dislocati nel canale cervicale anche il verme e la parte inferiore degli emisferi cerebellari e il bulbo e si ha l'allugamento del IV ventricolo. Di solito si presenta già alla nascita, ed è associato alla spina bifida. Il tipo II è più grave e il trattamento è più difficile.
Nel tipo III si ha un vero e proprio encefalocele, cioè l'erniazione dell'encefalo e delle meningi, con gravi conseguenze sullo sviluppo del sistema nervoso.
Nel tipo IV si ha il mancato sviluppo delle strutture encefaliche.
La malformazione può essere asintomatica e può essere scoperta casualmente in corso di esami radiologici o per altri motivi. La sindrome di Arnold-Chiari è caratterizzata da segni e sintomi neurologici correlati e conseguenti alla sofferenza cerebellare (sindrome cerebellare), quali atassia, vertigini e nistagmo, all'alterazione della circolazione del liquor cefalo-rachidiano con aumento della pressione endocranica, quali la cefalea e la rigidità nucale, a fenomeni di compressione sulle strutture del tronco cerebrale e sui centri neurovegetativi, quali apnee notturne e aritmie cardiache, all'interessamento di nervi cranici, quali disfagia, disfonia, paresi della muscolatura estrinseca oculare, ipoacusia, a fenomeni di compressione sul midollo spinale, quali senso di debolezza muscolare (paresi), anestesia, disturbi del tono muscolare (spasticità), perdita della motilità fine, disfunzioni sfinteriche.
Nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta in modo lento e progressivo. Nel 10% dei pazienti la sindrome compare improvvisamente. Il sintomo più comune è la cefalea suboccipitale che tende ad aumentare con l’esercizio fisico, con la tosse e con le variazioni di postura. Sono riferiti anche disturbi visivi, senso di pressione retroorbitaria, offuscamento della visuale, fotofobia, diplopia; oppure neuro-otologici, vertigini, alterazioni dell’equilibrio, tinnito, ipoacusia.
Nel tipo II la maggior parte dei pazienti sono bambini piccoli e la sindrome si manifesta in modo grave dopo la nascita, con deficit degli ultimi nervi cranici, turbe della deglutizione, stridore laringeo da paralisi delle corde vocali, disturbi cerebellari (opistotono, nistagmo, atassia), episodi di apnea da sofferenza del tronco encefalico. Successivamente si sovrappone una sindrome da ipertensione endocranica causata all´idrocefalo per compressione del IV ventricolo e delle vie liquorali.
La metodica d'eccellenza per lo studio della malformazione è la risonanza magnetica, che mostra con precisone la presenza e l'entità della dislocazione delle strutture della fossa cranica posteriore e l’eventuale idrocefalo associato. La tomografia computerizzata è più adatta allo studio delle malformazioni ossee associate.

La terapia, nei casi sintomatici è neurochirurgica, con decompressione suboccipitale, per aumentare lo spazio della fossa cranica posteriore, per decomprimere le strutture encefaliche che vi sono contenute e per normalizzare la circolazione del liquor cefalo-rachidiano. La sindrome di Arnold-Chiari può essere causa di grande invalidità per il paziente che può essere evitata con una diagnosi e un intervento precoce

http://www.aismac.org/


16/08/12

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Dalle ore 8.00 alle ore 19.00 il Sabato
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Ad eccezione della radiologia tradizionale, gli esami diagnostici si effettuano solo su appuntamento.
E' possibile effettuare la prenotazione recandosi presso gli sportelli dell'accettazione;
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070 65 70 00 - 070 65 67 82

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Sclerosi Multipla: a Siena esperti mondiali a confronto sul Metodo Zamboni

Sclerosi Multipla: a Siena esperti mondiali a confronto sul Metodo Zamboni

il dibattito scientifico tra gli esperti vascolari sul trattamento dell'insufficienza venosa cronica cerebro spinale (CCSVI) è ormai al centro dei principali congressi e convegni nonostante continui l'opposizione preconcetta e per certi versi ideologica da parte di alcuni neurologi, poco aperti a nuove teorie nella SM (soprattutto se non legate al concetto autoimmune della malattia da loro imparato sui banchi dell'Università), che purtroppo tanto ricordano l'atteggiamento che subì il famoso medico ungherese Ignác Semmelweis, per via della sua rivoluzionaria intuizione.





Fonte
:
http://adriatic-vascular-summit.org/docs/ETI-AVS%202012%20-%20Scientific%20Program%20as%20of%20August%2014%202012.pdf

la mia liberazione- 13/1/2011 sam

RIS e CIS


SCLEROSI M. E LA RICADUTA


SM PR