La fibrillazione atriale e’ un’aritmia cardiaca caratterizzata da una
completa irregolarita’ dell’attivazione elettrica degli atri, due
delle quattro camere cardiache. In presenza di tale anomalia, le
normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici,
completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. Inoltre
il battito cardiaco diviene completamente irregolare.
La fibrillazione atriale e’ la piu’ comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0.5% nella popolazione adulta.
Il rischio di esserne affetti aumenta con l’eta’: la percentuale
dei pazienti affetti sale al 5% oltre i 65 anni. Tale aritmia e’ poi
piuttosto comune nei pazienti con altre patologie cardiocircolatorie,
come l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, ma soprattutto
le malattie valvolari: fra il 30 e l’80% dei pazienti operati per
malattia della valvola mitrale giungono all’intervento in
fibrillazione atriale.
La fibrillazione atriale puo’ essere cronica, ovvero continua,
persistente oppure parossistica, con episodi di durata variabile da
pochi secondi ad alcune ore o giorni.
Essa e’ causa di un significativo aumento del rischio di
complicazioni cardiovascolari e di una riduzione della sopravvivenza a
distanza.
Provoca inoltre una riduzione della tolleranza agli sforzi,
causata da un’efficienza subottimale della contrazione del cuore, con
sintomi quali palpitazioni, affaticamento e mancanza di fiato.
Infine, il ristagno di sangue nelle camere atriali “paralizzate”
dall’aritmia, favorisce la formazione di coaguli all’interno del cuore
ed il rischio di fenomeni embolici come l’ictus cerebrale. Per questo
motivo i pazienti con fibrillazione atriale vengono solitamente
trattati con farmaci anticoagulanti.
Per quanto riguarda il trattamento, vi sono due possibili
strategie: 1) la cardioversione, o conversione al ritmo cardiaco
normale ed
2) il semplice controllo della frequenza cardiaca. Solo la
conversione ed il mantenimento di un ritmo normale, anche detto
“sinusale”, permettono pero’ di minimizzare i sintomi ed i rischi
descritti, oltre a consentire l’interruzione della terapia cronica
con farmaci anticoagulanti.
Il mantenimento del ritmo sinusale e’ pero’ molto spesso difficile.
I farmaci antiaritmici deputati a tale scopo sono frequentemente
inefficaci e sono spesso causa di effetti collaterali anche piu’
gravi della stessa fibrillazione atriale.
Recenti sviluppi hanno consentito di trattare la fibrillazione atriale mediante ablazione con radiofrequenza.
Si sono infatti individuate nell’ambito della parete atriale
delle zone responsabili dell’inizio e del mantenimento dell’aritmia,
in prossimità dello sbocco negli atri delle grosse vene provenienti
dai polmoni. Creando delle bruciature con cateteri a radiofrequenza,
tali aree di instabilità possono essere neutralizzate.
Con procedure di questo tipo e’ possibile trattare virtualmente
ogni paziente affetto da fibrillazione atriale con ottime
probabilita’ di successo.
Nel campo del trattamento non farmacologico della fibrillazione
atriale, il nostro Centro e’ un punto di riferimento a livello
nazionale ed internazionale.
In caso di fibrillazione atriale associata ad una malattia
cardiaca di altro tipo si procede ad ablazione dell’aritmia durante
l’intervento cardiochirurgico necessario per corregere la cardiopatia
di base. In questo modo, oltre ai benefici dell’intervento correttivo
a cuore aperto, il paziente potra’ giovarsi anche del recupero del
normale ritmo cardiaco e potra’ in molti casi evitare la terapia
anticoagulante cronica.
Nel caso in cui invece la fibrillazione atriale sia isolata, non
associata ad altre malattie cardiache suscettibili di correzione
chirurgica, sono state recentemente messe a punto delle tecnologie
innovative per eliminare l’aritmia con ablazioni con radiofrequenza
per via transvenosa: il catetere da ablazione con radiofrequenza
raggiunge il cuore attraverso il sistema venoso; quindi con una
semplice puntura di una vena in regione inguinale si possono eseguire
le bruciature sulla superficie interna degli atri curando l’aritmia.
La fibrillazione atriale, e’ una patologia a lungo sottovalutata
in passato, della quale si stanno recentemente chiarendo le gravi
implicazioni cliniche. Pertanto i moderni sviluppi nel suo trattamento
chirurgico e transvenoso sono attualmente motivo di grande interesse
per la letteratura scientifica internazionale.
A causa di una generale disinformazione, molti pazienti
attualmente non sono a conoscenza della reale importanza del
problema, e soprattutto delle moderne possibilita’ terapeutiche.
Circa 2,2 milioni di persone negli USA sono affette da fibrillazione atriale .
La prevalenza stimata nella popolazione generale è dello 0,4%, con aumento proporzionale all’età.
La fibrillazione atriale non è comune nell’infanzia, se non in associazione ad altre patologie cardiache.
Al di sotto dei 60 anni la prevalenza è inferiore all’1%, mentre è superiore al 6% al di sopra degli 80 anni.
La prevalenza è maggiore nei pazienti di sesso maschile.
La frequenza di fibrillazione atriale isolata o idiopatica varia tra il 12% in alcuni studi e il 30% in altri.
In tutti i restanti casi si associa a cardiopatia ipertensiva,
cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, cardiomiopatie,
valvulopatia mitralica, pericardite, abuso di alcool, embolia polmonare ed ipertiroidismo.
Può inoltre associarsi ad infezioni acute sistemiche, ipossia e chirurgia cardiaca.
La fibrillazione atriale è presente in circa il 50% dei pazienti
affetti da patologia valvolare mitralica. L’evoluzione naturale della
fibrillazione atriale dopo interventi di chirurgia cardiaca senza
concomitante trattamento specifico dell’aritmia prevede un ripristino
spontaneo del ritmo sinusale nel 15-20% dei casi.
Nei pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici, la
persistenza di fibrillazione atriale dopo l’intervento porta ad una
riduzione della sopravvivenza globale, poiché non viene eliminato un
importante fattore di rischio per l’insorgenza di insufficienza
cardiaca e di gravi eventi tromboembolici. In uno studio, è stato
dimostrato come il ripristino del ritmo sinusale sia associato ad una
maggiore probabilità di sopravvivenza: 99% e 94% rispettivamente ad 1
e 4 anni dall’intervento in caso di ripristino spontaneo del ritmo
sinusale, contro 97% e 77% rispettivamente ad 1 e 4 anni
dall’intervento nel caso di permanenza di fibrillazione atriale.
I vantaggi del ripristino del ritmo sinusale dopo interventi
cardiochirurgici sono più evidenti nei pazienti che non necessitano
altrimenti di terapia anticoagulante, principalmente nei pazienti
sottoposti ad interventi di plastica valvolare mitralica o di
sostituzione valvolare con protesi biologica. In pazienti sottoposti
ad interventi di plastica valvolare mitralica e concomitante
trattamento della fibrillazione atriale con l’utilizzo della "Maze
Procedure" è stata dimostrata una consistente diminuzione della
probabilità di eventi tromboembolici e di rischio di sanguinamento
dovuto alla terapia anticoagulante rispetto ad un gruppo controllo.
In assenza di trattamento chirurgico specifico combinato della
fibrillazione atriale, la probabilità di ripristino del ritmo sinusale
stabile dopo interventi cardiochirurgici nei pazienti affetti da
fibrillazione atriale cronica è inferiore al 10%.
La probabilità di ripristino del ritmo sinusale aumenta quando la
fibrillazione atriale viene trattata aggressivamente con terapia
farmacologica o con cardioversione elettrica dopo l’intervento, tuttavia
il mantenimento a distanza del ritmo sinusale rimane comunque
inferiore al 26%.
Il trattamento della fibrillazione atriale durante interventi
cardiochirurgici mostra ad oggi dei risultati soddisfacenti e dei
rischi contenuti, ed è quindi da prendere in considerazione in
ciascun paziente affetto da fibrillazione atriale e candidato a
chirurgia elettiva per altra patologia cardiaca.
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CLASSIFICAZIONE DELLE TIPOLOGIE DI FIBRILLAZIONE ATRIALE
In passato si tendeva a distinguere tra fibrillazione atriale parossistica (PAF) e fibrillazione atriale cronica (CAF).
Secondo le più recenti linee guida dell’American College of
Cardiology/American Heart Association/European Society of Cardiology
(ACC/AHA/ESC) è necessario distinguere innanzitutto un primo episodio
isolato di fibrillazione atriale, indicare se la regressione è stata
spontanea o indotta, stabilire se il paziente è sintomatico o meno,
tenendo presente che può esserci incertezza nel definire la durata
dell’episodio stesso e l’eventuale presenza di episodi misconosciuti
in passato. Quando nello stesso paziente si siano accertati 2 o più
episodi, la fibrillazione atriale viene considerata ricorrente. In
questi casi, qualora via sia il ripristino spontaneo del ritmo
sinusale e gli episodi siano di durata inferiore o uguale a 7 giorni,
la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come parossistica;
nel caso in cui gli episodi abbiano durata superiore a 7 giorni e/o
il ripristino del ritmo sinusale abbia richiesto un trattamento di
cardioversione farmacologica o elettrica, la fibrillazione atriale
ricorrente viene designata come persistente. Nei casi in cui la
cardioversione elettrica non sia stata tentata o sia stata inefficace
e il paziente permanga in fibrillazione atriale, si parla di
fibrillazione atriale permanente.
Questa classificazione prende in considerazione tutti gli episodi
di fibrillazione atriale di durata superiore a 30 secondi e nei
quali non sia riconoscibile una causa reversibile. I casi secondari a
condizioni precipitanti quali infarto miocardio acuto, chirurgia
cardiaca, miocardite, ipertiroidismo e malattia polmonare acuta
vengono considerati separatamente: in questi pazienti il trattamento
della patologia di base associato al trattamento dell’episodio di
fibrillazione atriale di solito determina la risoluzione dell’aritmia.
SINTOMATOLOGIA CLINICA
La fibrillazione atriale può essere sintomatica o asintomatica.
I sintomi variano con la frequenza ventricolare, con il
sottostante stato funzionale, con la durata della fibrillazione atriale
e con la percezione individuale del paziente.
Il disturbo del ritmo può avere come prima manifestazione una
complicanza embolica o l’esacerbazione di un’insufficienza cardiaca
sottostante.
I sintomi principali che il paziente avverte sono palpitazioni,
dolore toracico, dispnea, affaticamento. L’aumentato rilascio di peptide
natriuretico atriale può essere associato a poliuria.
La fibrillazione atriale può portare a cardiomiopatia
tachicardia-indotta, specialmente in pazienti che non si accorgono di
essere affetti da aritmia.
La sincope è un evento raro ma grave, che di solito indica una
eccessiva diminuzione della risposta ventricolare, l’associazione di
stenosi valvolare aortica o di una cardiomiopatia ipertrofica
ostruttiva, un accidente cerebrovascolare o la presenza di una via di
conduzione atrio-ventricolare anomala.
Sebbene certamente l’ictus cerebri costituisca la complicanza più
temibile della fibrillazione atriale, anche lo stesso disturbo del ritmo
è in grado di diminuire la qualità della vita dei pazienti affetti,
sia in termini di impedimento funzionale – valutato secondo la
classificazione funzionale della New York Heart Association (NYHA) – sia
come fastidiosa irregolarità del ritmo cardiaco associata a
palpitazioni.
L’utilizzo di una terapia anticoagulante orale, che costringe il
paziente a frequenti esami del sangue per regolare la dose di farmaco
da assumere, è un altro fattore che ha importanti implicazioni sulla
qualità della vita dei pazienti in fibrillazione atriale. Alcuni studi
mostrano che di 97 pazienti solo il 61% ha preferito seguire la
terapia anticoagulante proposta piuttosto che non assumere la terapia,
dunque una percentuale decisamente inferiore a quella per cui il
trattamento è raccomandato secondo le linee guida più recenti.
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