06/04/12

La fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale e’ un’aritmia cardiaca caratterizzata da una completa irregolarita’ dell’attivazione elettrica degli atri, due delle quattro camere cardiache. In presenza di tale anomalia, le normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. Inoltre il battito cardiaco diviene completamente irregolare.

La fibrillazione atriale e’ la piu’ comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0.5% nella popolazione adulta.
Il rischio di esserne affetti aumenta con l’eta’: la percentuale dei pazienti affetti sale al 5% oltre i 65 anni. Tale aritmia e’ poi piuttosto comune nei pazienti con altre patologie cardiocircolatorie, come l’ipertensione arteriosa, la malattia coronarica, ma soprattutto le malattie valvolari: fra il 30 e l’80% dei pazienti operati per malattia della valvola mitrale giungono all’intervento in fibrillazione atriale.

La fibrillazione atriale puo’ essere cronica, ovvero continua, persistente oppure parossistica, con episodi di durata variabile da pochi secondi ad alcune ore o giorni.
Essa e’ causa di un significativo aumento del rischio di complicazioni cardiovascolari e di una riduzione della sopravvivenza a distanza.
Provoca inoltre una riduzione della tolleranza agli sforzi, causata da un’efficienza subottimale della contrazione del cuore, con sintomi quali palpitazioni, affaticamento e mancanza di fiato. Infine, il ristagno di sangue nelle camere atriali “paralizzate” dall’aritmia, favorisce la formazione di coaguli all’interno del cuore ed il rischio di fenomeni embolici come l’ictus cerebrale. Per questo motivo i pazienti con fibrillazione atriale vengono solitamente trattati con farmaci anticoagulanti.

Per quanto riguarda il trattamento, vi sono due possibili strategie: 1) la cardioversione, o conversione al ritmo cardiaco normale ed
2) il semplice controllo della frequenza cardiaca. Solo la conversione ed il mantenimento di un ritmo normale, anche detto “sinusale”, permettono pero’ di minimizzare i sintomi ed i rischi descritti, oltre a consentire l’interruzione della terapia cronica con farmaci anticoagulanti.
Il mantenimento del ritmo sinusale e’ pero’ molto spesso difficile.
I farmaci antiaritmici deputati a tale scopo sono frequentemente inefficaci e sono spesso causa di effetti collaterali anche piu’ gravi della stessa fibrillazione atriale.

Recenti sviluppi hanno consentito di trattare la fibrillazione atriale mediante ablazione con radiofrequenza.
Si sono infatti individuate nell’ambito della parete atriale delle zone responsabili dell’inizio e del mantenimento dell’aritmia, in prossimità dello sbocco negli atri delle grosse vene provenienti dai polmoni. Creando delle bruciature con cateteri a radiofrequenza, tali aree di instabilità possono essere neutralizzate.
Con procedure di questo tipo e’ possibile trattare virtualmente ogni paziente affetto da fibrillazione atriale con ottime probabilita’ di successo.

Nel campo del trattamento non farmacologico della fibrillazione atriale, il nostro Centro e’ un punto di riferimento a livello nazionale ed internazionale.
In caso di fibrillazione atriale associata ad una malattia cardiaca di altro tipo si procede ad ablazione dell’aritmia durante l’intervento cardiochirurgico necessario per corregere la cardiopatia di base. In questo modo, oltre ai benefici dell’intervento correttivo a cuore aperto, il paziente potra’ giovarsi anche del recupero del normale ritmo cardiaco e potra’ in molti casi evitare la terapia anticoagulante cronica.
Nel caso in cui invece la fibrillazione atriale sia isolata, non associata ad altre malattie cardiache suscettibili di correzione chirurgica, sono state recentemente messe a punto delle tecnologie innovative per eliminare l’aritmia con ablazioni con radiofrequenza per via transvenosa: il catetere da ablazione con radiofrequenza raggiunge il cuore attraverso il sistema venoso; quindi con una semplice puntura di una vena in regione inguinale si possono eseguire le bruciature sulla superficie interna degli atri curando l’aritmia.

La fibrillazione atriale, e’ una patologia a lungo sottovalutata in passato, della quale si stanno recentemente chiarendo le gravi implicazioni cliniche. Pertanto i moderni sviluppi nel suo trattamento chirurgico e transvenoso sono attualmente motivo di grande interesse per la letteratura scientifica internazionale.
A causa di una generale disinformazione, molti pazienti attualmente non sono a conoscenza della reale importanza del problema, e soprattutto delle moderne possibilita’ terapeutiche.


Circa 2,2 milioni di persone negli USA sono affette da fibrillazione atriale .

La prevalenza stimata nella popolazione generale è dello 0,4%, con aumento proporzionale all’età.
La fibrillazione atriale non è comune nell’infanzia, se non in associazione ad altre patologie cardiache.
Al di sotto dei 60 anni la prevalenza è inferiore all’1%, mentre è superiore al 6% al di sopra degli 80 anni.
La prevalenza è maggiore nei pazienti di sesso maschile.

La frequenza di fibrillazione atriale isolata o idiopatica varia tra il 12% in alcuni studi e il 30% in altri.
In tutti i restanti casi si associa a cardiopatia ipertensiva, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, cardiomiopatie,
valvulopatia mitralica, pericardite, abuso di alcool, embolia polmonare ed ipertiroidismo.
Può inoltre associarsi ad infezioni acute sistemiche, ipossia e chirurgia cardiaca.
La fibrillazione atriale è presente in circa il 50% dei pazienti affetti da patologia valvolare mitralica. L’evoluzione naturale della fibrillazione atriale dopo interventi di chirurgia cardiaca senza concomitante trattamento specifico dell’aritmia prevede un ripristino spontaneo del ritmo sinusale nel 15-20% dei casi.
Nei pazienti sottoposti ad interventi cardiochirurgici, la persistenza di fibrillazione atriale dopo l’intervento porta ad una riduzione della sopravvivenza globale, poiché non viene eliminato un importante fattore di rischio per l’insorgenza di insufficienza cardiaca e di gravi eventi tromboembolici. In uno studio, è stato dimostrato come il ripristino del ritmo sinusale sia associato ad una maggiore probabilità di sopravvivenza: 99% e 94% rispettivamente ad 1 e 4 anni dall’intervento in caso di ripristino spontaneo del ritmo sinusale, contro 97% e 77% rispettivamente ad 1 e 4 anni dall’intervento nel caso di permanenza di fibrillazione atriale.

I vantaggi del ripristino del ritmo sinusale dopo interventi cardiochirurgici sono più evidenti nei pazienti che non necessitano altrimenti di terapia anticoagulante, principalmente nei pazienti sottoposti ad interventi di plastica valvolare mitralica o di sostituzione valvolare con protesi biologica. In pazienti sottoposti ad interventi di plastica valvolare mitralica e concomitante trattamento della fibrillazione atriale con l’utilizzo della "Maze Procedure" è stata dimostrata una consistente diminuzione della probabilità di eventi tromboembolici e di rischio di sanguinamento dovuto alla terapia anticoagulante rispetto ad un gruppo controllo.

In assenza di trattamento chirurgico specifico combinato della fibrillazione atriale, la probabilità di ripristino del ritmo sinusale stabile dopo interventi cardiochirurgici nei pazienti affetti da fibrillazione atriale cronica è inferiore al 10%.
La probabilità di ripristino del ritmo sinusale aumenta quando la fibrillazione atriale viene trattata aggressivamente con terapia farmacologica o con cardioversione elettrica dopo l’intervento, tuttavia il mantenimento a distanza del ritmo sinusale rimane comunque inferiore al 26%.
Il trattamento della fibrillazione atriale durante interventi cardiochirurgici mostra ad oggi dei risultati soddisfacenti e dei rischi contenuti, ed è quindi da prendere in considerazione in ciascun paziente affetto da fibrillazione atriale e candidato a chirurgia elettiva per altra patologia cardiaca.
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CLASSIFICAZIONE DELLE TIPOLOGIE DI FIBRILLAZIONE ATRIALE

In passato si tendeva a distinguere tra fibrillazione atriale parossistica (PAF) e fibrillazione atriale cronica (CAF).
Secondo le più recenti linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association/European Society of Cardiology (ACC/AHA/ESC) è necessario distinguere innanzitutto un primo episodio isolato di fibrillazione atriale, indicare se la regressione è stata spontanea o indotta, stabilire se il paziente è sintomatico o meno, tenendo presente che può esserci incertezza nel definire la durata dell’episodio stesso e l’eventuale presenza di episodi misconosciuti in passato. Quando nello stesso paziente si siano accertati 2 o più episodi, la fibrillazione atriale viene considerata ricorrente. In questi casi, qualora via sia il ripristino spontaneo del ritmo sinusale e gli episodi siano di durata inferiore o uguale a 7 giorni, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come parossistica; nel caso in cui gli episodi abbiano durata superiore a 7 giorni e/o il ripristino del ritmo sinusale abbia richiesto un trattamento di cardioversione farmacologica o elettrica, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come persistente. Nei casi in cui la cardioversione elettrica non sia stata tentata o sia stata inefficace e il paziente permanga in fibrillazione atriale, si parla di fibrillazione atriale permanente.
Questa classificazione prende in considerazione tutti gli episodi di fibrillazione atriale di durata superiore a 30 secondi e nei quali non sia riconoscibile una causa reversibile. I casi secondari a condizioni precipitanti quali infarto miocardio acuto, chirurgia cardiaca, miocardite, ipertiroidismo e malattia polmonare acuta vengono considerati separatamente: in questi pazienti il trattamento della patologia di base associato al trattamento dell’episodio di fibrillazione atriale di solito determina la risoluzione dell’aritmia.



SINTOMATOLOGIA CLINICA




La fibrillazione atriale può essere sintomatica o asintomatica.
I sintomi variano con la frequenza ventricolare, con il sottostante stato funzionale, con la durata della fibrillazione atriale e con la percezione individuale del paziente.
Il disturbo del ritmo può avere come prima manifestazione una complicanza embolica o l’esacerbazione di un’insufficienza cardiaca sottostante.

I sintomi principali che il paziente avverte sono palpitazioni, dolore toracico, dispnea, affaticamento. L’aumentato rilascio di peptide natriuretico atriale può essere associato a poliuria.
La fibrillazione atriale può portare a cardiomiopatia tachicardia-indotta, specialmente in pazienti che non si accorgono di essere affetti da aritmia.

La sincope è un evento raro ma grave, che di solito indica una eccessiva diminuzione della risposta ventricolare, l’associazione di stenosi valvolare aortica o di una cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, un accidente cerebrovascolare o la presenza di una via di conduzione atrio-ventricolare anomala.
Sebbene certamente l’ictus cerebri costituisca la complicanza più temibile della fibrillazione atriale, anche lo stesso disturbo del ritmo è in grado di diminuire la qualità della vita dei pazienti affetti, sia in termini di impedimento funzionale – valutato secondo la classificazione funzionale della New York Heart Association (NYHA) – sia come fastidiosa irregolarità del ritmo cardiaco associata a palpitazioni.
L’utilizzo di una terapia anticoagulante orale, che costringe il paziente a frequenti esami del sangue per regolare la dose di farmaco da assumere, è un altro fattore che ha importanti implicazioni sulla qualità della vita dei pazienti in fibrillazione atriale. Alcuni studi mostrano che di 97 pazienti solo il 61% ha preferito seguire la terapia anticoagulante proposta piuttosto che non assumere la terapia, dunque una percentuale decisamente inferiore a quella per cui il trattamento è raccomandato secondo le linee guida più recenti.

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