"Ripareremo il cervello in tilt"
MARCO PIVATO http://www3.lastampa.it/scienza/sezioni/news/articolo/lstp/451787/
La ricerca sulle malattie neurodegenerative più
importanti è a una svolta epocale, dovuta, soprattutto, al ribaltamento
di preconcetti e dogmi che hanno vincolato per anni la scienza.
Alzheimer, Parkinson e Sla (la sclerosi laterale amiotrofica) cominciano
a svelare inediti meccanismi che detteranno nuove direttive su
prevenzione, diagnosi precoce, trattamento e rallentamento del loro
drammatico decorso.I dettagli sono racchiusi nella relazione del professor Lucio Annunziato, presidente della Società italiana di neuroscienze, membro dell’Istituto nazionale di neuroscienze e farmacologo all’Università Federico II di Napoli, che ha coordinato il Congresso della Società, organizzato da Renato Bernardini, farmacologo all’Università di Catania. E’ lì che i maggiori esperti mondiali si sono dati appuntamento la scorsa settimana con la gemella Società israeliana di neuroscienze e hanno tracciato una linea di demarcazione che d’ora in avanti segnerà il limite tra il passato e il futuro della battaglia alle malattie del cervello.
Una prima e importante rivoluzione consiste nell’aver individuato un fattore-chiave, capace di contrastare gli effetti della neurodegenerazione. Un approccio valido, allo stesso tempo, contro tutte e tre le patologie e che consiste nel «potenziamento del sistema immunitario - spiega Annunziato - prima d’ora erroneamente considerato un facilitatore dei processi infiammatori che si scatenano in seguito alla massiccia morte delle cellule cerebrali». Michaela Schwartz, del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele ha dimostrato che le difese immunitarie periferiche, in realtà, coadiuvano quelle cerebrali nel contenimento del danno. Il fenomeno, battezzato «autoimmunnità protettiva» è stato descritto e pubblicato su «Nature Neurology Review» e «Nature Medicine».
L'altra rivoluzione consiste nel riconsiderare il ruolo della Beta-amiloide, la «proteina killer» che si deposita - per cause ancora non del tutto note - nel cervello, causando l’Alzheimer. «Anna Panaccione dell’Università Federico II di Napoli - riferisce Annunziato - ha dimostrato che la Beta-amiloide, in condizioni di salute, ha un ruolo fisiologico fondamentale, ossia regolare opportunamente l’entrata del calcio negli organuli cellulari». Con quale meccanismo s’acceca allora l’intelligenza di questa proteina, che da guardiana del neurone diventa il suo boia? La ricerca dovrà ora sciogliere questo nodo.
Sul fronte della farmacologia le principali novità contro l’Alzheimer vengono dal laboratorio della presidente uscente della Società israeliana di neuroscienze, Illana Gozes, e sono rappresentate dalla scoperta del fattore Adnp (Activity-dependent neuroprotective protein), che induce la proliferazione dei neuriti, i prolungamenti del neurone tramite i quali si realizzano nuove connessioni con altre cellule dello stesso tipo, e dalla proteina davunetide, capace di proteggere i microtubuli, le «impalcature» di tutte le cellule, neuroni compresi.
Gli aspetti più sorprendenti arrivano dalla diagnostica. «È noto che il Parkinson esibisce i primi sintomi quando ormai la morte di specifici neuroni, chiamati neuroni dopaminergici, ha raggiunto l’80% del totale - spiega il presidente dei neuroscienziati italiani -: è un processo silente che inizia decine di anni prima di avvertire manifestazioni quali il tremore». È possibile, allora, riconoscere i prodromi nella fase silente della malattia? Paolo Barone, dell’Università di Salerno, ha evidenziato l’importanza di alcuni segnali indicativi: disfunzioni a carico del senso dell’odore, depressione e disturbi del sonno. Sintomi apparentemente generici, ma che si riscontrano nella grande maggioranza dei pazienti colpiti da Parkinson, addirittura con una frequenza del 95% nel caso della compromissione della percezione degli odori. «Se si manifesta la copresenza di tutti e tre i disturbi, si può ipotizzare, con anticipo, l’insorgenza della malattia grazie alle neuroimmagini, che mostreranno l’inizio della riduzione dei neuroni dopaminergici». Inoltre - suggerisce ancora il professore - «l’assunzione di farmaci antiparkinsoniani, a questo stadio iniziale, può rallentare di molto il decorso della malattia».
L’obiettivo degli specialisti rimane quello di individuare i precoci campanelli d’allarme non solo del morbo di Parkinson e della malattia di Alzheimer, ma anche delle altre affezioni neurodegenerative come la Sla. Risultati in questo senso sono stati ottenuti da Daniel Offen e Eldad Melamed dell’Università di Tel Aviv e pubblicati sul «Journal of Stem Cells Reviews». «I ricercatori - spiega Annunziato - hanno mostrato che particolari tipi di cellule staminali producono fattori abili a ristabilire il dialogo tra il sistema nervoso centrale e i muscoli e che, se trapiantate negli arti posteriori di ratti malati di Sla, inducono un’estensione delle fibre, un ritardo dei sintomi e un significativo allungamento della vita media».
Le stime degli epidemiologi sono allarmanti: riportano che, in tutto il mondo, sono 10 milioni gli individui che, in questo momento, convivono con il Parkinson, per un costo sanitario di circa 25 miliardi di dollari, solo negli Usa. Le proiezioni studiate su un periodo di 30 anni suggeriscono che, stando all’andamento attuale, i malati di Alzheimer, invece, potrebbero crescere, fino costituire una popolazione di 60 milioni di pazienti, con un costo per la società di 200 miliardi, sempre negli Usa, ma che salirà a più di mille miliardi di dollari entro il 2050. L’incidenza della Sla, infine, si attesta tra uno e tre individui su 100 mila l’anno, con un costo per le famiglie che raggiunge anche i 200 mila dollari l’anno.
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