PROBIOTICI E PREBIOTICI Andrea Poli Nutrition Foundation of Italy, Milano
A.D.
ABSTRACT
La principale strategia per influenzare la composizione del microbiota intestinale prevede l’integrazione diretta della dieta con alimenti ricchi delle specie batteriche di interesse o mediante preparazioni protette dei batteri stessi, abitualmente liofilizzati. Una possibilità alternativa è il consumo di alimenti o integratori, come la fibra alimentare, che per la loro indigeribilità da parte degli enzimi digestivi umani sono in grado di fornire substrati energetici al microbiota o a una sua parte, favorendone selettivamente la crescita. Un effetto simile può essere ottenuto anche mediante l’impiego di estratti vegetali, o di molecole specifiche (come alcuni polifenoli). L’uso di formulazioni simbiotiche, che contengono sia il ceppo batterico desiderato, e sia la fonte energetica che può sostenerne la crescita, rappresenterà forse, in futuro, l’approccio più razionale al problema degli interventi finalizzati alla modificazione del microbiota intestinale. Qual è la strategia migliore per modificare il microbiota intestinale, migliorandone la composizione (o aumentandone la diversità) con obiettivi di salute? Le crescenti informazioni sul ruolo del microbiota stesso nel mantenere il nostro organismo in una condizione di benessere hanno reso questo quesito di immediata rilevanza pratica. Già oggi sono possibili interventi di varia natura: dal consumo di alimenti naturalmente ricchi di batteri ad azione probiotica, tipici di alcuni alimenti fermentati (specie latticini), all’integrazione alimentare con liofilizzati batterici, meglio se in formulazioni protette in grado di raggiungere in forma vitale il tratto intestinale inferiore, superando indenni la doppia barriera del pH acido gastrico e alcalino a livello del duodeno. La ricchezza della flora batterica intestinale, che supera le 1013 unità, implica naturalmente, per poter ottenere effetti di una portata significativa, l’uso di preparati batterici di adeguata consistenza numerica: e la raccomandazione della linea guida ministeriale al proposito 1 (almeno 109 cellule vitali al termine della shelf-life) è ormai spesso superata, anche di un fattore 10, dai prodotti a disposizione di medici e consumatori. Un approccio alternativo, che può in realtà anche essere combinato con la supplementazione diretta con probiotici, è rappresentato dalla creazione, a livello intestinale, di un microambiente favorevole per le specie batteriche di cui si intende amplificare la crescita. Un obiettivo che può essere ottenuto mediante la somministrazione dei cosiddetti prebiotici, in genere (ma ormai non più solamente) substrati energetici selettivamente utilizzabili da alcune specie batteriche, che ne favoriscono quindi la proliferazione e lo sviluppo. Il prebiotico tipico è la cosiddetta fibra alimentare, e cioè quel mix di carboidrati complessi caratterizzati da unità monomeriche collegate da legami non attaccabili dagli enzimi digestivi umani, e che pertanto non possono essere “smontati” e assorbiti dal nostro apparato digerente, e raggiungono quindi più o meno intatti il tratto digerente inferiore 2. Le fibre con un più marcato effetto prebiotico sarebbero l’inulina e i FOS (polimeri di varia lunghezza del fruttosio), i beta-glucani, le pectine 2, ma un certo effetto prebiotico è attribuibile praticamente a tutti i composti della famiglia delle fibre. È quindi chiaro che la nostra alimentazione quotidiana è la prima fonte di prebiotici: alcuni autori ritengono che i vantaggi di salute attribuiti a un adeguato consumo di fibra siano in realtà dovuti non solo agli effetti metabolici, ma anche (e forse precipuamente) a quelli prebiotici della fibra stessa. A partire dalla fibra, tra l’altro, molti batteri del microbiota producono i cosiddetti SCFA (short chain fatty acids), come l’acetato, il propionato e specie il butirrato, dotati di numerosi effetti favorevoli sia sulla parete del colon e sia a livello sistemico 3. È interessante osservare come l’effetto prebiotico di alcuni oligosaccaridi (soprattutto i cosiddetti GOS, o galatto-oligosaccaridi) svolga un ruolo determinante durante la colonizzazione dell’intestino – di fatto sterile o quasi sterile in utero – del neonato: questi composti, presenti nel latte materno, non sono infatti attaccabili da parte degli enzimi digestivi del neonato stesso, e raggiungono intatti il suo intestino tenue e il colon, facilitando selettivamente la crescita di bifidobacilli e lactobacilli, che sono in grado di utilizzarli come substrati energetici, e che probabilmente rappresentano il microbiota intestinale ottimale in questa fase della vita 4. Il concetto di prebiotico, inizialmente riferito soprattutto alla fibra alimentare, può essere tuttavia allargato in modo significativo: molti composti di origine vegetale, per esempio, sono in grado di influenzare selettivamente la crescita di alcune specie batteriche. La berberina, presente in molti integratori, sembrerebbe stimolare la crescita dell’Akkermansia Muciniphila, che contribuirebbe significativamente all’effetto di protezione vascolare associato all’uso sistematico della berberina stessa nei modelli sperimentali 5. Analogamente, molti alimenti ricchi di polifenoli sono in grado di influenzare la crescita batterica intestinale, rappresentando inoltre la base metabolica per la sintesi di metaboliti secondari, talora di potenziale interesse salutistico (come l’enterodiolo prodotto a partire dalla lignina) 6. Il resveratrolo, modificando il profilo del microbiota intestinale, ridurrebbe invece, secondo alcuni dati preliminari ottenuti nell’animale, la conversione della colina in trimetilammina (TMA) e quindi nel corrispondente composto ossidato (la TMAO) 7, depotenziando quindi uno dei possibili meccanismi alla base dell’aterogenicità di carni e uova, analizzato in uno dei numeri precedenti di Microbioma Microbiota 8. Recentemente la possibilità di influenzare il microbiota intestinale si è allargata anche all’impiego dei batteriofagi, virus a struttura complessa caratterizzati dalla capacità di legarsi a batteri specifici, infettandoli e causando la distruzione per esplosione della cellula batterica. I batteriofagi possono quindi intervenire “chirurgicamente” sul microbiota, riducendo selettivamente popolazioni batteriche la cui consistenza sia eccessiva, e costituendo quindi una sorta di terapia antibiotica mirata, in grado di facilitare la crescita di specie antagoniste. Recentemente, uno studio controllato contro placebo ha documentato la sicurezza di impiego dell’uso di una preparazione commerciale, già disponibile negli USA, di quattro ceppi di batteriofagi in soggetti con disturbi gastrointestinali, spesso poco tolleranti dei prebiotici classici a base di fibra alimentare, confermando la praticabilità di questo approccio 9. La possibilità di influenzare il microbiota attraverso la somministrazione concomitante di probiotici e degli opportuni prebiotici sembrerebbe forse la tecnica dotata di maggiori prospettive in un’ottica di tipo terapeutico. Miscele di questa natura (simbiotici) sono in effetti già state utilizzate in studi clinici, rivelando una superiore capacità di colonizzare il microbiota intestinale e, in alcuni casi, di migliorare alcuni aspetti di salute del paziente 10. È presumibile che questi aspetti della terapia con probiotici siano destinati a un rapido e interessante sviluppo.
La principale strategia per influenzare la composizione del microbiota intestinale prevede l’integrazione diretta della dieta con alimenti ricchi delle specie batteriche di interesse o mediante preparazioni protette dei batteri stessi, abitualmente liofilizzati. Una possibilità alternativa è il consumo di alimenti o integratori, come la fibra alimentare, che per la loro indigeribilità da parte degli enzimi digestivi umani sono in grado di fornire substrati energetici al microbiota o a una sua parte, favorendone selettivamente la crescita. Un effetto simile può essere ottenuto anche mediante l’impiego di estratti vegetali, o di molecole specifiche (come alcuni polifenoli). L’uso di formulazioni simbiotiche, che contengono sia il ceppo batterico desiderato, e sia la fonte energetica che può sostenerne la crescita, rappresenterà forse, in futuro, l’approccio più razionale al problema degli interventi finalizzati alla modificazione del microbiota intestinale. Qual è la strategia migliore per modificare il microbiota intestinale, migliorandone la composizione (o aumentandone la diversità) con obiettivi di salute? Le crescenti informazioni sul ruolo del microbiota stesso nel mantenere il nostro organismo in una condizione di benessere hanno reso questo quesito di immediata rilevanza pratica. Già oggi sono possibili interventi di varia natura: dal consumo di alimenti naturalmente ricchi di batteri ad azione probiotica, tipici di alcuni alimenti fermentati (specie latticini), all’integrazione alimentare con liofilizzati batterici, meglio se in formulazioni protette in grado di raggiungere in forma vitale il tratto intestinale inferiore, superando indenni la doppia barriera del pH acido gastrico e alcalino a livello del duodeno. La ricchezza della flora batterica intestinale, che supera le 1013 unità, implica naturalmente, per poter ottenere effetti di una portata significativa, l’uso di preparati batterici di adeguata consistenza numerica: e la raccomandazione della linea guida ministeriale al proposito 1 (almeno 109 cellule vitali al termine della shelf-life) è ormai spesso superata, anche di un fattore 10, dai prodotti a disposizione di medici e consumatori. Un approccio alternativo, che può in realtà anche essere combinato con la supplementazione diretta con probiotici, è rappresentato dalla creazione, a livello intestinale, di un microambiente favorevole per le specie batteriche di cui si intende amplificare la crescita. Un obiettivo che può essere ottenuto mediante la somministrazione dei cosiddetti prebiotici, in genere (ma ormai non più solamente) substrati energetici selettivamente utilizzabili da alcune specie batteriche, che ne favoriscono quindi la proliferazione e lo sviluppo. Il prebiotico tipico è la cosiddetta fibra alimentare, e cioè quel mix di carboidrati complessi caratterizzati da unità monomeriche collegate da legami non attaccabili dagli enzimi digestivi umani, e che pertanto non possono essere “smontati” e assorbiti dal nostro apparato digerente, e raggiungono quindi più o meno intatti il tratto digerente inferiore 2. Le fibre con un più marcato effetto prebiotico sarebbero l’inulina e i FOS (polimeri di varia lunghezza del fruttosio), i beta-glucani, le pectine 2, ma un certo effetto prebiotico è attribuibile praticamente a tutti i composti della famiglia delle fibre. È quindi chiaro che la nostra alimentazione quotidiana è la prima fonte di prebiotici: alcuni autori ritengono che i vantaggi di salute attribuiti a un adeguato consumo di fibra siano in realtà dovuti non solo agli effetti metabolici, ma anche (e forse precipuamente) a quelli prebiotici della fibra stessa. A partire dalla fibra, tra l’altro, molti batteri del microbiota producono i cosiddetti SCFA (short chain fatty acids), come l’acetato, il propionato e specie il butirrato, dotati di numerosi effetti favorevoli sia sulla parete del colon e sia a livello sistemico 3. È interessante osservare come l’effetto prebiotico di alcuni oligosaccaridi (soprattutto i cosiddetti GOS, o galatto-oligosaccaridi) svolga un ruolo determinante durante la colonizzazione dell’intestino – di fatto sterile o quasi sterile in utero – del neonato: questi composti, presenti nel latte materno, non sono infatti attaccabili da parte degli enzimi digestivi del neonato stesso, e raggiungono intatti il suo intestino tenue e il colon, facilitando selettivamente la crescita di bifidobacilli e lactobacilli, che sono in grado di utilizzarli come substrati energetici, e che probabilmente rappresentano il microbiota intestinale ottimale in questa fase della vita 4. Il concetto di prebiotico, inizialmente riferito soprattutto alla fibra alimentare, può essere tuttavia allargato in modo significativo: molti composti di origine vegetale, per esempio, sono in grado di influenzare selettivamente la crescita di alcune specie batteriche. La berberina, presente in molti integratori, sembrerebbe stimolare la crescita dell’Akkermansia Muciniphila, che contribuirebbe significativamente all’effetto di protezione vascolare associato all’uso sistematico della berberina stessa nei modelli sperimentali 5. Analogamente, molti alimenti ricchi di polifenoli sono in grado di influenzare la crescita batterica intestinale, rappresentando inoltre la base metabolica per la sintesi di metaboliti secondari, talora di potenziale interesse salutistico (come l’enterodiolo prodotto a partire dalla lignina) 6. Il resveratrolo, modificando il profilo del microbiota intestinale, ridurrebbe invece, secondo alcuni dati preliminari ottenuti nell’animale, la conversione della colina in trimetilammina (TMA) e quindi nel corrispondente composto ossidato (la TMAO) 7, depotenziando quindi uno dei possibili meccanismi alla base dell’aterogenicità di carni e uova, analizzato in uno dei numeri precedenti di Microbioma Microbiota 8. Recentemente la possibilità di influenzare il microbiota intestinale si è allargata anche all’impiego dei batteriofagi, virus a struttura complessa caratterizzati dalla capacità di legarsi a batteri specifici, infettandoli e causando la distruzione per esplosione della cellula batterica. I batteriofagi possono quindi intervenire “chirurgicamente” sul microbiota, riducendo selettivamente popolazioni batteriche la cui consistenza sia eccessiva, e costituendo quindi una sorta di terapia antibiotica mirata, in grado di facilitare la crescita di specie antagoniste. Recentemente, uno studio controllato contro placebo ha documentato la sicurezza di impiego dell’uso di una preparazione commerciale, già disponibile negli USA, di quattro ceppi di batteriofagi in soggetti con disturbi gastrointestinali, spesso poco tolleranti dei prebiotici classici a base di fibra alimentare, confermando la praticabilità di questo approccio 9. La possibilità di influenzare il microbiota attraverso la somministrazione concomitante di probiotici e degli opportuni prebiotici sembrerebbe forse la tecnica dotata di maggiori prospettive in un’ottica di tipo terapeutico. Miscele di questa natura (simbiotici) sono in effetti già state utilizzate in studi clinici, rivelando una superiore capacità di colonizzare il microbiota intestinale e, in alcuni casi, di migliorare alcuni aspetti di salute del paziente 10. È presumibile che questi aspetti della terapia con probiotici siano destinati a un rapido e interessante sviluppo.
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