CONTATORE PERSONE

06/08/20

URINOTERAPIA

Nell’antico testo sanscrito Sri Damartantram viene riportato l’uso dell’urina. Nella medicina tradizionale indiana l’urina viene indicata per curare le malattie degli anziani, per disturbi oculari, per tosse, problemi digestivi ed epatici. Per uso esterno viene consigliata come cura per le ustioni e le ferite. STORIA La storia dell’urinoterapia riporta l’uso dell’urina da parte dei cinesi e nell’antica Grecia. Plinio (23–79 d.C.), Galeno (129–199) e Paracelso (1493–1541) menzionano tale metodica. Inoltre nei tempi passati svolse un importante ruolo l’osservazione delle urine con finalità diagnostiche; ricordiamo a tal proposito le medicine Indiana, Egiziana, Tibetana e Ippocratica. E’ in Occidente e in Germania che si diffuse l’uso dell’urina a fini terapeutici e fu il medico Paullini (1643–1712), autore del testo La farmacopea degli scarti, a spiegare l’uso dell’urina, con il suo famoso motto “L’urina è una via breve per una lunga vita”. VANTAGGI DEL METODO L’urinoterapia, chiamata anche autouroterapia, è sicuramente una metodica naturale con numerosi vantaggi quali: è semplice non costa nulla è utilizzabile in tutte le malattie non necessita di esami e diagnosi mediche facile apprendimento del metodo reperibilità immediata e uso per pronto soccorso efficace quale primo intervento per morsi di serpenti e scorpioni. L’urina usata come rimedio ha funzione indicatrice e regolatrice insieme, nessun farmaco può avere una tale ‘ampiezza d’azione’. Il problema più difficile da risolvere, per chi decide di ricorrere a tale cura, è quello del superamento dei pregiudizi, che condizionano con l’idea che l’urina sia qualcosa di immondo e di ripugnante. I numerosi esperti di urinoterapia hanno cercato di spiegare come l’assunzione dell’urina possa mantenere o ripristinare lo stato di salute, ricordando che l’ urinoterapia funziona sia a titolo preventivo che nelle malattie acute e croniche. Riportiamo di seguito le varie ipotesi sul suo funzionamento. CONTINUA NEL LINK ORIGINALE : www.naturopatiaeuropea.it/index.php/indice-lettera-u/414-urinoterapia

DIGIUNO SECCO

Come si fa l'Oleolito di Iperico

ricordo che..........



ciao a tutti, ricordo che nel web quindi su fb- instangram- messenger- whatsApp E CHI PIU' NE HA NE METTA  io Me medesima  NON CHATTA CON NESSUNO solamente in caso di necessita' ESTREMA DI SALUTE O DI COMUNICAZIONI URGENTI.

VOLEVO DIRE ANCHE  DI RIMUOVERE SU FB  IL RICEVIMENTO DELLE MIE NOTIFICHE

perche' scrivo molto... MA NON PER AVERE I VS MI PIACE perche' proprio e' l ' ultimo dei miei pensieri avere un mi piace........

QUINDI


non chatto perche'      IO NON SONO UNA ROVINA FAMIGLIE

IO NON CHATTO CON NESSUNO

NON MI METTO A FLIRTARE CON I MARITI magicamente NON SPOSATI

O CON UN Ragazzo magicamente SENZA FIDANZATA

NO
IO
NON CHATTO
MI DISPIACE PER TUTTI QUELLI che SI SPACCIANO PER SANTONI ma non fa per me


*********IO NON CHATTO******

1) non mi voglio creare problemi E GIA’ NE HO MOLTI

2) NON VI VOGLIO CREARE PROBLEMI ...perche’ se voi santoni volete *CHIACCHIERARE* FATELO CON LA VS DONNA non con una persona dietro ad un pc

3) NON VOGLIO CREARE PROBLEMI ALLE VS DONNE ...perche’ SI INCAZZEREBBERO con la presente e non con voi santoni o i
vostri PSEUDONIMI  SANTONI ) E non voglio creargli strani pensieri.

4) CI SONO DONNE (DONNACCE) ALTRE DONNE (giovani e VECCHIE) CHE NON SI FANNO SCRUPOLI A CHATTARE CON **il chi che sia** MA IO NON SONO UNA DI QUESTE...e poi che cosa fanno DANNEGGIANO FAMIGLIE...MATRIMONI..RAPPORTI..

quindi andate a cercarle  da un’ altra parte ma NON DISTURBATE ME.

**** Clara pacta, amicitia longa ****

<<<<fare le cose in modo chiaro e trasparente per far sì che in futuro non ci possano essere spiacevoli incomprensioni, equivoci, disaccordi.>>>>

POI CHI VUOLE PUO' RIMANERE MIO AMICO O MIA AMICA TUTTI GLI LALTRI O LE ALTRE un caro abbraccio e' stato un piacere.


Melis Stefania
Adesso vi dico che questo e’ un mio pensiero.. voi USATE A VOSTRO PIACIMENTO L’ INTERPRETAZIONE DEL TESTO….senza uscire troppo di testa. Stefania Sam Melis

05/08/20

COVID-19 ESISTE DA ANNI..

... PANDEMIA INVENTATA PER VACCINARE LA POPOLAZIONE DELLA TERRA CON VACCINO I CUI EFFETTI SONO SCONOSCIUTI. 
CORONAVIRUS: NUOVO STUDIO, il VIRUS c'era Già da ANNI e NON si trasmette per VIA RESPIRATORIA! Ecco le CONSEGUENZE. 
CORONAVIRUS: c'era Già e forse NON si trasmette per VIA RESPIRATORIA
Sono a dir poco impressionanti e clamorose le dichiarazioni, di Tom Jefferson, medico al Center for Medicine (Cebm) presso l'Università di Oxford e pubblicate dal quotidiano inglese "The Telegraph": il medico sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già presente altrove, ben prima che emergesse a Wuhan, forse già da anni. Quindi, altro che Cina, altro che mercato del pesce o errore di laboratorio.
Come riportato dal quotidiano "Il Sole 24 ore" nella sua versione online (qui l'articolo), tale teoria farebbe saltare tutto ciò che sappiamo fino a oggi su questa pandemia che continua a terrorizzare il mondo. E proprio queste tesi potrebbero avere delle conseguenze stravolgenti.

Abbiamo già affrontato il capitolo che afferma come il coronavirus fosse presente già dallo scorso autunno anche in Italia come confermato dalle ricerche effettuate alla rete idrica e non solo. Ora degli studi confermano che Sars-Cov-2 ha più facilità di diffusione in particolari condizioni meteoclimatico/ambientali. Le prime, fanno riferimento, appunto a particolari condizioni atmosferiche meteorologiche (pioggia, neve, vento), quelle climatiche sono indirizzate invece alla stagionalità. Ovvero, sembra sempre più probabile che il coronavirus si diffonda a temperature più basse, con alti tassi di umidità e con poco soleggiamento (autunno e primavera per intenderci).
Ultimo, ma non meno importante, il fattore ambientale: l'inquinamento. La correlazione tra virus e pessima qualità dell'aria è emerso, in particolare, da uno studio curato da ricercatori italiani e da medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima): le polveri sottili avrebbero esercitato un cosiddetto 'boost', ovvero un accelerazione nel contagio dell'infezione. A tal proposito, Leonardo Setti, ricercatore dell'Università di Bologna, ha così commentato: "Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del Covid19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono...

Link ORIGINALE
www.ilmeteo.it/notizie/coronavirus-nuovo-studio-il-virus-cera-gi-da-anni-e-non-si-trasmette-per-via-respiratoria-ecco-le-conseguenze-191158/amp?utm_campaign=pulsanti_social&utm_source=whatsup&utm_medium=news_amp

I DATI SUL CORONAVIRUS NON SONO QUELLI CHE CI HANNO DETTO ► Il Prof Tarr...

30/07/20

cellulare in auto NON SI FA NON SI FA


Proprio oggi alle 9 e 30 lo dicevo....POI MI TROVO QS ...

Ora  DIREI SPERIAMO  PRESTO...
Link ⬇️
www.studiocataldi.it/articoli/39249-cellulare-alla-guida-aggravante-dell-omicidio-stradale.asp

lettera aperta "Zamboni Paolo"

Troverete il link qui ⬇️

www.simonettaegianluca.it/?gclid=CjwKCAjw34n5BRA9EiwA2u9k399bswawbCHcvIrPjTVDEbMs1FdRj8LVl4k7RL-xp9cGn_agz1ozvhoCAS4QAvD_BwE

29/07/20

Disturbi della memoria

Il disturbo della memoria o amnesia è un disturbo presente in molti tipi di patologie (traumatiche, infettive, tossiche, vascolari, degenerative, metaboliche) e consiste in una riduzione più o meno grave della capacità di apprendere e ricordare informazioni ed avvenimenti immagazzinati in precedenza. Per comprenderne meglio i disturbi è necessaria una premessa sulla definizione e sul meccanismo fisiologico della memoria.  
La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni, ossia di assimilare, ritenere e richiamare, sotto forma di ricordo, le informazioni apprese durante l'esperienza o per via sensoriale. Da questo si deduce che la capacità di apprendimento e di immagazzinamento dei dati acquisiti rende possibile la conoscenza da cui dipendono tutte le nostre azioni soggettive e le condotte sociali, che sono appunto fondate sul recupero a livello della consapevolezza delle informazioni precedentemente archiviate.
Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, identificando tre tipi distinti di memoria: la memoria a breve termine, la memoria a lungo termine e la memoria sensoriale.
La memoria a breve termine o memoria primaria è quella parte di memoria che si ritiene capace di conservare una piccola quantità di informazioni chiamata span (tra i 5 e i 9 elementi) per una durata di 20 secondi circa. Attualmente, gli psicologi cognitivi preferiscono definirla memoria di lavoro.
La memoria a lungo termine, capace di conservare una quantità enorme, anche se non infinita di informazioni, viene suddivisa in memoria semantica (legata alla comprensione del linguaggio), memoria episodica (relativa agli eventi) e memoria procedurale (relativa alle azioni e procedure per eseguire comportamenti complessi).
La memoria sensoriale immagazzina, per la durata di pochi secondi o millisecondi, informazioni uditive (memoria ecoica), visive (memoria iconica), tattili, olfattive e gustative.
I processi mnemonici dal punto di vista neurofisiologico avvengono grazie alla modifica, indotta dal segnale, delle connessioni sinaptiche di una specifica rete neuronale, il cui il mediatore è il Glutammato, dapprima nell'ippocampo (che codifica le informazioni) e poi nella corteccia cerebrale (dove i dati vengono definitivamente conservati). L'amigdala riveste un ruolo importante nel modellamento e nella conservazione della memoria, dato che è l'organo deputato a conferire una colorazione emozionale ed affettiva ai ricordi. L'IGF-1 (insulin-like growth factor) o somatomedina è fondamentale per immagazzinare i ricordi e farli rimanere più a lungo stimolando le connessioni interneuronali e migliorando quindi la memoria.
Da quanto è stato esposto emerge che il sistema limbico, di cui fanno parte ippocampo ed amigdala, esplica una funzione fondamentale nel mantenimento della memoria che consiste nel registrare di continuo eventi ed esperienze, codificare le informazioni ricevute ed infine recuperare le informazioni archiviate. Se viene alterata una di queste tre fasi si assiste alla comparsa del disturbo della memoria.
Un disturbo delle funzioni mnesiche si può verificare in varie lesioni che disconnettono il circuito tra l’ippocampo, i nuclei della base ed i lobi frontali provocate da numerose patologie cerebrali, fra cui le principali per rilevanza clinica sono il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla, la malattia di Alzheimer e le altre demenze corticali e sottocorticali. L’entità del disturbo dipende dalla sede, dall’estensione e dall’eventuale irreversibilità della lesione.
Il disturbo della memoria può presentarsi anche in seguito ad una lesione cerebrale traumatica, oppure a causa di un trauma psicologico avvenuto anche durante l'infanzia (l’oblìo secondo la teoria psicoanalitica di S. Freud). Altre possibili cause sono l'ipossia, i disturbi derivanti dall'assunzione di elevate quantità di alcool (Sindrome di Korsakoff) o dalla mancanza di tiamina (vitamina B1) come nell'encefalopatia di Wernicke. Anche l’avanzare dell’età, con il deterioramento cognitivo lieve, determina danni alle facoltà mnemoniche, facendo dimenticare prima di tutto i nomi delle persone.
Importante sottolineare che un disturbo della memoria è di frequente riscontro nelle persone soggette a disturbi dell'umore, ovvero in chi è afflitto da schizofrenia, paranoia, o altre forme di delirio. Nei pazienti affetti da depressione, i problemi concernenti l’attenzione e la memoria sono presenti non solo durante la fase di calo dell’umore, ma anche durante la fase di scomparsa dei sintomi. Lo stato di ansia associata alla propria salute può enfatizzare difficoltà di memoria e concentrazione alimentate dal senso di impotenza rispetto alle difficoltà cognitive percepite come gravose e patologiche.
Quotidianamente, tramite i nostri sensi, il cervello riceve enormi quantità di segnali di vario genere, dei quali siamo più o meno consapevoli, la maggior parte dei quali non lascia traccia. Se una persona soffre di presbiacusia (che significa riduzione senile dell'udito e si manifesta con l'incapacità di sentire i suoni di frequenza elevata), può avere problemi nell'ascoltare la voce delle persone. Chi è affetto da questo disturbo può apparire smemorato, quando, invece, il vero problema è la mancanza di corrette informazioni. Analogamente anche i disturbi della vista possono determinare, anche se indirettamente, deficit della memoria. 
Per ultimo, difficoltà cognitive relative alla memoria ed all’attenzione rientrano in taluni quadri definiti funzionali, come la fibromialgia e la sindrome da fatica cronica.

Sintomi Sintomi

Come principio generale, quando si instaura un disturbo della memoria di fissazione i nuovi ricordi non riescono a fissarsi e sostituire per aggiornamento i vecchi, mentre un disturbo alla memoria di rievocazione non permette ai vecchi di tornare in mente e tutti i ricordi sono continuamente aggiornati, fino alla scomparsa, nei casi più gravi, della percezione del proprio passato.
La perdita di memoria è chiamata amnesia, che può essere anterograda (quando non è più possibile apprendere e ricordare eventi dopo l'evento lesivo) o retrograda (quando viene cancellata la memoria relativa ad un periodo di tempo variabile antecedente alla data della lesione). L’amnesia retrograda è di frequente osservazione nei casi di trauma cranio-encefalico moderato o severo, per cui il soggetto non ricorda l’evento traumatico e le sue modalità di accadimento. L’amnesia lacunare definisce una perdita di memoria che interessa solo un breve periodo di tempo, limitato ad alcune ore o al massimo a giorni, in cui il paziente non ricorda quanto accaduto e si distingue dall'amnesia retrograda, che causa invece la perdita di memoria di tutto il passato del paziente.
Se l'amnesia anterograda è associata all’amnesia retrograda si parla anche di amnesia globale. L’amnesia può essere transitoria (come nel caso di un evento traumatico, con successivo ripristino della normale funzionalità mnemonica); stabile (se provocata da un evento morboso grave, come ad esempio nell’arresto cardiaco); progressiva (se riscontrata in malattie degenerative, come la malattia di Alzheimer).
Tra gli altri disturbi della memoria si annoverano:
  • La paramnesia, cioè la falsificazione della memoria attraverso una distorsione del ricordo.
  • L'ipermnesia o ipertimesia quando si possiede una esagerata memoria autobiografica tale da permettere il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria vita.
  • L'allomnesia, ovvero i ricordi falsati in termini di spazio o tempo per errore di locazione.
  • L'ecmnesia è un disturbo della memoria, di tipo allucinatorio, in cui alcuni soggetti trasformano i ricordi del passato in esperienze attuali: in altre parole il passato si manifesta come se fosse presente.
  • La rimozione, cioè la dimenticanza inconsapevole di eventi considerati inaccettabili. Spesso alla rimozione si associa il ricordo paravento (o ricordo di copertura) ossia un ricordo che a livello conscio è tollerabile ma che nasconde, inconsciamente, un evento traumatico.
  • L'immagine eidetica, un ricordo visivo vissuto talmente vividamente da sembrare un'allucinazione.
  • La letologia, che è la temporanea incapacità di ricordare un nome proprio o di un oggetto.
  • La disnomia è la difficoltà o incapacità a richiamare alla memoria la parola corretta quando è necessaria che si manifesta nei soggetti confusi, isterici, in casi di epilessia temporale e nei soggetti intossicati dall'assunzione di allucinogeni.
  • Il lapsus memoriae, spesso dovuto a momentanee confusioni o a vuoti di memoria e quindi all'affiorare di pensieri dall'inconscio e dal subconscio.

Diagnosi Diagnosi

Se il disturbo della memoria comincia ad essere persistente e ad avere un’intensità tale da creare un crescente disagio, pur non inficiando la autonoma esplicazione delle occupazioni della vita di tutti i giorni, è necessario sottoporsi ad una visita neurologica.
Il primo step diagnostico deve consistere nella valutazione dello stato neurologico del soggetto (livello di coscienza e di attenzione, integrità dell’eloquio, della capacità di lettura e scrittura, etc.) seguito da un attento esame del suo stato psicologico, per escludere che si trovi in una temporanea condizione di demotivazione personale o di depressione, fattori che notoriamente incidono sul suo livello di attenzione e che potrebbero indurre alla erronea conclusione di ascrivere un deficit di memoria a disturbo cognitivo.
Il passo successivo consiste nella somministrazione di test neuropsicologici che devono consentirne una valutazione quantitativa del disturbo di memoria in quanto il paziente può minimizzare o addirittura negare l’esistenza di problemi mnesici o al contrario sovrastimare dimenticanze anche modeste riscontrate nel corso delle attività quotidiane, attribuendole alla insorgenza di una patologia neurologica degenerativa. Il risultato dei test è espresso da un punteggio che esprime di quanto le prestazioni del paziente si discostino da quelle rilevate su campioni di controllo con caratteristiche analoghe di età, sesso e scolarità.
I test della memoria a breve termine (MBT). Sono rivolti a definire la massima capacità di immagazzinamento (Span) di materiale nella memoria a breve termine.


continua nel link originale:
https://www.idoctors.it/patologia-disturbi-della-memoria-26879

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28/07/20

Citta di Nichelino

Composizione e deleghe

      
Assessore e Vice Sindaco
D'Aveni Filippo nato a Novara di Sicilia (Me) il 16.6.1947
Al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Lavori Pubblici - Manutenzione - Istruzione
Assessori:
Pansini Michele nato a Novara il 31.12.1972

al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:

Cultura - Sport - Affari Legali -  Privacy e Trasparenza Amministrativa - Anticorruzione e Legalità - Rapporti con il Consiglio Comunale - Edilizia privata - Urbanistica

Ruggiero Giorgia nata a Torino il 7.9.1989
Alla quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Commercio – Grandi Eventi – Terza Eta' – Quartieri – Polizia Amministrativa

De Ruosi Antimo nato a Moncalieri (TO) il 17.10.1980
Al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Trasporti – Viabilita' - Digitalizzazione e innovazione tecnologica - Protezione Civile

Verzola Fiodor nato a Moncalieri (TO) il 1.4.1982
Al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Politiche del Lavoro – Politiche sugli animali – Politiche Giovanili

Cera Valentina nata a () il 28.10.1981
Al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Agricoltura - Ambiente - Pari Opportunità - Politiche internazionali (Pace - coop intern - genellaggi) - Servizi Demografici e Cimiteriali - Turismo

Rasetto Paola Enrica Maria nata a () il 18.07.1961
Al quale vengono assegnate le seguenti deleghe:
Politiche della casa - Welfare - Sanità

Restano in capo alla specifica competenza del Sindaco, le seguenti materie:
Affari generali - Polizia Locale - Industria e Artigianato - Personale - Bilancio, Patrimonio e Farmacie - Arredo Urbano - Igiene pubblica
Segreteria Sindaco e Assessori
Tel. 011-6819650 011-6819653 fax 011-6819590

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 PEC: protocollo@cert.comune.nichelino.to.it



Il Sindaco è Giampietro Tolardo.
Segreteria del Sindaco:
Tel. 011/6819650 - 011/6819653
 fax 011/6819572



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Punto Donna Nichelino


Spazio di ASCOLTO-AIUTO aperto a TUTTE le DONNE. Servizio gratuito. 
Al Punto Donna Nichelino puoi incontrare operatrici specializzate, psicologhe e legali, per:
  • ASCOLTO
  • INFORMAZIONE
  • ORIENTAMENTO
  • SOSTEGNO
  • CONSULENZA LEGALE (su prenotazione)
Tutte le attività avvengono nel rispetto della volontà della donna e nella tutela della sua privacy, garantendo riservatezza e non giudizio.

Punto Donna si trova presso:
Sportello Pari & Dispari - Piazza Spadolini 5 – Nichelino
Contatti tel. 011/620.76.76 cell. 337-1082919

Orari di accesso al servizio:
Martedì dalle 15.00 alle 18.00
Giovedì dalle 9,30 alle 12,30
Accesso libero e gratuito - (senza appuntamento)

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ASL TO5
www.aslto5.piemonte.it/

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CO.VA.R 14

www.covar14.it/


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INPS

Le caselle di Posta Elettronica Certificata (PEC) sono disponibili per le comunicazioni di stretta competenza del destinatario e possono essere utilizzate esclusivamente se si è in possesso di una casella PEC.
Il Contact Center, raggiungibile da rete fissa (803 164),
telefonia mobile (
06 164 164) e internet (Voip e Skype), è il sistema telematico sviluppato dall'Istituto per dare supporto nell'utilizzo dei servizi online.
Inps Risponde è il servizio che permette di inoltrare autonomamente dal proprio computer richieste di chiarimenti normativi e di informazioni sui servizi. Si possono monitorare lo stato di lavorazione delle richieste, verificando anche lo stato di quelle prese in carico dagli operatori del Contact center e smistate alle sedi territoriali competenti (Linea Inps). Il servizio è disponibile gratuitamente anche per smartphone e tablet con sistema operativo IOS e Android.
Le sedi INPS è il servizio che consente di individuare la propria sede territoriale di riferimento (indirizzo, orari di apertura e informazioni sulle strutture). All’interno di ogni sede è presente l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) dove l’utente può ricevere informazioni e servizi attraverso una consulenza personalizzata.
Le pagine di Assistenza permettono di consultare le FAQ sull’utilizzo del sito e le indicazioni su come ottenere e gestire il PIN.

link originale:
www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?iMenu=24

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NICHELINO

Orari e indirizzi Uffici Comunali

www.comune.nichelino.to.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3585:orari-e-indirizzi-uffici-comunali&catid=415&Itemid=1056

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ALLERTA METEO DA PARTE DEL
COMUNE DI NICHELINO PER TEMPORALI FORTI

https://publicalerts.nowtice.it/Alert/Details/5973




tenosinovite stenosante dei tendini flessori

Il dito a scatto, o tenosinovite stenosante dei tendini flessori (o del tendine flessore, nel caso del pollice), è una patologia che interessa i tendini flessori della mano e che deriva da una infiammazione degli stessi nel passaggio all’interno del canale digitale, con limitazione del movimento delle dita.

“I tendini delle dita passano nel canale digitale, che è composto da una serie di pulegge, che a loro volta dobbiamo immaginare come degli anellini: quando piego il dito il tendine si muove, ma resta all’interno del canale. Quando il tendine si infiamma, invece, sfrega contro le pulegge aumentando così l’infiammazione e, quando questa si cronicizza, il tendine ha una dimensione tale da non riuscire più a passare attraverso la puleggia alla base del dito, per cui si verifica il tipico movimento a scatto”, spiega la dottoressa Laura Frontero, Chirurgo della mano in Humanitas.

Una patologia che influisce sulla qualità della vita

“Nella prima fase della malattia il paziente prova solo dolore, a cui andando avanti si aggiunge il tipico scatto, fino ad arrivare all’effettiva impossibilità di piegare completamente il ditoIl dito a scatto, per questo motivo, è una patologia che ha conseguenze immediate sulla qualità della vita del paziente. Sia a causa del dolore, sia a causa della limitata mobilità del dito”, approfondisce la dottoressa Frontero. 

“Al risveglio, per esempio, il paziente potrebbe trovarsi con un dito che resta chiuso, e per aprirlo dovrà aiutarsi con l’altra mano. Azioni anche banali, come tagliare le verdure o tirare su e giù le tapparelle, provocano un forte dolore. E aprire il dito una volta che resta bloccato piegato risulterà sempre particolarmente doloroso. Inoltre, nelle fasi più avanzate, il dito potrebbe non piegarsi più, restando fermo in posizione leggermente flessa”.

Quali sono le possibilità di cura?

“Per diagnosticare la tenosinovite stenosante non sono necessari esami: è una diagnosi clinica che consiste nell’osservazione, nei casi in cui presente, di un franco scatto accompagnato da dolore alla base del ditoNelle fasi iniziali possiamo ricorrere a trattamenti conservativi, come i tutori, o, in fase più acuta, alle infiltrazioni di cortisone. Quando non si ottengono i benefici sperati o quando la patologia è già in uno stadio più avanzato è necessario l’intervento chirurgico che risulta essere risolutivo. 

Si tratta di un’operazione mininvasiva, in anestesia locale, di circa cinque minuti. Il chirurgo effettua una piccola incisione alla base del dito e da lì apre la prima puleggia da cui passa il tendine. A seguito dell’operazione viene interrotto è il meccanismo che fa persistere l’infiammazione e il dito riprende la sua normale mobilità”, conclude la specialista.

CONTINUA A LEGGERE L INFORMAZIONE NEL LINK ORIGINALE:

https://www.humanitas.it/news/26629-dito-scatto-intervenire

L’acromegalia....

è una malattia rara causata da un’eccessiva produzione dell’ormone della crescita. Da circa 15 anni si sa che i pazienti acromegalici soffrono di fragilità scheletrica e presentano fratture vertebrali, vera e propria complicanza dell’acromegalia.

Uno studio1 appena pubblicato su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism che vede Humanitas come capofila, ha per la prima volta indagato l’efficacia dei farmaci anti-osteoporotici nell’osteopatia acromegalica.

Ne parliamo con il professor Gherardo Mazziotti, Responsabile della Sezione Ricerca, Diagnosi e Cura delle Malattie Osteometaboliche in Humanitas, docente di Humanitas University e primo autore dello studio.

Acromegalia e fragilità scheletrica

“Fino agli anni Duemila si pensava che i pazienti con un eccesso di ormone della crescita avessero anche ossa più resistenti del normale. Nel 2005 fui tra gli autori del primo studio2 al mondo (condotto dal gruppo dell’Università di Brescia in collaborazione con l’Università Cattolica di Roma) che segnalava la presenza di fratture vertebrali in donne in post-menopausa con acromegalia. Questo studio fu il primo di molti altri che confermarono i nostri primi risultati evidenziando la presenza di fratture vertebrali anche nei maschi, con percentuali variabili dal 15 al 40% dei pazienti3.

A distanza di 15 anni sappiamo che i pazienti acromegalici soffrono di fragilità scheletrica, che purtroppo non viene misurata in maniera affidabile con l’esame MOC-DEXA, ma che richiede l’utilizzo di metodiche sofisticate che hanno consentito di caratterizzare le alterazioni microstrutturali alla base della fragilità scheletrica del paziente affetto da acromegalia.

Si parla di osteopatia acromegalica: un’alterazione della struttura ossea che coinvolge in maniera selettiva le vertebre e predispone i pazienti a sviluppare fratture vertebrali. Come in altre forme di osteoporosi, in acromegalia le fratture vertebrali causano disabilità, dolore cronico e compromissione della qualità della vita”, spiega il professor Mazziotti.

Come migliorare la salute scheletrica di questi pazienti?

“Idealmente, una diagnosi precoce di acromegalia e un trattamento efficace della malattia consentono di prevenire le fratture vertebrali, così come molte altre complicanze dell’acromegalia. Tuttavia, nella real life la diagnosi di acromegalia è purtroppo spesso ritardata e molti pazienti risultano esposti per molti anni a un’eccessiva secrezione dell’ormone della crescita che, oltre a incrementare il rischio cardiovascolare e quello legato alla comparsa di neoplasie, condiziona un aumento significativo del rischio fratturativo. Va inoltre sottolineato che i pazienti possono presentare persistenti alterazioni della microstruttura ossea con persistente aumento del rischio di fratture vertebrali anche quando l’acromegalia è controllata dalla terapia4.

Si è così giunti alla conclusione che fosse necessario un trattamento specifico per le ossa, prosegue lo specialista”.

Lo studio BAAC guidato da Humanitas

“Il nostro ultimo lavoro è uno studio multicentrico che vede il coinvolgimento di 9 centri italiani dedicati al trattamento di soggetti acromegalici. È uno studio di real life che rileva come nella pratica clinica vengano curati con farmaci anti-osteoporotici circa il 20% dei pazienti con acromegalia.

Si tratta del primo studio che indaga l’efficacia dei farmaci anti-osteoporotici nel trattamento dell’osteopatia acromegalica: la terapia anti-osteoporotica risultava essere efficace nel prevenire le fratture vertebrali solo in presenza di acromegalia attiva. In quelli con malattia controllata, invece, la terapia non consentiva di ridurre e normalizzare il rischio fratturativo1”.

Rilevanza clinica dei risultati dello studio BAAC

Ne parliamo con il professor Andrea Lania, Responsabile dell’Unità di Endocrinologia, Diabetologia ed Andrologia Medica in Humanitas, docente di Humanitas University ed Autore senior dello studio: “I risultati della nostra ricerca sono rilevanti in quanto forniscono al clinico gli strumenti per curare in maniera specifica la fragilità scheletrica dei pazienti con acromegalia persistentemente attiva. Considerando poi l’inefficacia della terapia dell’acromegalia nel prevenire le fratture vertebrali anche nei pazienti ben controllati dal punto di vista ormonale, non è possibile escludere a priori la possibilità di utilizzare farmaci anti-osteoporotici in questo specifico contesto clinico.

Infatti, considerando che la quasi la totalità dei nostri pazienti utilizzava farmaci ad azione inibitoria sul riassorbimento osseo (quali bisfosfonati e denosumab), possiamo ipotizzare che farmaci diversi ad azione anabolica, vale a dire di stimolo sulla neoformazione ossea, possano essere efficaci nel prevenire il rischio di fratture vertebrali quando l’ipersecrezione dell’ormone della crescita è controllata dalle terapie dell’acromegalia. In questo ambito, l’Unità di Endocrinologia dell’Istituto Clinico Humanitas è impegnata in progetti di ricerca clinici e traslazionali che spero consentiranno di chiarire nel prossimo futuro i meccanismi alla base della fragilità scheletrica nell’acromegalia e di identificare trattamenti specifici per migliorare la salute scheletrica e la qualità della vita dei nostri pazienti”.

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Cuore: che cos’è un infarto e come si interviene?

Si parla di infarto del miocardio in presenza di una necrosi di parte del tessuto cardiaco dovuta a un’ostruzione di una delle arterie coronariche, deputate a rifornire il cuore di sangue ossigenato. L’ostruzione, che può essere parziale o totale, è spesso dovuta a un accumulo di grasso, colesterolo o altre sostanze che forma una placca nelle arterie (aterosclerosi) che si rompe e determina una trombosi interrompendo il flusso di sangue e causando così la morte (necrosi) del tessuto.

Ci sono segnali a cui prestare attenzione e come si interviene in caso di infarto? Ne parliamo con due specialisti di Humanitas: il dottor Bernhard Reimers, Responsabile di Cardiologia clinica e interventistica e il professor Giulio Stefanini, cardiologo e docente di Humanitas University.

I sintomi con cui può manifestarsi l’infarto

La sintomatologia legata all’infarto del miocardio è variabile: non tutti i pazienti riferiscono gli stessi sintomi o li avvertono alla stessa intensità; in altri casi, l’infarto può essere asintomatico e in altri casi ancora il primo segnale di infarto è un arresto cardiaco improvviso. La manifestazione più tipica dell’infarto è una sensazione di peso o dolore al petto che dura più di dieci minuti. Il dolore può estendersi dal petto a uno o entrambe le braccia e può irradiarsi anche al collo, alla mascella e alla schiena. Inoltre il dolore al petto può essere associato a nausea, bruciore di stomaco o dolore addominale, fiato corto, stanchezza, sudorazione fredda, stordimento o vertigini. Nella maggior parte dei casi la comparsa dei sintomi dell’infarto è improvvisa, ma possono anche esservi segnali di avviso nel corso delle ore, dei giorni o delle settimane precedenti; ne sono un esempio un dolore al petto ricorrente o una sensazione di pressione (detta angina pectoris) che è scatenata dal movimento e che si risolve a riposo. L’angina è dovuta a una diminuzione temporanea di flusso sanguigno al cuore, una condizione che però non è così prolungata da condurre alla necrosi del tessuto.

In caso di infarto è fondamentale intervenire tempestivamente perché un accesso tardivo del paziente a cure adeguate aumenta il rischio di mortalità.

Chi è più a rischio?

Alcuni fattori, distinti in modificabili e non modificabili, possono esporre a un maggior rischio di aterosclerosi e di infarto. Sono fattori non modificabili l’aumentare dell’età, il sesso (in età giovanile e matura il rischio è maggiore negli uomini, ma dopo la menopausa femminile il rischio è lo stesso nei due sessi) e la familiarità (casi di infarto in famiglia espongono a un maggior rischio, soprattutto se occorsi dai 55 anni negli uomini e dai 65 nelle donne). Sono invece fattori di rischio modificabili il vizio del fumo, l’ipertensione arteriosa (che danneggia le arterie), alti livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo che restringe le arterie) o di trigliceridi, il diabete (l’eccesso di glucosio nel sangue danneggia le arterie e favorisce l’aterosclerosi), l’obesità (che è associata ad alti livelli di colesterolo e di trigliceridi, ipertensione e diabete), la sindrome metabolica (un quadro che include obesità, diabete e ipertensione), la sedentarietà (la mancanza di attività fisica contribuisce a innalzare i livelli di colesterolo ed espone al rischio di aumento corporeo), lo stress e l’uso di sostanze stupefacenti.

L’importanza di una diagnosi tempestiva

In genere, la diagnosi di infarto viene effettuata alla luce dei sintomi riferiti dal paziente. L’esecuzione di un elettrocardiogramma, un esame che registra l’attività elettrica del cuore, permette di confermare o escludere l’infarto poiché il muscolo cardiaco danneggiato presenta un’alterazione nella conduzione degli impulsi elettrici.

Inoltre attraverso gli esami del sangue poi si accerta la presenza degli enzimi cardiaci, sostanze rilasciate nel sangue dalle cellule del muscolo cardiaco che sono andate incontro a necrosi.

Può talvolta essere utile l’ecocardiogramma, un esame che mediante l’utilizzo di ultrasuoni consente di visualizzare e osservare il cuore nelle sue dimensioni, forma e movimento.

Come si interviene in caso di infarto?

La diagnosi viene confermata con l’esecuzione di una coronarografia urgente, un esame invasivo che si esegue tramite l’introduzione di un piccolo catetere da un accesso arterioso a livello del polso o dell’inguine. La coronarografia permette di visualizzare le coronarie e identificare la sede dell’ostruzione. Una volta confermata la diagnosi e identificata la sede dell’ostruzione coronarica, si procede immediatamente a riaprire il vaso con un intervento di angioplastica. Questa si esegue contestualmente alla coronarografia, utilizzando lo stesso accesso arterioso. L’intervento consiste nel dilatare un palloncino nella coronaria occlusa per riaprire la stessa e permettere al flusso di sangue di riprendere il suo corso. Alla dilatazione del palloncino segue l’impianto di uno stent coronarico, una piccola rete metallica cilindrica che viene posizionata a livello dell’occlusione per mantenere aperta l’arteria coronaria malata.

All’intervento di angioplastica segue una terapia medica basata principalmente su farmaci che riducono il rischio di nuove trombosi (antiaggreganti come l’aspirina e il ticagrelor o il prasugrel) e che riducono il colesterolo (come le statine). Queste medicine sono fondamentali per ridurre il rischio di recidive.

L’infarto si può prevenire?

Sebbene non si possa evitare del tutto un evento come l’infarto, è possibile ridurre i fattori di rischio a esso correlati, intervenendo in particolare su quelli modificabili e dunque prestando attenzione al proprio stile di vita e, su consiglio del medico, alla terapia medica per controllare i fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia.

È bene, per esempio, assicurarsi un’alimentazione varia ed equilibrata che prediliga cereali, legumi, frutta e verdura e che – a grassi saturi e colesterolo (burro, carni rosse) – preferisca olio extravergine di oliva, pesce e carni bianche. Importante poi anche il ruolo di una regolare attività fisica aerobica (almeno tre volte alla settimana per 45 minuti, come correre, camminare a passo sostenuto, nuotare, andare in bicicletta) che contribuisce a mantenere il peso corporeo nella norma, a migliorare la capacità del cuore di pompare il sangue e a tenere sotto controllo la pressione arteriosa. È fondamentale poi non fumare.

Sulla salute del cuore ha poi anche un peso lo stress in quanto impatta sulla pressione arteriosa: una condizione continua di stress infatti aumenta i valori della pressione che sono correlati al rischio cardiovascolare. Inoltre lo stress può modificare le placche aterosclerotiche nelle coronarie, causandone la rottura e favorendo così un evento come l’infarto. Tenere sotto controllo i valori della pressione arteriosa può essere di aiuto a monitorare la situazione: una condizione di stress infatti può determinare un aumento della pressione.