CONTATORE PERSONE

30/09/25

Quanti anni ci vogliono per testare un vaccino?

 Di solito lo sviluppo di un vaccino richiede molto tempo, perché è un processo che deve garantire sicurezza ed efficacia.

In termini generali:

  • Fase di ricerca preclinica: dura in media 2-5 anni, durante i quali si studia il patogeno e si testano molecole su modelli animali.

  • Fase clinica (test sull’uomo): si articola in tre stadi principali.

    • Fase I: poche decine di volontari sani, per verificare sicurezza e dosaggio.

    • Fase II: centinaia di persone, per valutare risposta immunitaria ed effetti collaterali.

    • Fase III: migliaia di volontari, per misurare l’efficacia reale e confermare la sicurezza.

  • Approvazione e produzione: solo se i risultati sono positivi, si passa alla valutazione da parte delle autorità regolatorie.

Nel complesso, lo sviluppo di un vaccino può richiedere dai 10 ai 15 anni.



Tuttavia, in situazioni di emergenza (come per il COVID-19), i tempi possono essere compressi grazie a:

  • finanziamenti straordinari,

  • condivisione dei dati tra laboratori,

  • procedure accelerate di autorizzazione.

    Ecco una tabella riassuntiva dei tempi medi di sviluppo di un vaccino:

    FaseDurata mediaObiettivo principale
    Ricerca preclinica2 – 5 anniStudio del patogeno, test su animali
    Fase I (clinica)Pochi mesi – 2 anniSicurezza e dosaggio su decine di volontari
    Fase II (clinica)1 – 2 anniRisposta immunitaria, effetti collaterali su centinaia di persone
    Fase III (clinica)2 – 4 anniEfficacia e sicurezza su migliaia di volontari
    Revisione e approvazione1 – 2 anniValutazione da parte delle autorità regolatorie
    Produzione e distribuzioneVariabile (mesi–anni)Messa a disposizione su larga scala

    👉 Totale medio: 10–15 anni (riducibili a 1–2 anni in emergenze sanitarie).

    dati da internet

Sindrome dell’intestino gocciolante (permeabile): sintomi, diagnosi e cura

 

Cefalea, stanchezza cronica, irritabilità possono essere sintomi della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante. Una patologia sempre più frequente che porta al deterioramento della barriera intestinale con il rischio di sviluppare allergie ed altri disturbi 

La sindrome dell’intestino permeabile o sindrome dell’intestino gocciolante (Leaky Gut Syndrome), è una condizione in cui la barriera intestinale non è più in grado di svolgere la sua funzione protettiva, che consente l’assorbimento dei nutrienti e impedisce l’ingresso di tossine, agenti patogeni o sostanze allergizzanti nel circolo sanguigno.

La barriera intestinale è di fondamentale importanza, non solo per il benessere fisico e psichico, ma anche per la salute e la buona risposta del sistema immunitario. Se questa barriera viene meno, siamo più esposti ad una serie di rischi che possono portare allo sviluppo di allergie, disturbi, problemi alla tiroide e malattie autoimmuni.

La dottoressa Giulia Temponi, biologa nutrizionista in Imbio, ci spiega quali sono le possibili cause di questa sindrome, come riconoscerla e come l’alimentazione può giocare un ruolo fondamentale nella cura.

Cause della sindrome dell’intestino permeabile 

Le cause della sindrome dell’intestino permeabile o gocciolante possono essere diverse.
Alla base può essere causata da stress fisici prolungati, sovrallenamento, cattiva alimentazione (eccessi alimentari, abuso di zuccheri e cereali raffinati, ecc…), utilizzo di farmaci come antibiotici o fans, abuso di lassativi, deficit enzimatici e disbiosi (disequilibrio della flora batterica).

A seguito di queste situazioni le funzioni della barriera si possono alterare innescando un processo infiammatorio ed un’iper-reattività del sistema immunitario. Questo può portare a malattie infiammatorie croniche o autoimmuni, come ad esempio la celiachia e la psoriasi.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino permeabile?

sintomi più comuni della sindrome dell’intestino permeabile (sindrome dell’intestino gocciolante) sono:

  • cefalea
  • irritabilità
  • ansia
  • sbalzi d’umore
  • stanchezza cronica
  • dolori articolari e muscolari
  • disturbi intestinali (intestino irritabile, costipazione, gonfiore addominale, diarrea)
  • allergie e intolleranze alimentari
  • alterazioni tiroidee (soprattutto ipotiroidismo)

Gli sbalzi d’umore sono connessi al rilascio di serotonina, che ha origine proprio nell’intestino.

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https://www.imbio.it/sindrome-dellintestino-gocciolante-permeabile-sintomi-diagnosi-e-cura/?fbclid=IwY2xjawNJM8NleHRuA2FlbQIxMQABHo0Ys3KOjAWqSlpwXSPMVQCiA_mf-O9lf22XbeNefF7mdc7Kim2qNFCrPoUe_aem_wTCIBXdTyVHFFxdBrClScA

27/09/25

Colazione, un alleato per il benessere mentale e per il cuore

L’importanza della colazione nella regolazione della salute fisica e mentale è un tema sempre più studiato. Non si tratta solo di una buona abitudine, ma di un fattore che può influenzare il nostro benessere psicologico. Un recente studio pubblicato su BMC Psychiatry ha evidenziato che una colazione ricca di calorie può ridurre il rischio di depressione, soprattutto nelle persone con patologie cardiovascolari, una condizione che spesso si accompagna a disturbi dell’umore. Questa ricerca si inserisce in un filone di studi sempre più ampio che sottolinea il legame tra alimentazione e salute mentale, non solo per la qualità e la quantità del cibo assunto, ma anche per il momento della giornata in cui viene consumato. Questo approccio, noto come crononutrizione, evidenzia come il “quando” si mangia sia tanto importante quanto il “cosa” e il “quanto”.

MIGLIORA IL BENESSERE PSICHICO

Ma vediamo da vicino l’indagine cui accennavamo, condotta dal professor Hongquan Xie della Harbin Medical University della Cina. Il quale si è avvalso, con i colleghi, dei dati raccolti tra 2003 e 2018 su 31.683 persone arruolate negli Stati Uniti dal National Health and Nutritional Examination Survey. Tra questi volontari, 3.490 risultavano avere problemi cardiovascolari (età media 66 anni) e 554 anche depressione
A tutti era stato chiesto di indicare che cosa mangiavano durante il giorno, e il cibo era stato calcolato in calorie o in macronutrienti (carboidrati, proteine….).

E’ stato qui, all’interno di valutazioni incrociate, che è emerso l’effetto di benessere psichico, aumentato del 30 per cento, in chi aveva fatto una prima colazione abbondante. Lo stesso effetto non si produceva aumentando le calorie di pranzo e cena. 

“QUANDO” IMPORTANTE COME IL “CHE COSA”

Si è constatato addirittura che togliendo il 5 per cento di calorie da uno dei due pasti principali per aggiungerlo alla prima colazione, diminuiva di un ulteriore 5 per cento il rischio depressivo. Si è imposto questo principio della crononutrizione: «Quando mangiamo è importante come il che cosa mangiamo». 
Ne discende, come concludono i ricercatori cinesi, che dobbiamo consumare l’energia costituita dall’alimentazione in accordo con le fluttuazioni del nostro orologio biologico interno se vogliamo ridurre il rischio di depressione.



IL FATTORE TEMPO

Uno dei massimi esperti di cronobiologia, il professor Roberto Manfredini, dell’Università di Ferrara, si spinge a dire che il fattore ‘quando’ ha almeno la stessa importanza del ‘quanto’ e del ‘cosa’ si mangia. Richiamando una massima dell’indiscusso padre fondatore della scienza del tempo, la Cronobiologia, Franz Halberg (1919-2013):

“Tempus, non solum dosis, venenum facit”, non solo la dose ma anche il tempo (di somministrazione) può fare di un farmaco un veleno. «Nell’esperienza comune, molte persone saltano la prima colazione – osserva Manfredini – semmai pensando o di perdere un po’ di peso oppure di 
risparmiare qualche caloria e poter mangiare un po’ di più a pranzo o a cena. 
Che errore! 
Chi salta la colazione ingrassa di più perché va incontro a inevitabili crisi di fame che poi lo inducono a mangiare di più e voracemente, e spesso cose sbagliate. 
Per non dire che poi manca di energie nella fase cruciale delle attività del mattino».


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https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/neuroscienze/colazione-un-alleato-per-il-benessere-mentale-e-per-il-cuore