CONTATORE PERSONE

01/01/20

Sulla Terra niente distrugge batteri e virus meglio dell’ozono.

a.d.
L’ozono è un gas che, in natura, si forma nell’atmosfera grazie a scariche elettriche che modificano la stabile struttura molecolare dell’ossigeno (O2), trasformandolo in O3. Ha un colore lievemente blu e un odore pungente. Una molecola di ozono è quindi formata da tre atomi di ossigeno ed è instabile: uno dei tre atomi tende infatti a separarsi per unirsi ad altre strutture molecolari, facendo ritornare la molecola di ossigeno (O2) alla sua forma stabile. Ma è proprio da questa instabilità che derivano le sue proprietà benefiche.
Sulla Terra infatti niente distrugge batteri e virus meglio dell’ozono. Può essere usato inoltre per eliminare, funghi, muffe, pesticidi, metalli pesanti, nitrati, nitriti e altre sostanze potenzialmente dannose. Grazie alla sua capacità di ossidazione, uccide i batteri attaccando la struttura molecolare delle loro membrane protettive e alterandone gli enzimi interni. Modificando la composizione molecolare di muffe, funghi e alghe, riesce ad annientarli. L’ozono è inoltre in grado di penetrare nelle strutture interne dei virus, danneggiando gli acidi nucleici virali e impedendo così la loro replicazione.
Non esiste quindi batterio, virus o fungo che possa resistere a una corretta dose di ozono, somministrata nei tempi giusti. Inoltre, normalizza e riequilibra il sistema immunitario, intervenendo contro le immunodeficienze e contro le risposte in eccesso come, per esempio, nel caso delle allergie. Senza dimenticare le sue proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie, e la capacità di migliorare il metabolismo cellulare. Nelle zone del corpo dove viene somministrato, l’ozono migliora la circolazione sanguigna, soprattutto il microcircolo dei capillari, scioglie i grassi corporei (molto efficace contro cellulite e adiposità localizzate) e agisce contro i muscoli tesi e contratti.
L’ossigeno-ozono terapia può anche essere un valido rimedio al problema sempre maggiore della resistenza dei batteri agli antibiotici. Un fenomeno alimentato dall’abuso o dall’uso scorretto di farmaci che stimolano nei batteri la capacità di resistere alla loro azione. L’ozono è in grado di annientare anche quei ceppi batterici contro cui si dimostrano inefficaci anche gli antibiotici più potenti in circolazione.
L’ozono può essere somministrato in diversi modi, tutti certificati da protocolli medico scientifici autorizzati dalla Sioot e approvati dal Ministero della Salute:
Grande autoemoinfusione: si prelevano 100 o 200 cc di sangue da una vena del braccio del paziente. Il sangue finisce in una sacca certificata. Senza staccare dal paziente l’ago del prelievo, un apposito dispositivo inserisce una miscela gassosa di ossigeno e ozono nella sacca e la mescola con il sangue prelevato. Il laccio emostatico viene quindi tolto dal braccio del paziente, la sacca viene sollevata e il sangue riaffluisce nell’organismo del paziente, portando con sé l’ozono e tutti i suoi effetti benefici.
Piccola autoemoinfusione: il principio è lo stesso della grande autoemoinfusione, con la differenza che nella piccola autoemoinfusione sono prelevati pochi cc. di sangue dal paziente, arricchiti con la miscela gassosa di ossigeno e ozono e reiniettati con una siringa per via intramuscolare anziché per via endovenosa.
Iniezioni di ossigeno-ozono sottocutanee, intramuscolari e intrarticolari: la miscela di ossigeno-ozono viene iniettata in diverse quantità, in diversi modi e in diverse zone del corpo, in base alla patologia da curare.
Insufflazioni di ossigeno-ozono rettali, anali, vaginali, uterine e uretrali: la miscela di ossigeno e ozono viene introdotta nelle rispettive zone attraverso dei piccoli cateteri. L’ozono entra così in contatto diretto con tessuti soggetti a infezioni, infiammazioni, irritazioni, dolori o altre condizioni di disagio.
Via topica: si applica su mani, braccia, piedi e gambe. La zona interessata viene avvolta in un sacchetto isolante di materiale plastico in cui viene fatto affluire l’ozono.
Idropinica: il paziente beve regolarmente acqua ozonizzata e il suo organismo può così godere dei benefici globali dell’ozono.
La validità dei metodi di somministrazione dell’ozono e dell’ossigeno-ozono terapia come strumento di cura di numerose patologie è confermata da una bibliografia di oltre 1800 lavori pubblicati dal 1995 a oggi su www.pudmed.com, una sorta di enciclopedia online che riporta tutti i lavori scientifici pubblicati sulle più importanti riviste mediche.
È assolutamente proibito iniettare la miscela di ossigeno-ozono direttamente nelle vene o nelle arterie. Da evitare anche la somministrazione per via respiratoria, le cui controindicazioni sono documentate da oltre 1750 pubblicazioni.
Per saperne di più sulle patologie curabili con l’ossigeno-ozono terapia, suggeriamo la consultazione della sezione INDICAZIONI CLINICHE su questo sito internet.

Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente

Associazione apartitica, laica e aconfessionale, senza fini di lucro
vive solo dei versamenti dei soci e di liberi contributi

Per l'abolizione della dichiarazione di "morte cerebrale" a cuore battente
imposta dalla legge per espianti-trapianti,
 un crimine contro l'umanità

Per il diritto alla vita, alla libertà, all'integrità della persona
Per la difesa dei malati che hanno perso la coscienza e la cura secondo la loro volontà

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http://www.antipredazione.org/

Il glutatione è una delle molecole più importanti a livello organico.

a.d.
Scopriamo cos’è e se nel nostro corpo ce n’è a sufficienza per ottenerne tutti i benefici. L’intervista al Prof. Fulvio Marzatico, Laboratorio di Farmacobiochimica Nutrizione e Nutraceutica del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie
Benessere non significa necessariamente seguire rigorosamente una certa dieta, andare a faticare in palestra o correre per chilometri. Può anche significare avere dentro sé una molecola dal nome curioso, ma fondamentale. È il Glutatione, ed è una delle molecole più importanti a livello organico, perché ubiquitaria, ossia si trova – o si dovrebbe trovare – dappertutto .
Cos’è? – «Il glutatione interessa con la sua presenza tutte le cellule, sebbene in concentrazioni diverse. È costituito da 3 amminoacidi: acido glutammico, cisteina e glicina” – spiega il prof. Fulvio Marzatico, del Laboratorio di Farmacobiochimica Nutrizione e Nutraceutica del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Lazzaro Spallanzani” dell’Università di Pavia. “La sua azione detossificante è assai potente – continua Marzatico – e presiede al mantenimento dell’equilibrio ossidoriduttivo, determinante quando si tratti di contrastare l’ossidazione, cioè le alterazioni cellulari dannose per l’intero organismo e per la sopravvivenza stessa delle cellule».
Fegato sano e non solo – Il glutatione svolge un ruolo di primo piano determinante a livello epatico. Qui raggiunge concentrazioni molto elevate atte a contrastare l’accumulo di sostanze cosiddette “xenobiotiche”, che sono poi sostanze di scarto estranee all’organismo e provenienti dall’alimentazione, dalla respirazione eccetera. Queste intossicano le cellule innescando importanti processi di degenerazione cellulare.
Mantenersi in salute – Se vogliano mantenerci in buona salute è fondamentale che la quantità di glutatione sia adeguata. Accade però che l’avanzare dell’età e fattori esterni riducano la presenza di questa molecola vitale. I naturali sistemi di ricarica del glutatione ridotto possono infatti perdere efficienza nel tempo. Oppure possono deteriorarsi a causa di un accumulo eccessivo di sostanze tossiche, soprattutto a livello epatico: vedi per esempio il vizio del fumo, il consumo di alcol, ma anche l’esposizione all’inquinamento, alle radiazioni solari e così via.
Anche alcune patologie possono concorrere alla perdita di glutatione: le malattie del fegato, il diabete di tipo II – legato anche a condizioni di obesità – e la sindrome metabolica.
Esercizio sì, ma moderato – Fare esercizio è bene, ma se eccessivo può essere male. Sport e attività fisica, se praticati in modo eccessivo possono diventare stressogeni, contribuendo così alla riduzione del glutatione con dirette e negative conseguenze sul benessere che tanto si rincorre. Il segreto è, dunque, fare esercizio ma con moderazione. E poi non dimentichiamo una corretta supplementazione, specie se si conduce una vita frenetica e se si è già più avanti con gli anni.
Le nuove scoperte – Fino a oggi la letteratura e la ricerca scientifica ritenevano che la molecola di glutatione ridotto fosse quasi impossibile da assumere per via orale. Una volta arrivata all’intestino non veniva assorbita nella sua forma tripeptidica ma scomposta nei tre aminoacidi, perdendo così di efficacia. Per questo motivo, si è sempre fatto ricorso alla somministrazione per via venosa – una soluzione poco pratica e invasiva. Le cose però, e per fortuna, sono cambiate. Oggi possiamo contare su integratori di nuova generazione e assumibili per via orale.

Uno di questi è Glutaredox Named, una formulazione brevettata che può avvalersi di un’innovativa modalità di veicolazione del glutatione ridotto all’interno dell’organismo: la tecnologia Oro-FS- Releise. Il glutatione ridotto si rende velocemente disponibile a livello organico, perché può oltrepassare facilmente membrane particolarmente recettive quali quelle orali e sub-linguali, bypassando le barriere intestinali. «Si tratta di un’innovazione molto interessante per le applicazioni che introduce, e che è stata oggetto di studi in vitro e in vivo, nei quali abbiamo riscontrato e verificato l’effettivo aumento dei livelli di glutatione ridotto a seguito della somministrazione di Glutaredox per via orale», conclude il prof. Fulvio Marzatico.


LA DISBIOSI INTESTINALE FAVORISCE LE MALATTIE AUTOIMMUNI

a.d.
L’alterazione della flora batterica intestinale è stata anche collegata a diabete, sclerosi multipla, artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico (LES)


Le perturbazioni del microbiota intestinale (disbiosi) sono coinvolte nell’insorgenza di malattie autoimmuni (diabete di tipo 1, sclerosi multipla, artrite reumatoide e lupus erimatoso sistemico). Lo hanno dimostrato i ricercatori della School of Health Sciences (Brasile). In condizioni fisiologiche il microbiota (flora batterica) e l’individuo sono in simbiosi: da una parte il microbiota aiuta l’ospite a digerire carboidrati, a sintetizzare vitamine, a prevenire la colonizzazione di batteri patogeni ed a sviluppare il tessuto linfoide gastrointestinale, coinvolto nelle difese immunitarie; dall’altra l’individuo offre i nutrienti necessari alla sopravvivenza del microbiota.
Se questa relazione viene compromessa per alterazione dei batteri (disbiosi), il microbiota contribuisce allo sviluppo di malattie infettive e autoimmuni, mediante rottura della barriera intestinale, infiammazione e interazione tra batteri intestinali e cellule immunitarie. I probiotici (microrganismi vivi: Bifidobatteri e Lattobacilli) sono stati utilizzati con successo contro queste patologie. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Immunology nel settembre 2017.
Microbiota e disbiosi
La superficie della pelle e la mucosa intestinale, soprattutto del colon, sono popolate da un elevato numero di microrganismi (principalmente batteri commensali). Alla nascita, la colonizzazione del microbiota dipende da molti fattori: composizione del microbiota materno, nascita da parto cesareo o naturale, allattamento al seno o da formula.
Parto cesareo e latte formula vengono associati ad una elevata incidenza di problematiche infettive e allergiche. I generi più numerosi sono composti da batteri Gram positivi (Clostridium, Bifidobatteri, Lattobacilli, Ruminococchi, Streptococchi) e Gram negativi (Bacteroidetes ed Escherichia), che regolano lo sviluppo dei linfociti T helper Th17 nell’intestino, essenziali nella difesa dalle infezioni batteriche e fungine. L’alterazione di questi (disbiosi) porta a rottura della barriera intestinale, riconoscimento di recettori nelle cellule immunitarie innate, induzione della cascata infiammatoria, attivazione della risposta immunitaria.
Malattie autoimmuni, disbiosi e probiotici
I soggetti con diabete di tipo 1 che, a causa dell’autodistruzione delle cellule beta pancreatiche, sono dipendenti da iniezioni di insulina per la regolazione del livello del glucosio nel sangue, hanno mostrato alterazioni consistenti nell’incremento di Bacteroidetes e riduzione di Bifidobacterium longum, sottospecie di infantis.
Viene a mancare loro la protezione dei Bifidobatteri, sintetizzatori di vitamine del gruppo B, produttori degli acidi grassi lattato, butirrato e acetato, stimolanti il rilascio di polifenoli antinfiammatori e antiossidanti. I Bifidobatteri, inoltre, mantengono serrate le giunzioni della barriera intestinale e proteggono dai batteri patogeni mediante il rilascio di bacteriocina.
La sclerosi multipla, #malattia cronica e infiammatoria con reazioni autoimmuni contro le proteine della mielina, compare anche a causa di infezioni ti tipo virale, con regime dietetico ipercalorico, per una deficienza di vitamina D e disbiosi (aumento di Methanobrevibacter smithii e riduzione di Firmicutes); il microbiota può influenzare la permeabilità della barriera ematoencefalica.
L’artrite reumatoide, malattia autoimmune con infiammazione cronica delle giunture ed erosione di ossa e cartilagine, si manifesta per interazione tra geni e fattori ambientali (fumo, infezioni e disbiosi). E’ stato osservato, in concomitanza, un aumento del batterio Gram negativo Prevotella copri, che produce metaboliti tossici nel circolo sanguigno, promotori di infiammazione sistemica.
Il lupus eritematoso sistemico (malattia autoimmune che danneggia pelle, reni, polmoni, giunture, cuore e cervello), affligge principalmente le femmine e compare a causa di fattori genetici, ambientali (infezioni virali, ed esposizione ai raggi solari UVB) e disbiosi intestinale. L’uso dei probiotici (Lattobacilli acidophilus, casei e Bifidobatteri bifidum) ha indotto miglioramenti nell’ospite mediante ripristino della barriera intestinale e attivazione del sistema immunitario contro i batteri patogeni: nei bambini con rischio genetico di diabete di tipo 1 durante il primo anno di vita, ha diminuito il rischio di autoimmunità delle isole pancreatiche.
Nell’artrite reumatoide ha invece attenuato i markers di infiammazione.

Scoperta molecola chiave nella cura delle malattie infiammatorie croniche intestinali

a.d.
Si tratta della proteina IL-33, in grado di favorire la riparazione delle pareti intestinali danneggiate grazie all’attivazione di specifici microRna.

Lo studio su Pnas
PER lo più invisibili dall’esterno, ma in grado di avere un forte peso sulla vita di tutti i giorni: sono le malattie infiammatorie croniche intestinali o più comunemente indicate con l’acronimo Ibd (inflammatory bowel diseases). Sia il morbo di Crohn sia la rettocolite ulcerosa - le due più importanti - provocano danni alla mucosa dei tratti di intestino dove sono localizzate. Uno studio internazionale, coordinato da esperti della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica e della Case Western Reserve University di Cleveland (Ohio, USA), ha ora individuato una proteina che potrebbe avere un ruolo chiave nella cura di queste patologie di origine multifattoriale complessa.

Si tratta della proteina IL-33, una molecola in grado di favorire la riparazione delle pareti intestinali danneggiate dalla malattia. In che modo? Mediante l’attivazione di altre sostanze ad azione riparativa, i microRna (mRna). I ricercatori hanno osservato come, sia nei modelli animali sia su cellule intestinali umane, IL-33, proprio grazie all’azione di specifici mRna coinvolti, può guarire la parete intestinale. Questo accende nuove speranze e suggerisce nuove possibilità di cura per le malattie infiammatorie intestinali, caratterizzate da periodi di latenza alternati a fasi di riacutizzazione, la cui incidenza è in aumento nei paesi industrializzati.
Lo studio - coordinato dal professor Antonio Gasbarrini, direttore Area Gastroenterologia ed Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Università Cattolica - è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas. È stato diretto da Loris Lopetuso e condotto in collaborazione con il team della professoressa Theresa Pizarro presso il Dipartimento di Patologia della Case Western Reserve University – School of Medicine di Cleveland. Una ricerca resa possibile anche grazie alla innovativa IBD Unit della Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS.

• LA PROTEINA IL-33
Il coinvolgimento della proteina Interleuchina 33 e del suo recettore ST2 nelle malattie infiammatorie croniche intestinali è già noto, ma i diversi studi che finora hanno cercato di stabilire il loro ruolo preciso hanno portato a risultati ambigui. “In questo studio su un modello murino - spiega il dottor Loris Lopetuso - per la prima volta abbiamo scoperto che IL-33 e il suo recettore hanno un’importante funzione protettiva per le pareti intestinali: riescono, infatti, ad accelerare i processi di guarigione. Questo avviene tramite l’espressione di un network di micro RNA (miRs), in particolare del miR-320”. I ricercatori hanno osservato sia cellule isolate dall’intestino dei topi con colite sia cellule intestinali umane in provetta. “Negli animali trattati con IL-33, il miR-320 risulta fortemente espresso nelle cellule epiteliali isolate dall’intestino”, prosegue Lopetuso. Utilizzando cellule intestinali in provetta prive di miR-320A, invece, la riparazione cellulare si blocca nonostante la somministrazione della proteina IL-33.

“La mancanza di IL-33 o del suo recettore ST2 – spiega Gasbarrini - impedisce il completamento del processo di guarigione mucosale dopo un danno infiammatorio. Invece, la somministrazione terapeutica (esogena) di IL-33 durante la fase di riparazione del danno mucosale è in grado di accelerare in maniera significativa la formazione di nuovo epitelio (riepitelizzazione) e la guarigione, con un concomitante miglioramento dell’infiammazione intestinale”.

Nel complesso, tali dati indicano che, durante le fasi di infiammazione intestinale, l’asse IL-33/ST2 svolge un ruolo cruciale nel processo di guarigione intestinale mediante l’attivazione di miR-320 che, a sua volta, promuove la riparazione epiteliale e la risoluzione dell’infiammazione.

• LE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
In Italia sono circa 200.000 le persone affette da queste patologie e, ogni anno si contano circa 20 nuovi casi ogni 100.000, un tasso di incidenza in costante aumento, come in tutti i paesi industrializzati. Sono malattie che possono presentare diversi gradi di gravità ma, sicuramente, hanno una significativa influenza sulla vita del paziente compromettendo in molti casi anche l’attività lavorativa.

Le Ibd colpiscono indipendentemente i due sessi, con un esordio clinico tra i 15 e i 45 anni, quindi prevalentemente giovani e giovani-adulti. La causa è sconosciuta: l’ipotesi più diffusa è quella di una reazione immunologica abnorme dell’intestino nei confronti di antigeni, come i batteri normalmente presenti nell’intestino. Uno squilibrio, si pensa, dovuto sia a fattori genetici sia a fattori ambientali.


• I SINTOMI
I sintomi sono diversi: per la malattia di Crohn i più frequenti sono la diarrea e il dolore addominale localizzato soprattutto nella parte inferiore destra dell’addome; la rettocolite ulcerosa, invece, si manifesta con diarrea ematica (cioè sangue rosso vivo nelle feci), tenesmo rettale ( sensazione di incompleta evacuazione) e a volte anemia. Nei periodi in cui l’infiammazione si riacutizza compaiono anche altri sintomi come febbre, dimagrimento, inappetenza e un possibile coinvolgimento di altri organi e tessuti.


• LE TERAPIE
Si tratta di malattie che richiedono una terapia di tipo medico. Lo scopo è quello di garantire ai pazienti lunghi periodi in cui la malattia non si riacutizza. Ma la loro cronicità e l’elevato rischio di complicanze intestinali, e anche extra-intestinali, molto debilitanti impongono un approccio terapeutico sempre più specifico per un follow-up accurato. Oggi queste malattie si tengono a bada con un ristretto numero di agenti immunomodulanti (che agiscono sul sistema immunitario); l’efficacia, però, varia da paziente a paziente e spesso diminuisce con il passare del tempo.

L’individuazione della proteina IL-33 potrebbe essere una nuova strada da seguire. “Questo studio - sottolinea, infatti, il professor Gasbarrini - pone le basi razionali per la valutazione di un potenziale approccio terapeutico tramite l’azione protettrice dell’IL-33 e/o del miR-320”. Qual è, dunque, il prossimo passo della ricerca? “Sicuramente valutare come varia il comportamento di questo asse nell’uomo in risposta agli agenti immunomodulanti attualmente in commercio. Ci aspettiamo che tale asse funzioni meglio nei pazienti che rispondono maggiormente alle terapie disponibili. Per questo - conclude Gasbarrini - in futuro potremmo sfruttare questa molecola non solo come possibile target di innovativi farmaci biotecnologici, ma anche come marker di risposta mucosale precoce ai farmaci”.

CURARE L’INFEZIONE DA PAPILLOMA VIRUS (HPV) CON IL METODO RUFFINI

a.d.
"Con il Metodo Ruffini è possibile curare l'infezione da papilloma virus (HPV) semplicemente applicando sulla parte interessata l'ipoclorito di sodio nelle percentuali e nelle modalità indicate dal dott. Gilberto Ruffini nel suo manuale pratico CURARSI CON LA CANDEGGINA?" -
HPV: un virus ancora sconosciuto. Prima di parlare del Metodo Ruffini, facciamo chiarezza su incidenza e prevenzione del Papilloma virus.
HPV sta per Human Papilloma Virus ( papilloma virus umano). Si tratta di un virus a DNA della famiglia delle Papillomaviridae che comprende numerosissimi genotipi. L’infezione da HPV è la più comune e di
ffusa nel mondo tra quelle a trasmissione sessuale (MST) e può avvenire tramite semplice contatto nell’area genitale. Possono contagiarsi sia uomini che donne ma molto raramente ci sono manifestazioni cliniche nell’uomo.
Il virus è capace di innescare processi biologici che negli anni possono condurre a patologie anche potenzialmente molto degenerative, quali il cancro del cavo orale, della cervice uterina, della vulva, della vagina, dell'ano e del pene. Le vulvovaginiti da candida sono molto frequenti, il 75% delle donne ne soffre almeno una volta nella vita e nel 40-50% recidiva almeno una volta.
La candidosi vaginale spesso nasconde un’infezione da human papilloma virus HPV che, come ormai è
ampiamente dimostrato, è alla base del cancro del collo dell'utero.
Le recidive più pericolose sono sicuramente quelle che nascondono la presenza dello Human Papiloma Virus (HPV). In Italia si registrano 3500 casi di nuove infezioni da HPV all’anno.
Si stima che oltre il 75 % delle donne sessualmente attive contrae l’infezione da HPV con un picco di prevalenze nelle donne italiane prima dei 25 anni.
A di
fferenza delle altre malattie sessualmente trasmesse, l’utilizzo del profilattico non protegge completamente dall’infezione (in quanto il virus può essere presente in tutta l’area genitale anche esterna),
ma riduce il rischio.
Delle MST (malattie sessualmente trasmissibili) ne ho parlato qui: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=763736330307256&set=a. 763736323640590.1073742046.490306234316935&type=1&theater
Il virus del Papilloma umano (HPV) comprende un gruppo di circa 100 ceppi virali differenziati in base al genoma, di cui circa una ventina potenzialmente infettivi per l'uomo:
Genotipi 6, 11, 40, 42, 43, 44, 54, 61, 70, 72 e 81 a basso rischio oncogeno;
Genotipi 16, 18, 26, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 53, 56, 58, 59, 66, 68, 73, 82 ad alto rischio oncogeno.
Tra i più noti ci sono i genotipi 6 e 11, responsabili di lesioni benigne come i condilomi o verruche genitali e i genotipi 16 e 18 in grado di produrre lesioni pre- cancerogene (dette CIN), cioè che possono evolvere nel tumore della cervice uterina (collo uterino).
Questo ultimo (il 18) è responsabile di 1500 decessi annui e rappresenta, assieme al tumore della mammella, una delle prime cause di morte nelle donne.
 
La prevalenza di questa infezione é molto alta negli adulti sessualmente attivi ed aumenta con il numero di partner sessuali.
Nella maggior parte dei casi l’infezione da HPV è asintomatica e si risolve spontaneamente, grazie alle semplici barriere rappresentate dalle difese immunitarie, in un periodo compreso tra 6 mesi e i 2 anni.
Solo una piccola percentuale delle donne contagiate sviluppa il tumore.
Alcuni fattori aumentano la probabilità di contrarre il virus: l’inizio precoce dell’attività sessuale, un numero elevato di partner, impiego a lungo termine di contraccettivi orali, la presenza di altre MST (malattie a trasmissione sessuale), multiparità (ossia aver avuto più figli), condizioni economiche svantaggiate che non consentono di sottoporsi alla diagnosi precoce (pap-test), ed infine gli stati di immunodeficienza.
Qualcuno si starà chiedendo: è possibile prevenire il contagio? E se è possibile con quali strumenti?
Lo screening continua a rappresentare un’arma fondamentale per la prevenzione del carcinoma della cervice uterina.
Cosa è lo screening? E’ un intervento sanitario che mira a mettere in evidenza la presenza di una eventuale malattia nelle sue fasi iniziali effettuando la cosiddetta diagnosi precoce. Per questo tipo di tumore lo screening è rappresentato dal Pap-test, un esame rapido e indolore che consiste nel prelievo delle cellule della cervice uterina che verranno analizzate dal citologo.
Un esame più specifico è l’HPV test, effettuato con la stessa modalità, che ricerca la presenza del virus ed il suo genotipo.
E' disponibile anche in farmacia un kit che tramite tecniche di PCR pcr (reazione a catena della polimerasi)
vi permette di fare la tipizzazione dell' HPV se il virus rientra nei 35 ceppi identificati dal test (HPV typingTM)
La PCR è una tecnica che permette di amplificare una specifica sequenza di DNA milioni di volte in poche ore. La tecnica sta rivoluzionando molte aree della ricerca in genetica, quali la diagnosi delle malattie genetiche, la genetica forense, lo studio dei genomi e dell’evoluzione molecolare.
Attualmente in commercio sono presenti due vaccini contro i principali genotipi del virus HPV.
VACCINILa Food and Drug Administration (FDA) ha approvato due vaccini per la prevenzione del papillomavirus, in vendita anche in Italia: il Gardasil® e il Cervarix®.
Il Gardasil® è un vaccino quadrivalente prodotto dalla Merck. La FDA ha approvato il suo utilizzo per la prevenzione del tumore al collo dell’utero e di alcuni tipi di tumore alla vulva e alla vagina, causati dall’HPV di tipo 16 e 18 le due forme di HPV più pericolose che causano la maggior parte (70 per cento) dei tumori al collo dell’utero; inoltre è stato approvato per l’uso in entrambi i sessi per la prevenzione delle verruche genitali causate dall’HPV di tipo 6 e 11 che causano praticamente tutti i casi di verruche genitali (il 90 per cento).e può essere somministrato a uomini e donne di età compresa tra i 9 e i 26 anni.
Il Gardasil® viene somministrato con tre iniezioni intramuscolari in un arco di tempo di 6 mesi
Il Cervarix® è un vaccino bivalente prodotto dalla GlaxoSmithKline. La FDA l’ha approvato per l’uso nelle donne di età compresa tra i 10 e i 25 anni per la prevenzione del tumore al collo dell’utero causato dal papillomavirus di tipo 16 e 18.
Anche il Cervarix® viene somministrato in tre dosi in un arco di tempo di sei mesi.
Sia il Gardasil® che il Cervarix® sono basati su una tecnologia sviluppata in parte dai ricercatori del National Cancer Institute. L’NCI, che fa parte del National Institute of Health, ha venduto il brevetto alle due aziende farmaceutiche, la Merck e la GlaxoSmithKline, che hanno sviluppato i vaccini per la grande distribuzione.
Nessuno di questi due vaccini contro il papillomavirus si è dimostrato efficace al 100% nei casi di infezione causata da altri tipi di papillomavirus, alcuni risultati iniziali suggeriscono tuttavia che entrambi i vaccini potrebbero essere parzialmente efficaci contro alcuni altri tipi di HPV che provocano il tumore al collo dell’utero.
In generale, quindi, i due vaccini non riescono a prevenire il 30% circa dei casi di tumore al collo dell’utero; inoltre il Gardasil® non riesce a prevenire il 10% dei casi di verruche genitali.
Nessuno dei due vaccini, infine, previene le altre malattie sessualmente trasmissibili né è in grado di curare un’infezione in corso o un tumore già sviluppato.
Proprio perché i vaccini non offrono alcuna protezione generale contro tutti i tipi di HPV in grado di provocare il tumore al collo dell’utero, è importante che le donne vaccinate continuino a sottoporsi ai test di screening per questo tipo di tumore, esattamente come si consiglia di fare alle donne non vaccinate.
Il vaccino quindi, oltre ad essere molto discusso in quanto foriero di effetti avversi anche molto gravi ha una valenza prettamente preventiva, ma NON curativa (seppur da più parti spacciato come tale...).
E ' dunque il momento di porre fine a tutta la pubblicità abusiva progettata solo per rendere i genitori colpevoli se non vaccinano, in modo tale che vaccinando riempiano solo le tasche delle aziende farmaceutiche .
Ne ho parlato qui:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=766410320039857&set=pb. 490306234316935.-2207520000.1387397196.&type=3&theaterIn Francia è allarme per il vaccino contro il tumore al collo dell'utero, Gardasil®, distribuito dalla Sanofi. Diverse ragazze denunciano di aver contratto delle malattie, come la sclerosi multipla, in seguito all'iniezione del farmaco e sono partite le prime cause legali.
GUARDA IL VIDEO:
http://video.gelocal.it/ilpiccolo/mondo/francia-paura-per-il-vaccino-anticancro-gardasil/ 20783/20829Al momento, peraltro non è disponibile una casistica sufficiente per avvalorare le percentuali di efficacia terapeutica del vaccino in questione, e per questo invito alla cautela.
E gia' che ci sono volevo segnalarvi che il Transfactor 11 (GUNA) si è rivelato un eccellente presidio terapeutico (avendo dimostrato un'alta efficacia antivirale anche contro il papilloma virus), anche se forse non così completo come 2LPAPI e/o PAPIVA.
Ricordo che per questo tipo di terapie occorre essere seguiti da un medico omeopata o omotossicologo.
E ora vi parlerò del Metodo Ruffini (uso topico di ipoclorito di sodio tra il 6% e il 12%).
COME CURARE L’INFEZIONE DA PAPILLOMA VIRUS (HPV) CON IL METODO RUFFINIIl METODO RUFFINI è un trattamento dermatologico ad uso topico (esterno), non sistemico (interno) per la cura di patologie dermatologiche attraverso l’uso di Ipoclorito di Sodio calibrando le percentuali tra il 6% e il 12%.
Applicando l'Ipoclorito di Sodio così come spiegato nel Metodo del Dottor Gilberto Ru
ffini, si riesce ad aver ragione di una infinità di patologie legate alla pelle. Il prodotto non va mai ingerito né iniettato!
Un rimedio rapido, e
fficace e a basso costo per micosi, herpes, afte, psoriasi (prurito), forfora e tante altre patologie dermatologiche.
L’ipoclorito di sodio è altamente tossico per molti vari tipi di virus, batteri, funghi, parassiti.
Usato con una concentrazione tra il 6% e il 12%, è in grado di ELIMINARE il codice genetico del patogeno (funghi, virus, batteri, protozoi).
In questo video il dr Gilberto Ru
ffini spiega in modo dettagliato cosa sia il Papillomavirus e come possa essere contrastato con l'uso del Metodo Ruffini. Il dr Ruffini parla dei diversi tipi di virus
HPV (oncogeni e non) e di come attaccano la cellula sana e dal min 14 parla del vaccino contro il cancro dell’utero da HPV e di come l’HPV possa essere trattato con il suo Metodo dermatologico. Si, perché lo ricordo : il papilloma virus è una infezione virale sessualmente trasmissibile! VIDEO: http://youtu.be/xCUsSBIYOyo
METODO DI APPLICAZIONE DEL METODO RUFFINI NEI DISTURBI GINECOLOGICI
LAVAGGIO DELLE PARTI INTIME CON IL METODO RUFFINIIl 6% fino al 7,5% è un range terapeutico dentro cui ed indifferentemente, trovano indicazioni ed idoneità, tutte le mucose corporee : orali (nel cavo orale occorre uno sciacquo) e genitali, ano compreso.
TABELLA DILUIZIONI IPOCLORITO DI SODIOIl prodotto si acquista in farmacia alla diluizione del 14% e va ulteriormente diluito secondo i dettami del Metodo in questo modo:
IPOCLORITO DI SODIO PURO AL 14% SU 100 ML (usare un contenitore graduato) - Per ottenere un 6% = 45ml di ipoclorito e 55ml di acqua
- Per ottenere un 7% = 50ml di ipoclorito e 50ml di acqua
- Per ottenere un 7,5% = 55ml di ipoclorito e 45ml di acqua
Il prodotto se usato nelle modalità indicate dal dott. Ruffini non ha alcuna controindicazione. Inoltre è un prodotto che non può creare reazioni allergiche di alcun tipo (evitare il fai-da te).
LAVAGGIO ESTERNO Per quanto riguarda l’ano, l’ipoclorito non va introdotto nel canale, ma va lavata solo la parte esterna. Sopra il Pube, Pene, Glande (l’estremità anteriore del pene ricoperta dal prepuzio),
Scroto (la sacca che racchiude i testicoli) o Vulva (l’insieme degli organi genitali esterni femminili con grandi e piccole labbra comprese e perineo) basta lo stesso bagnare soltanto.
Nel canale vaginale, va fatto un lavaggio interno con una siringa precedentemente privata dell’ ago.
Sarebbe auspicabile che in casi di infezione da candida, papilloma virus e altre infezioni genitali, che il trattamento sia e
ffettuato da entrambi i partner al fine di evitare la reinfezione reciproca.

LAVAGGIO INTERNO (solo per femmine):Con siringa senza ago, riempita di Ipoclorito di Sodio al 6% fino al 7,5% introdurre 3cc o più nel canale vaginale, trattenere per i soliti 40-50 secondi poi rilasciare con calma e sciacquare con acqua di rubinetto tiepida.
Così facendo, si ha:
1. Immediata scomparsa degli HPV presenti (tutti i tipi), e virus herpetici
2. Scomparsa dei funghi (Candida)
3. Scomparsa del prurito (fino s’ intende, a nuove infezioni sempre possibili).
Una volta sola è più che su
fficiente.
* Avvertenza : non dimenticare di mettere i salva slip per almeno 2 ore in quanto l’ Ipoclorito scolora.
LAVAGGIO ESTERNO (per maschi e femmine):
Usare Ipoclorito di Sodio al 6% o 7,5% per un lavaggio ai genitali esterni: Pene, Glande, Scroto o Vulva con grandi e piccole labbra, Pube, Perineo con Ano compreso (non introdurre, lavare solo parte esterna), nonostante possibili brevi bruciori soprattutto all' Ano se presenti Ragadi o noxe infiammatorie varie concomitanti.
Ogni 2 mesi va bene come disinfezione generica.
* Avvertenza : non dimenticare di sciacquarsi bene con acqua e sapone in quanto l’ Ipoclorito scolora.
Nel canale vaginale, invece, come già detto va fatto un lavaggio interno con siringa senza l’ago.
NOTE: Il prodotto va usato a temperatura ambiente. Aumentando la temperatura di applicazione si avranno vantaggi supplementari : ogni 10°C di incremento, a non più di 35°, l’ipoclorito aumenta la sua forza antimicrobica, antivirale e antifungina del 50% (basta tenere in mano la boccetta per qualche minuto.
Oppure tenerne solo la parte occorrente - in quanto il prodotto al fresco - vicino a caloriferi per un quarto d'ora oppure vicino al forno acceso oppure ad una stufetta ... Oppure a bagnomaria in acqua calda - non bollente - non nel microonde...)
DISCLAIMER
Ricordo che le informazioni fornite sono ad esclusivo scopo informativo. Non si intende far utilizzare le nozioni contenute in questa pagina per scopi auto-diagnostici o prescrittivi.

Sito ufficiale: www.metodoruffini.it
Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/metodoruffini/
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Il grande neurologo Roy L. Swank aveva ragione.

Sclerosi Multipla - Nutrizione Problemi di flusso sanguigno composto.
a.d.

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Decenni prima, il defunto professor Swank, un pioniere della ricerca sulla SM, affermava in relazione alle anomalie venose "la frequente localizzazione delle lesioni patologiche (placche o aree di demielinizzazione) nel cervello e nel midollo spinale che circondano i piccoli canali venosi, suggeriscono che i piccoli I vasi sanguigni (microcircolazione), che comprende le arteriole, i capillari e le venule, svolgono un ruolo nella genesi della sclerosi multipla - guarda un'intervista con il professor Swank.
Nel luglio 2017 i ricercatori dell'Università di Oxford hanno aggiunto peso alle associazioni vascolari del Professor Swanks con la progressione della sclerosi multipla fornendo prove inequivocabili che, nel caso di quelli con sclerosi multipla progressiva, il fibrinogeno della proteina della coagulazione del sangue viene ampiamente depositato nella corteccia motoria. Questa grave deposizione di fibrinogeno è accompagnata da una densità neuronale significativamente ridotta. Il ruolo della corteccia motoria primaria è di generare impulsi neurali che controllano l'esecuzione del movimento. Sono necessari studi futuri per chiarire la fonte e la riconosciuta neurotossicità della fibrina (ogen) e il suo potenziale impatto sulla disabilità clinica.
Nutrizione Problemi di flusso sanguigno composto
Nel postulare una causa per queste piccole ostruzioni dei vasi sanguigni e la diminuzione del flusso sanguigno: Swank ha detto: "Una ricerca di un meccanismo che potrebbe causare sia un'interferenza, sia un rallentamento, del cervello ... il flusso sanguigno e la rottura della barriera emato-encefalica nel sistema nervoso centrale, porta ad una considerazione dei cambiamenti circolatori osservati in un certo numero di specie, incluso l'uomo, a seguito di abbondanti grassi saturi ". Lo ha seguito con una sperimentazione di intervento , in cui ha dato alle persone con SM una dieta povera di grassi saturi, con risultati sorprendenti . Maggiori informazioni su intese successiveriguardo al ruolo della perfusione / ipoperfusione del flusso sanguigno disturbato nella progressione della SM.
Il professor Jelinek (Australia), sottolineando il lavoro del professor Swank, ha dichiarato (2010) "È straordinario che noi della professione medica abbiamo ignorato il lavoro di Swank per così tanto tempo. Con il senno di poi, non solo ha sviluppato le sue teorie da studi epidemiologici di osservazione di base, come facciamo oggi, ma ha svolto attività di laboratorio per confermare che le probabili cause dei problemi circolatori nella sclerosi multipla sono caratterizzate da restringimento dei vasi sanguigni e riduzione del flusso sanguigno. Ha quindi mostrato che cambiare la dieta da grassi saturi a insaturi ha bloccato la progressione della malattia ". Sulla ricerca correlata del professor Jelinek

Nel luglio 2019, MS Research Australia ha riferito di ricerche longitudinali pubblicate nel Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychology che hanno identificato cinque cambiamenti genetici correlati a livelli anormali di grasso nel sangue che potrebbero contribuire alla progressione della disabilità della SM a un ritmo più rapido. I risultati suggeriscono che è una combinazione di cambiamenti genetici e il livello di grassi nel sangue che determinano una certa progressione della disabilità. I ricercatori hanno affermato che "questa interessante scoperta significa che potenzialmente potrebbe esserci un modo per modificare la progressione della disabilità della SM attraverso il trattamento di livelli anormali di grasso nel sangue, specialmente in quelli che hanno un rischio aumentato a causa dei loro geni". Lo studio ha seguito 184 persone con un sospetto attacco di sclerosi multipla per cinque anni