CONTATORE PERSONE

24/05/12

Sistema nervoso


A cura del Dott. Stefano Casali


Le cellule di nevroglia
  • Il numero delle cellule di nevroglia è 10 volte più alto rispetto a quello deineuroni;
  • Conservano la capacità di dividersi per tutta la vita;
  • Non sono coinvolte nella conduzione nervosa;
  • Si dividono in cellule localizzate nel SNC (astrociti, oligodendrociti che formano la macroglia, la   microglia e le cellule ependimali) e in quelle localizzate nel SNP (cellule di Schwann).
Astrociti (SNC)

Si conoscono due tipi di astrociti:
  • astrociti protoplasmatici, presentinella sostanza grigia del SNC;
  • astrociti fibrosi, presenti nella sostanza bianca del SNC.
Oligodendrociti (SNC)
  • Sono simili ai dendrociti, ma più piccoli e con meno prolungamenti;
  • Sono presenti sia nella sostanza grigia che in quella bianca;
  • Si distinguono due tipi:
Oligodendrociti interfascicolari - presenti fra i fasci di assoni, responsabili della formazione e del mantenimento della guaina mielinica attorno agli assoni. Sono simili alle cellule di Schwann, ma mentre quest'ultime sono in grado di avvolgere un singolo assone, gli oligodendrociti avvolgono più assoni contemporaneamente;

Oligodendrociti satelliti - sono strettamente adese al corpo cellulare dell'assone. La loro funzione non è nota.
Cellule ependimali (SNC)
  • Derivano dal rivestimento interno del tubo neurale e formano un epitelio cubico o cilindrico ciliato alle volte, con la funzione di muovere il liquido cerebrospinale;
  • Rivestono la cavità dei ventricoli cerebrali ed il canale del midollo spinale;
  • Alcune di loro si modificano nei ventricoli partecipando alla formazione dei plessi coroidei, responsabili della formazione del liquido cerebrospinale.
La microglia (SNC)
  • Il corpo cellulare è piccolo, di forma ellittica,  il nucleo ha forma allungata con l'asse maggiore parallelo a quello del corpo cellulare. Si riconoscono poiché le altre cellule hanno nuclei tondi;
  • Possiedono prolungamenti brevi ramificati. Alcune di loro hanno capacità fagocitaria e costituiscono il sistema fagocitario del tessuto nervoso.
Cellule di Schwann (SNP)
  • Si avvolgono attorno agli assoni nel SNP, formando il rivestimento mielinico;
  • Sono appiattite con nucleo piatto, pochi mitocondri e un piccolo apparato di Golgi;
  • La mielina è costituita dal plasmalemma della cellula che si avvolge più volte attorno all'assone.
Guaine mieliniche
  • Ad intervalli regolari la guaina si interrompe e queste regioni amieliniche si indicano come nodi di Ranvier;
  • Il segmento di fibra compreso fra due nodi di Ranvier  successivi si dice internodo o segmento internodale, esso è occupato da una sola cellula di Schwann.

La sinapsi e la conduzione dell'impulso nervoso

  • Le sinapsi sono siti dove gli impulsi nervosi passano da una cellula presinaptica(neurone) ad un'altra cellula postsinaptica(un neurone, una cellula muscolare o ghiandolare);
  • Le sinapsi quindi permettono la comunicazione fra neuroni e fra questi e le cellule effettrici.
La trasmissione dell'impulso nervoso può avvenire o elettricamente o chimicamente. Riconosciamo quindi due tipi di sinapsi:
  • Sinapsi elettriche;
  • Sinapsi chimiche.
Le Sinapsi elettriche:
  • Sono poco frequenti nei mammiferi, si incontrano nella retina e nella corteccia celebrale;
  • Sono realizzate tramite giunzioni comunicanti o nexus, che permettono libero flusso di ioni da una cellula all'altra;
  • Quando si realizza fra neuroni si genera flusso di corrente;
  • La trasmissione dell'impulso è più veloce nelle sinapsi elettriche.
Sinapsi chimiche:
  • Rappresentano il modo più frequente di comunicazione fra due cellule nervose;
  • La membrana presinaptica libera uno o più neurotrasmettitori nelle fessure intersinaptiche, spazi fra la membrana presinaptica della prima cellula e la membrana postsinaptica della seconda cellula;
  • Il neurotrasmettitore diffonde attraverso lo spazio intersinaptico e si lega ai  recettori della membrana postsinaptica;
  • Il legame sui recettori scatena l'apertura dei canali ionici che consentono il passaggio di ioni che modificano la permeabilità della membrana postsinaptica ed invertono il potenziale di membrana.
Potenziale eccitatorio:

Quando lo stimolo sulla sinapsi porta la depolarizzazione dellamembrana postsinaptica ad un livello tale da provocare un potenziale d'azione, si parla di potenziale postsinaptico eccitatorio.

Potenziale inibitorio:

Quando al contrario uno stimolo della sinapsi porta ad un aumento della polarizzazione si crea un potenziale postsinaptico inibitorio.

Tipi di sinapsi chimiche:
  • sinapsi assodendritiche (fra un assone e un dendrite);
  • sinapsi assomatiche (fra un assone e un soma);
  • sinapsi assoassoniche (fra due assoni);
  • sinapsi dendrodendritiche (fra due dendriti).
Bibliografia:

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Cellule satellite e iperplasia muscolare

La crescita muscolare è un processo estremamente complicato che per certi aspetti deve ancora essere chiarito. Il volume dei nostri muscoli è infatti regolato da numerosissimi fattori come geni, ormoni, enzimi, cellule, macro e micronutrienti, recettori ecc.
Il termine universalmente accettato per descrivere il fenomeno della crescita muscolare è "ipertrofia".
Una delle ricerche più affascinanti del settore è stata quella che nel 1961 ha portato alla scoperta delle cellule satellite. La caratteristica più interessante di queste cellule mononucleate risiede nella loro capacità di unirsi per generare nuove cellule muscolari. A differenza delle cellule satellite queste ultime non possiedono tale caratteristica e, seppur soggette ad un continuo turnover, possono solamente aumentare di dimensioni (ipertrofia) ma non di numero (iperplasia).

Ipertrofia muscolare


In condizioni normali le cellule satellite non partecipano allo sviluppo muscolare. Esse si trovano infatti in uno stato di quiescenza e diventano attive soltanto in particolari circostanze (soprattutto in risposta a forti stimoli ormonali oppure in seguito ad un forte trauma muscolare). Queste cellule possiedono quindi una potente azione rigeneratrice.
Dopo essere entrate in funzione le cellule satellite iniziano a dividersi e a moltiplicarsi dando origine ai mioblasti (cellule embrionali progenitrici di quelle muscolari). Questa prima fase è chiamata "proliferazione delle cellule satellite".
I mioblasti di nuova formazione si fondono con le cellule muscolari danneggiate donandogli i loro nuclei (fase della differenziazione). Le cellule muscolari polinucleate sono il risultato di tale unione, ed il loro nome deriva dalla presenza di più di un nucleo all'interno della stessa cellula.
L'aumento del numero dei nuclei permette a tali cellule di aumentare notevolmente la sintesi proteica producendo, tra l'altro, anche più proteine contrattili (actina e miosina) e più recettori per gli androgeni (ormoni con effetto anabolico).
L'insieme di tutti questi processi, chiamato ipertrofia muscolare, porta ad un aumento complessivo delle dimensioni della cellula muscolare.

Iperplasia muscolare


I mioblasti hanno anche la capacità di fondersi tra loro e generare così nuove cellule muscolari. Questo processo, chiamato iperplasia, ricopre un ruolo marginale nella crescita muscolare, che viene regolata soprattutto dall'ipertrofia.

Cellule satellite


E' importante sottolineare che il trauma muscolare può essere causato anche da un allenamento particolarmente intenso e sfibrante. Gli esercizi con i pesi e la corsa in discesa (contrazione muscolare eccentrica) rappresentano quindi un potente stimolo per l'attivazione delle cellule satellite.

Attivazione delle cellule satellite

Come accennato all'inizio dell'articolo le cellule satellite sono normalmente inattive. La loro proliferazione può essere innescata da fattori ormonali o da un importante trauma a livello muscolare.
Gli ormoni in grado di attivare le cellule satellite sono diversi e collaborano tra loro espletando un'azione comune (testosteroneinsulinaHGHIGF-1 ed altri fattori di crescita come l'MGF*, l'FGF** e l'HGF***). Per questo motivo l'assunzione di steroidi anabolizzanti, abbinata ad una dieta iperproteica e ad un allenamento adeguato, aumenta la massa muscolare stimolando l'ipertrofia ed in misura minore la formazione di nuove cellule muscolari (iperplasia).
Non tutti gli anabolizzanti agiscono però allo stesso modo. Sotto questo punto di vista gli effetti anabolici migliori sono attribuibili agli ormoni con forte attività androgena e/o aromatizzabili. Questi due aspetti sono tuttavia responsabili di buona parte dei più pericolosi effetti collaterali legati agli steroidi (ipertrofia prostatica, acne, caduta dei capelli, aggressività, ginecomastia e ritenzione idrica).
L'attivazione delle cellule satellite è regolata, oltre che dagli ormoni, anche da numerosi altri fattori. Tra questi segnaliamo la miostatina che svolge un'attività inibitoria sulla proliferazione delle cellule satellite limitando la crescita muscolare nello sviluppo e nella vita adulta.

*MGF o fattore di crescita meccanico: è una isoforma dell'IGF-1 e, oltre a stimolare la crescita del muscolo ne favorisce anche la riparazione in caso di lesione. Viene prodotto a livello muscolare ed ha azione autocrina e paracrina (non circola nel sangue e agisce sulle cellule presenti nelle immediate vicinanze). Entrambe queste attività sono mediate dall'interazione con le cellule satellite. L'MGF è prevalentemente prodotto sotto stimolo negli esercizi contro resistenza e risponde in misura inferiore al GH rispetto all'IGF-1 di origine epatica. Esperimenti condotti su animali da laboratorio hanno attribuito all'MGF proprietà anaboliche decisamente superiori rispetto all'IGF-1. Tali risultati, ancora in attesa di conferma, rappresentano una delle ultime frontiere nel campo deldoping genetico.
**FGF (Fibroblast Growth Factor) favorisce la capilarizzazione della fibra muscolare attraverso la formazione di nuovi microvasi (angiogenesi).
***HGF Hepatic Growth Factor: è prodotto da una varietà di tessuti, incluso il fegato dove stimola la proliferazione cellulare in vitro e la rigenerazione epatica in vivo.

Cordone ombelicale



Cordone ombelicale

Il cordone ombelicale è una formazione anatomica decidua, quindi temporanea, contenente i vasi sanguigni di collegamento tra feto e placenta. Alla nascita, il cordone o funicolo ombelicale misura mediamente 50-60 centimetri in lunghezza e 20 mm in diametro; l'aspetto è quello attorcigliato di una corda di colorito madreperlaceo, che lascia trasparire le sfumature scure del sangue contenuto neivasi.

L'aspetto nodoso del cordone ombelicale è legato al decorso attorcigliato dei suoi vasi ed alla presenza di rigonfiamenti (i cosiddetti falsi nodi) in corrispondenza di anse vascolari.cordone ombelicale
Il cordone ombelicale è l'anello di congiunzione tra la placenta ed il prodotto del concepimento. La sua presenza permette il trasferimento di gas ed altre sostanze tra madre e feto, senza che vi sia uno scambio diretto tra il sangue dei due organismi. In questo modo, la cosiddetta "barriera placentare" può impedire il passaggio di molte sostanze dannose, anche se alcune possono comunque attraversarla e nuocere al feto.
Di norma, all'interno del cordone ombelicale decorrono tre vasi sanguigni: la vena ombelicale da un lato e le due arterie ombelicali, avvolte a spirale intorno ad essa, dall'altro. Queste ultime, diversamente da quelle del circolo sistemico, trasportano sangue venoso, mentre nella vena ombelicale scorre sangue ricco di ossigeno e nutrienti. All'interno della parete addominale del feto, i vasi ombelicali prendono direzioni diverse: la vena ombelicale trasporta sangue arterioso al cuore, mentre le arterie ombelicali circondano la vescica e trasportano all'esterno il sangue venoso. Al di fuori della parete addominale, percorrendo il tratto funicolare, questi vasi sanguigni si dirigono al disco placentare; da esso, la vena ombelicale riceve il sangue ossigenato ricco di nutrienti, mentre le due arterie ombelicali trasportano sangue venoso, povero di ossigeno, ma ricco di anidride carbonica ed altre sostanze di rifiuto. Le fibre dei vasi sanguigni ombelicali sono particolarmente ricche di cellule muscolari; il significato fisiologico di questa caratteristica è insito nella necessità di interrompere rapidamente il flusso sanguigno in caso di rottura del cordone ombelicale. I vasi, inoltre, sono immersi in un tessuto connettivo mucoso (gelatina di Warthon), che li avvolge e li protegge, traendo nutrimento per via interstiziale.
Il cordone ombelicale inizia a designarsi intorno alla quinta settimana di gestazione, sostituendo - dal punto di vista funzionale - il sacco vitellino, che garantisce gli apporti nutrizionali nei primi stadi di sviluppo dell'embrione. Il sacco vitellino inizialmente è collegato al corion (membrana che racchiude l'embrione e lo mette in rapporto con la madre attraverso i villi coriali), ma tale rapporto regredisce con lo sviluppo dell'allantoide, una membrana extra-embrionale che permette la respirazione, la nutrizione e l'escrezione dell'embrione. E' proprio dalla maturazione dell'allantoide che si sviluppa il cordone ombelicale.

Patologie del cordone ombelicale

Le anomalie più frequenti a carico del cordone ombelicale sono quelle relative alla sua forma o lunghezza. A tal proposito, si parla di lunghezza eccessiva quando il cordone ombelicale supera gli 80 cm alla nascita, e di brevità assoluta quando non raggiunge i 30 cm. Può inoltre sussistere una brevità relativa, nel caso il tratto funicolare presenti giri singoli o multipli attorno al collo o ad altre parti del corpo fetale. Il pericolo, in questo caso, è che tali nodi si stringano ulteriormente durante iltravaglio, causando sofferenza fetale. In caso di brevità assoluta va considerata la grave possibilità che il funicolo si spezzi bruscamente durante il travaglio.
Un cordone ombelicale troppo sottile è associato ad un ritardo di crescita intrauterino (IUGR) e a placenta ipotrofica; inoltre, per la ridotta quantità di gelatina di Warthon, le ripiegature del funicolo possono determinare episodi occlusivi, con asfissia fetale più o meno grave.
Normalmente il cordone ombelicale è inserito sulla faccia fetale della placenta, in posizione grossomodo centrale. Nel 10% circa dei casi tale inserzione è marginale, mentre in circa un caso su 100 i vasi ombelicali decorrono per un tratto più o meno lungo tra amnios e corion, prima di raggiungere il bordo placentare (inserzione velamentosa). La mancanza della gelatina di Warthon in questo tratto espone i vasi del cordone ombelicale ad un maggior rischio di pericolose lesioni durante la rottura delle membrane.

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Nei nodi veri, a differenza di quelli falsi, si registra un effettivo annodamento del cordone ombelicale, con conseguente strozzamento - più o meno grave - dei vasi sanguigni che vi decorrono. I nodi veri possono stringersi ulteriormente durante il travaglio e causare asfissia fetale.
Alla nascita si possono riscontrare anche anomalie numeriche dei vasi ombelicali; quella più frequente riguarda l'assenza di una delle due arterie ombelicali che, seppur raramente, può associarsi ad alterazioni fetali e a malattie cromosomicheLiquido amniotico e cordone ombelicaleAltre due possibili complicanze riguardano la procidenza ed il prolasso del cordone ombelicale; si manifestano (vedi figura) quando una o più anse del funicolo si presentano davanti alla parte presentata a membrane integre (procidenza) o rotte (prolasso). Prolasso cordone ombelicaleIn quest'ultimo caso, in pratica, il cordone viene espulso per primo e durante il parto il bambino lo comprime sulla parete vaginale bloccando il flusso di sangue e ossigeno.
L'attento monitoraggio del battito fetale durante il travaglio consente di rilevare eventuali sofferenze del bambino ed intervenire tempestivamente nel caso le circostanze lo richiedano; in questo modo si minimizzano i rischi di severe complicanze legate a patologie del cordone ombelicale.

Dopo il parto...

Con il taglio del cordone ombelicale il neonato perde il contatto fisiologico con la propria madre, per poi riscoprirlo nel suo grembo durante l'allattamento.
Subito dopo la nascita, il funicolo viene reciso a circa 10 cm di distanza dall'addome del neonato, chiudendo il moncone residuo con un elastico o con una molletta di plastica ed avvolgendolo in una garza sterile asciutta. Questa manovra favorisce l'occlusione dei vasi, evitando emorragie ed infezioni. Il cordone ombelicale non contiene fibre nervose sensitive, per cui il bambino non avverte alcun dolore al momento del taglio.
Il segmento reciso rimasto attaccato all'addome del bambino va lentamente in contro ad essiccamento. Dopo la recisione del funicolo i vasi ombelicali si trombizzano rapidamente ed il moncone, non più irrorato dai vasi, si essicca assumendo un colorito bruno-nerastro. Questa sorta di appendice andrà tenuta asciutta e pulita, e coperta con una garza sterile da cambiare più volte al dì, fino a quando, intorno al 5°-10° giorno di vita, si staccherà da sola. Il personale sanitario darà alla nutrice le dovute indicazioni sull'igiene del moncone, suggerendo - ad esempio - di lavarsi con cura le mani prima di toccarlo, evitare di coprirlo con il bordo del pannolino, mantenerlo ben asciutto ed areato durante il giorno ed evitare di staccarlo anzitempo aspettando la sua caduta spontanea.
Le infezioni di ciò che resta del cordone ombelicale sono piuttosto rare e possono essere preannunciate da sintomi come perdite purulente (pus) e maleodoranti, rossore e vistoso gonfiore.

Cordone ombelicale e cellule staminali

Il sangue del cordone ombelicale è ricco di cellule staminali emopoietiche, con potenziale uso a fini trapiantologici per curare malattie del sangue piuttosto gravi (attualmente le applicazioni terapeutiche sono in realtà assai limitate). Per questo motivo il cordone ombelicale e la placenta non sono più considerati scarti da incenerire, ma una preziosa risorsa da conservare per donazioni o per uso autologo. Sulla base di queste considerazioni, negli ultimi anni sono sorte vere e proprie banche del cordone ombelicale, nelle quali si conserva il sangue estratto dalla placenta e dal funicolo al momento del parto; un business, questo, particolarmente fiorente e che per il momento corre molto più in fretta dei concreti progressi scientifici sulle cellule staminali adulte.

Uno sguardo alla cellula


Introduzione e concetti base



CARBOIDRATI (o glucidi) : sono gli zuccheri; sono composti terziari (costituiti di soli  tre elementi: carbonio, idrogeno e ossigeno). Rappresentano una riserva energetica e sono il punto di partenza per la produzione di altri composti organici.
LIPIDI: sono comunemente chiamate grassi e sono anch'esse sostanze di riserva e sono costituenti delle strutture cellulari.
PROTEINE: sono costitute da amminoacidi; contribuiscono alla costruzione di strutture di vari organismi, emoglobina, enzimi, ormoni (regolano l'armonico coordinamento tra le diverse funzioni degli organismi), anticorpi.
ACIDI NUCLEICI: sono formati da una base azotata (citosina, timida, uracile, adenina e guanina), da uno zucchero e da dei gruppi fosfato. 

LA CELLULA: la membrana della cellula ha spessore 6-7 × 10 -10m; il  diametro di una cellula è di circa 15 mm mentre quello del nucleo è di circa 5 mm.
Gli elementi caratteristici di una cellula sono:
  • Membrana perinucleare: delimita il nucleo;
  • Nucleolo: è una parte specializzata del nucleo;
  • Mitocondrio: è la "centrale energetica" della cellula;
  • Perossisomi: sono organuli specializzati nelle reazioni di ossidazione (liberano H2O2) e sono di colore nero perché contengono molto ferro;
  • Ribosomi:  sono contenuti nel reticolo endoplasmatico e sintetizzano le proteine;
  • Reticolo endoplasmatico: è ruvido se contiene i ribosomi e liscio se non li contiene. Presenta uno spazio interno (lume) in cui si accumulano le proteine sintetizzate;
  • Apparato del Golgi: è costituito da sistemi di vesciche. Le proteine, attraverso questo apparato, raggiungono la loro destinazione senza errori.

cellula

Immagine tratta da www.progettogea.com


Una cellula figlia è sempre uguale ad una cellula madre.

Il genoma umano è l'insieme del patrimonio genetico di un individuo ed formato da quarantaseicromosomi (ventitre coppie) mediamente costituiti da settanta milioni di coppie di basi, quindi tutto il genoma contiene (46 × 70 000 000)  3×109  coppie di basi e ogni coppia contribuisce alla lunghezza per circa 6-7 × 10-10 m.

Se si srotola il DNA di ogni cromosoma e si allineano le quarantasei molecole contenute nel nucleo di una cellula somatica si arriva ad una lunghezza di 2 m (ogni cromosoma è lungo circa quattro cm). Considerando, poi che un uomo ha 10000 miliari di cellule, il DNA complessivo arriva a 20000 milioni di Km (la distanza tra il sole e la luna è di 200 milioni di Km)
Un singolo cromosoma è una macromolecola con diametro di circa 2×10-9 m e contiene una molecola di DNA; il gene è una porzione del DNA (cioè una porzione di un cromosoma) che contiene un'informazione completa e specifica per una certa proprietà. Al giorno d'oggi si conosce tutto il genoma umano cioè si conosce la successione completa delle basi nel DNA, ma solo a pochissime porzioni di DNA è stata data "un'identità": bisogna stabilire quale porzione di DNA corrisponde ad una determinata proprietà.

Ci sono circa trentamila geni ma un gene può essere espresso in modi diversi quindi questo è un dato indicativo.  

ESPRESSIONE: l'informazione contenuta in un gene porta all'ottenimento di un prodotto finale (sintesi di proteine).
TRASCRIZIONE: conversione dell'informazione contenuta in un gene, in una catena di RNA messaggero ad opera di un sistema enzimatico; l'RNA messaggero, dal nucleo passa al citoplasma nel quale sono contenuti i ribosomi.
TRADUZIONE: i ribosomi sintetizzano la proteina che è il prodotto dell'espressione genetica.
CODIFICARE: significa tradurre il messaggio.

Un sistema enzimatico, quindi, attraverso il processo di trascrizione, converte l'informazione portata da un gene, in una catena di RNA messaggero e si dà il via alla traduzione.
Replicare il DNA significa copiare sul RNA messaggero la parte di DNA che interessa.
Le due principali differenze tra DNA e RNA:
  • Nel RNA come zucchero si ha il ribosio, mentre nel DNA il desossiribosio;
  • Nel DNA le basi azotate sono: adenina, guanina, timina e citosina; mentre nel RNA l'uracile prende il posto della timina.
I geni solitamente contengono uno o più segmenti di DNA al loro interno, che non codificano per la proteina; questi frammenti vengono chiamati introni mentre i segmenti codificanti sono detti esoni.
Gli esoni rappresentano la porzione di gene che può essere espressa mentre gli introni non vengono espressi.
In determinate condizioni, il gene viene espresso senza introni, ma in altre condizioni, gli introni possono essere trasformati in esoni e, di conseguenza, espressi (cioè possono codificare per la proteina).
A seconda dei vari introni espressi, si hanno prodotti proteici diversi: un gene, quindi, può essere espresso in diversi modi.
Esiste una somiglianza funzionale tra i vari prodotti di uno stesso gene; essi hanno, però, una diversa struttura e per questo motivo sono usati in luoghi diversi.

L'informazione genetica contenuta in ogni cellula di un organismo, è la stessa. Ad esempio, il DNA di una cellula del fegato (epatocita) e il DNA contenuto in una cellula di un muscolo (miocita), è lo stesso; a differenziare un epatocita da un miocita è la diversa espressione dei geni contenuti nel DNA. In generale, in una cellula vengono espressi alcuni geni e in un'altra cellula, posta in un'altra parte dell'organismo, ne vengono espressi degli altri. 

La meiosi



Nell'ambito di un organismo pluricellulare è necessario che tutte le cellule (per non riconoscersi reciprocamente estranee) abbiano lo stesso patrimonio ereditario. A ciò provvede la mitosi, dividendo fra le cellule figlie i cromosomi, in cui l'eguaglianza dell'informazione genetica è assicurata dal meccanismo di reduplicazione del DNA, in una continuità cellulare che va dallo zigote alle ultime cellule dell'organismo, in quella che si chiama linea somatica di generazioni cellulari.
Se tuttavia lo stesso meccanismo venisse adottato nella generazione dei discendenti, l'intera specie tenderebbe ad essere composta da individui geneticamente eguali. Una tale mancanza di variabilità genetica potrebbe facilmente pregiudicare la sopravvivenza della specie col mutare delle condizioni ambientali. Perciò è necessario che la specie, nell'ambito della variabilità del materiale genetico che essa ammette, possa dar luogo ad un riassortimento, un mescolamento, non nell'ambito del singolo organismo, ma nel passaggio da una generazione all'altra. A ciò provvedono i fenomeni della sessualità ed il particolare meccanismo di divisione cellulare chiamato meiosi.
La meiosi si verifica solo nelle cellule della  linea germinale. Quando una lunga serie di divisioni mitotiche ha sufficientemente moltiplicato il numero di cellule germinali disponibili, queste ultime entrano in meiosi, approntando così i gameti. I gameti, fondendosi nella fecondazione, mettono in comune il loro materiale cromosomico. Se i gameti fossero diploidi, come le altre cellule dell'organismo, la loro fusione nello zigote darebbe figli con patrimonio 4n; questi darebbero figli 8n e via di seguito.
Per mantenere costante il numero dei cromosomi della specie occorre che i gameti siano aploidi, cioè con numero n anziché 2n di cromosomi. Ciò si ottiene con la meiosi.
La meiosi può essere intesa come la successione di due divisioni mitotiche senza che vi sia intercalata una reduplicazione.
In ognuna della due divisioni successive, che da una cellula germinale diploide originano quattro cellule aploidi, si ha la successione di profase, metafase, anafase, telofase e citodieresi.
Tuttavia la profase della prima divisione meiotica è particolarmente complicata, dando luogo ad una successione di momenti che prendono il nome rispettivo di leptotene, zigotene, pachitene, diplotene e diacinesi.
Consideriamo tali momenti uno per uno, seguendo il comportamento di una singola coppia cromosomica.
Leptotene. È l'inizio della meiosi. I cromosomi cominciano a vedersi, ancora poco spiralizzati.
Zigotene. I cromosomi sono più chiaramente individuati, e si nota che i cromosomi omologhi si avvicinano. (Ricordiamo che i filamenti che tendono ad accostarsi, paralleli fra loro, sono 4: due cromatidi per ognuno dei due cromosomi omologhi).
Pachitene. I quattro filamenti cromatidici aderiscono per tutta la lunghezza, scambiandosi reciprocamente dei tratti, per rottura e saldatura.
Diplotene. Col crescere della spiralizzazione e perciò dell'ispessimento, i cromosomi tendono ad assumere la loro separata individualità: con ogni centromero che unisce un doppio filamento.
I punti in cui si è avuto lo scambio per rottura e saldatura (chiasmi) tengono ancora uniti i filamenti (cromonemi) in diversi tratti. I quattro cromonemi, uniti a coppie dai centromeri e variamente aderenti nei chiasmi, formano le tetrodi.
Diacinesi. Le tetradi tendono a disporsi all'equatore del fuso; la membrana nucleare è scomparsa; inizia la separazione dei centromeri. Man mano che ciò avviene i cromosomi, già uniti nei chiasmi, si separano.
Dopo la successiva metafase i due centromeri (non ancora sdoppiati) migrano verso i poli opposti del fuso.
Seguono in rapida successione anafase, telofase e citodieresi della prima divisione, e subito dopo la seconda divisione.
Mentre dopo la metafase della prima divisione i centromeri migravano ai poli del fuso trascinando due filamenti, nella seconda metafase ogni centromero si sdoppia. Le due cellule risultanti dalla prima divisione avevano ricevuto n centromeri con 2n filamenti, ma la loro successiva divisione dà luogo a 4 cellule, ognuna con n filamenti (cioè, a questo punto, n cromosomi).
Questo schema generale spiega tre fenomeni diversi e paralleli:
1) la riduzione del corredo cromosomico dal diploide (2n) dell'organismo all'aploide (n) del gamete.
2) L'attribuzione casuale al gamete dell'uno o dell'altro cromosoma, di origine materna o paterna.
3 ) Lo scambio di materiale genetico fra cromosomi omologhi di origine paterna e materna (con mescolamento del materiale genetico, non solo a livello di interi cromosomi, ma anche all'interno dei cromosomi stessi).

Il nucleo


 

Il nucleo contiene, immersi nel cosiddetto succo nucleare, o «carioplasma», il DNA (cromatina, cromosomi), l'RNA (soprattutto nel nucleolo), proteine e metaboliti diversi. La spiralizzazione del DNA nei cromosomi non è semplice, ma può immaginarsi come una spirale di spirali. Nel nucleo intercinetico la spiralizzazione superiore non è sufficiente a permettere l'individuazione dei singoli cromosomi al microscopio. Singoli tratti, però, possono essere spiralizzati, quindi visibili, costituendo le «masserelle» di cromatina. Le zone meno spiralizzate sembra siano le più attive metabolicamente.
Gli stadi di attività del DNA cromosomico sono: autosintetico ed allosintetico. Nel primo caso la molecola di DNA si reduplica attraverso un processo semiconservativo, nel secondo caso sintetizza i tre tipi di RNA.
Il nucleo è un grosso corpo sferico, di solito la struttura intracellulare più evidente, ed è circondato da due membrane unitarie che insieme costituiscono l'involucro nucleare. La superficie dell'involucro è attraversata da pori nucleari, chiusi da una sola sottile membrana, che solo apparentemente consentono il passaggio di grosse molecole specifiche, mantenendo così la composizione del materiale nucleare differente da quella del citoplasma. La membrana si comporta come se fosse semipermeabile, ove, attraverso di essa, passano RNA e ribosomi.
I cromosomi, che sono composti da DNA e da proteine, si trovano all'interno del nucleo. Quando una cellula non è in divisione, i cromosomi sono visibili come un confuso ammasso di sottili filamenti, detti cromatina.
Il corpo più evidente all'interno del nucleo è il nucleolo, composto, come i cromosomi, da DNA e proteine e formato da una parte di un cromosoma; questo è il sito nel quale si forma un particolare tipo di RNA, l'RNA ribosomale. Per questo motivo il nucleolo (o organulo nucleare) costituisce il principale deposito di RNA ribosomiale.
Determinate aree del reticolo endoplasmatico sono dinamicamente collegate alla membrana nucleoplasmatica. Questo avvalora l'ipotesi che l'involucro nucleare origini dalle membrane cellulari.

Le funzioni del nucleo

Il nucleo compie due funzioni cruciali per la cellula. In primo luogo porta alla cellula l'informazione ereditaria, le istruzioni che determinano se un particolare organismo dovrà svilupparsi come paramecio, quercia o essere umano; e non un paramecio, una quercia o un essere umano qualsiasi, mauno che assomiglia al genitore o ai genitori di quel particolare unico organismo.
In secondo luogo il nucleo dirige le attività della cellula, assicurando che le molecole complesse che la cellula richiede, siano nel numero e del tipo necessario. Queste molecole sono coinvolte nella realizzazione delle varie attività cellulari e nella formazione degli organelli e delle altre strutture.

Cellula

Acidi nucleici e DNA


 

Gli acidi nucleici sono dei composti chimici di grande importanza biologica; tutti gli organismi viventi contengono acidi nucleici sotto forma di DNA ed RNA (rispettivamente acido desossiribonucleico ed acido ribonucleico). Gli acidi nucleici sono molecole molto importanti perché esercitano un controllo primario sui processi vitali fondamentali in tutti gli organismi.
Tutto fa pensare che gli acidi nucleici abbiano svolto un identico ruolo sin dalle prime forme di vita primitiva che hanno potuto sopravvivere (come i batteri).
Nelle cellule degli organismi viventi il DNA è presente soprattutto nei cromosomi (nelle cellule in divisione) e nella cromatina (nelle cellule intercinetiche).
Esso è presente anche fuori del nucleo (in particolare nei mitocondri e nei plastidi, ove assolve la sua funzione di centro di informazioni per la sintesi di parte o di tutto l'organulo).
L'RNA, invece, è presente sia nel nucleo che nel citoplasma: nel nucleo esso si trova più concentrato nel nucleolo; nel citoplasma si trova più concentrato nei polisomi.
La struttura chimica degli acidi nucleici è abbastanza complessa; essi sono formati da nucleotidi, ognuno dei quali (come abbiamo visto) è formato da tre componenti: idrato di carbonio (pentoso), base azotata (purinica o pirimidinica) e acido fosforico.
Gli acidi nucleici sono dunque lunghi polinucleotidi, risultanti dal concatenamento di unità dette nucleotidi. La differenza tra DNA e RNA sta nel pentoso e nella base. Ci sono due tipi di pentoso, uno per ogni tipo di acido nucleico:
1) Ribosio nell'RNA;
2) Dessosiribosio nel DNA.
Anche per quanto riguarda le basi dobbiamo ripeteree la distinzione; le basi pirimidinichecomprendono:
1) Citosina;
2) Timina, presente solo nel DNA;
3 ) Uracile, presente solo nell'RNA.
Le basi puriniche sono, invece, costituite da:
1) Adenina
2) Guanina.
Riassumendo, nel DNA troviamo: Citosina - Adenina - Guanina - Timina (C-A-G-T ); mentre nell'RNA abbiamo: Citosina - Adenina - Guanina - Uracile (C-A-G-U).
Tutti gli acidi nucleici hanno la struttura a catena lineare polinucleotidica; la specificità dell'informazione è data dalla diversa sequenza delle basi.

STRUTTURA DEL DNA

I nucleotidi della catena del DNA sono legati con legame estere fra acido fosforico e pentoso; l'acido si trova legato al carbonio 3 del pentoso di nucleotide e al carbonio 5 del successivo; in questi legami esso utilizza due dei suoi tre gruppi acidi; il gruppo acido rimanente dà il carattere acido alla molecola e permette di formare legami con proteine basiche.
Il DNA ha una struttura a doppia elica: due catene complementari, di cui una «scende» e l'altra «sale». A tale disposizione corrisponde il concetto di catene «antiparallele», cioè parallele ma con direzioni opposte. Partendo da un lato, una delle catene inizia con un legame fra acido fosforico e carbonio 5 del pentoso e finisce con un carbonio 3 libero; mentre la direzione della catena complementare è opposta. Vediamo inoltre che i legami idrogeno tra queste due catene avvengono solo fra una base purinica ed una pirimidinica e viceversa, cioè fra Adenina e Timina e tra Citosina e Guanina, e viceversa; i legami idrogeno sono due nella coppia A-T, mentre nella coppia G-C i legami sono tre. Ciò significa che la seconda coppia ha una maggiore stabilità.

REDUPLICAZIONE DEL DNA

Come già accennato a proposito del nucleo intercinetico, il DNA può trovarsi nelle fasi «autosintetica» ed «allosintetica», cioè rispettivamente impegnato a sintetizzare coppie di se stesso (autosintesi) oppure un'altra sostanza (RNA: allosintesi).L'attività intercinetica viene a questo proposito divisa in tre fasi, chiamate G1, S, G2. Nella fase G1 (in cui G può essere preso come iniziale di growth, accrescimento) la cellula sintetizza, sotto il controllo del DNA nucleare, tutto ciò che occorre al proprio metabolismo. Nella fase S (in cui S sta per sintesi, cioè sintesi di nuovo DNA nucleare) avviene la reduplicazione del DNA. Nella fase G2 la cellula riprende l'accrescimento, preparandosi alla divisione successiva.

Proteine dell'uovo, albumine


 Proteine dell'uovo in polvere - 100% da albume d'uovo di gallina, 81% proteine

Nonostante le uova siano un ottima fonte di proteine, molte persone sono spaventate dall'elevato contenuto in grassi e colesterolo. La quota proteica si distribuisce più o meno equamente nel tuorlo e nell'albume (prevale leggermente in quest'ultimo), mentre grassi e colesterolo sono contenuti esclusivamente nel tuorlo.Proteine dell'uovoGli albumi liquidi - freschi, pastorizzati o liotizzati - rappresentano quindi un'ottima soluzione per chi desidera aumentare l'apporto proteico della propria dieta senza introdurre lipidi in eccesso. Analogo discorso per leproteine d'uovo in polvere, a cui si aggiunge il grande vantaggio della praticità.
Nel campo dell'integrazione alimentare, le ovoalbumine rappresentano la tradizionale alternativa alle proteine del siero del latte. Il valore biologico e l'efficienza proteica sono infatti simili, così come gli altri indici di qualità proteica. Le proteine d'albume d'uovo hanno ungusto leggermente salato, mentre quelle del siero si avvantaggiano per un sapore più delicato e per il costo leggermente inferiore. Le proteine d'albume d'uovo, in compenso, rappresentano la scelta ideale per tutti quegli sportivi che non tollerano i derivati del latte. Rispetto alle fonti vegetali, le ovoalbumine godono di un profilo aminoacidico migliore, perché caratterizzato da un ottimo equilibrio tra i vari amminoacidi essenziali. I tempi di digestione delleproteine d'uovo risultano intermedi tra le più veloci sieroproteine e le più lente caseine; di conseguenza possiedono un ottimo potere saziante.

Il tuorlo d'uovoL'albume d'uovo
Proprietà funzionali dell'uovoConservazione delle uova
EtichettaturaUova fresche
Uova e colesteroloUova di pasqua

LO SAPEVI CHE: le proteine dell'albume d'uovo crude sono scarsamente digeribili, a causa della presenza di ovomucoide (attività antitripsinica), lisozima (un agente antibatterico) ed avidina (che impedisce l'assorbimento della vitamina H). Al contrario, le proteine del tuorlo d'uovo sono facilmente digeribili crude, mentre la cottura ad elevate temperature (frittura a oltre 200°C, bollitura) ne diminuisce la digeribilità prolungando i tempi di digestione.


Valori nutrizionali
proteine del siero del latte in polvere
 
Valori nutrizionali
proteine dell'albume d'uovo in polvere
100g30g100g30g
Valore energetico
392 Kcal117,6 Kcal
Valore energetico
380,9 Kcal114,27 Kcal

1646 Kj493,8 Kj

1600 Kj480 Kj
Proteine
80 g24 g
Proteine
80,9 g24,27 g
Carboidrati
6,6 g2 g
Carboidrati
1 g0,3g
Grassi
5,1 g1,53 g
Grassi
5 g1,5 g

Profilo aminoacidico

g/100 gg/30 g
Acido aspartico
8,82,64
Acido Glutammico
14,54,35
Alanina
4,01,20
1,70,51
Cisteina
1,80,54
2,40,72
Glicina
3,41,02
5,11,53
Istidina
1,40,42
Leucina* °
8,52,55
7,72,31
Metionina*
1,60,48
Prolina
4,41,32
Serina
3,71,11
2,10,63
Treonina*
5,41,62
1,10,33
Valina* °
4,71,41
Profilo aminoacidico

g/100 gg/30 g
Acido aspartico
6,672
Acido Glutammico
8,716,61
Alanina
3,791,14
Arginina
3,571,07
Cisteina
1,690,51
Fenilalanina*
3,831,15
Glicina
2,300,7
Isoleucina* °
3,711,11
Istidina
1,480,44
Leucina* °
5,531,66
Lisina*
4,471,34
Metionina*
2,260,68
Prolina
2,50,70
Serina
4,521,36
Tirosina
2,550,76
Treonina*
2,990,90
Triptofano*
0,800,24
Valina* °
4,171,25

In 100 grammi di uova ritroviamo circa 12 grammi e mezzo di proteine; considerando che un uovo di medie dimensioni pesa circa 60 grammi, per ogni uovo consumato forniamo all'organismo circa 7 grammi e mezzo di proteine.

Proteine nelle urine



 La significativa presenza di proteine nelle urine, che i medici sono soliti indicare con il termine tecnico proteinuria, può essere dovuta a danni renali o ad altre condizioni piuttosto serie. Fortunatamente, concentrazioni proteiche urinarie superiori alla norma possono anche rientrare nell'ambito del fisiologico, come accade in particolari situazioni, quali l'intensa attività fisica, la febbre e gli stress emozionali severi.

Proteine nelle urineNel sangue di ogni individuo circolano moltissimeproteine, che risultano a dir poco essenziali per l'organismo; esse, infatti, svolgono funzioni di trasporto (nutrienti, gas, ormoni ecc.), immunitarie (difesa da virusbatteri ecc.) e regolatrici (metabolismo, coagulazione, pH e volume ematico ecc.).
A livello renale, il sangue viene purificato dai prodotti di rifiuto e dalle sostanze presenti in eccesso, subendo una sorta di setacciatura; le maglie di questo finissimo setaccio vengono attraversate da numerose sostanze, che finiscono nel filtrato per essere poi riassorbite od espulse attraverso le urine a seconda delle necessità biologiche. Tra tutte queste sostanze non rientrano le proteine, che fatta eccezione per quelle di minori dimensioni, risultano pressoché assenti nel filtrato e nell'urina. Nel corso della vita può tuttavia accadere che per colpa di patologie o problemi di altro genere (ipertensionediabete, infezioni renali, malformazioni congenite ecc.), le maglie del setaccio renale si allentino, lasciando passare maggiori quantità di proteine. Di riflesso le concentrazioni proteiche dell'urina - valutate tramite un comune esame su un campione urinario - aumentano sensibilmente. In base al valore registrato analizzando le urine raccolte nell'arco delle 24 ore, i medici parlano di:
  • Microalbuminuria (30-150 mg)*
  • Proteinuria lieve (150-500 mg)*
  • Proteinuria moderata (500-1000 mg)
  • Proteinuria grave (1000-3000 mg)
  • Proteinuria nel range della sindrome nefrotica (> 3500 mg)
*La proteinuria è definita come un'escrezione urinaria di proteine superiore a 150 mg al giorno; altre fonti elevano tale soglia a 300 mg, tale per cui sotto i 300 mg/die si parla di microalbuminuria e sopra i 300 mg/die si parla di proteinuria

Un test semi-quantitativo denominato dipstick urinario (dall'inglese dip-and-read test strip, quindi basato sull'utilizzo di striscette reattive) viene utilizzato come esame di screening per la popolazione generale; qualora l'esito risulti positivo, il test può essere ripetuto a distanza di pochi giorni per escludere rialzi occasionali associati a condizioni non patologiche. Quando la diagnosi viene confermata, o allo stick urinario si apprezzano proteinurie severe, si procede alla raccolta delle urine nell'arco delle 24 ore; è inoltre possibile valutare le proporzioni e le concentrazioni delle varieproteine plasmatiche mediante elettroforesi urinaria (particolarmente importante quando si sospetta che la proteinuria sia legata ad un'aumentata sintesi di proteine plasmatiche, come succede nel mieloma multiplo).
La lettura dello stick dà informazioni essenzialmente di tipo qualitativo, che possono essere così suddivise:
  • "negativo";
  • "tracce" (corrispondente approssimativamente a 10-20 mg/dL);
  • "proteine 1+" (circa 30 mg/dL);
  • "proteine 2+" (circa 100 mg/dL);
  • "proteine 3+" (circa 300 mg/dL);
  • "proteine 4+" (circa 1000 mg/dL).
Al posto del dipstick o del tradizionale esame delle urine nell'arco delle 24 ore, sempre più spesso i medici utilizzano una nuova tecnica, basata sul rapporto tra le concentrazioni urinarie di albumina(la più abbondante proteina plasmatica) e creatinina (un prodotto di rifiuto derivante dal normale metabolismo muscolare). Questo esame - noto anche come ACR, dall'inglese albumin-to-creatinine ratio - considera meritevole di approfondimenti diagnostici qualsiasi situazione in cui si registrino più di 30 mg di albumina per ogni grammo di creatinina (30 mg/g o 30 mcg/mg). Anche in questo caso, di fronte ad una positività dei valori, l'esame viene ripetuto dopo una o due settimane e - nel caso in cui il soggetto risultasse nuovamente positivo - viene seguito da altri esami di approfondimento per valutare la funzionalità renale.

Proteine nelle urine: le cause

Come anticipato, l'ipertensione ed il diabete rappresentano i due principali fattori di rischio per la proteinuria, la cui incidenza aumenta significativamente con l'aumentare dell'età e del BMI. La presenza di proteine nelle urine può essere legata anche ad una glomerulonefrite acuta, ad unaglomerulonefrite focale, all'amiloidosi, a nefropatie IgA dipendenti, a malattie cardiache (pericardite, insufficienza cardiaca), al mieloma multiplo, alla leucemia, alla malaria, all'anemia falciforme, all'artrite reumatoide, alla sacroidosi, al lupus eritematoso sistemico, ad avvelenamento da metalli pesanti ed a glomerulonefriti a proliferazione mesangiale.
Oltre a queste circostanze meramente patologiche, sensibili rialzi delle concentrazioni proteiche urinarie possono associarsi anche a condizioni tutto sommato fisiologiche (si parla in questo caso di proteinuria transitoria). L'esposizione al freddo o al calore intenso, la febbre, gli stress emozionali severi e l'esercizio fisico strenuo (sia sportivo che lavorativo), possono infatti elevare significativamente la quantità di proteine riscontrata nel campione urinario. Anche la gravidanzapuò associarsi ad una lieve proteinuria, anche se concentrazioni proteiche significative dovrebbero far sospettare un'infezione urinaria in corso o lo sviluppo di pre-eclampsia.
La proteinuria ortostatica è una patologia relativamente comune nei bambini e nei giovani adulti, che si associa a perdite significative di proteine nell'urina durante la posizione eretta (ortostatica). Presumibilmente, tale condizione è legata all'aumento della pressione sui glomeruli renali, cosa che forza anche il passaggio delle proteine tra le maglie di questi filtri. Nella posizione sdraiata (clinostatica), la pressione diminuisce e la perdita di proteine si riduce; i medici considerano questo disturbo di origine benigna, dato che nella grande maggioranza dei casi regredisce spontaneamente con la crescita. La proteinuria ortostatica viene diagnosticata attraverso una raccolta delle urine divisa in 2 campioni: uno ottenuto in posizione eretta ed uno ottenuto di notte, dopo che il giovane paziente ha riposato per alcune ore ed ha vuotato la vescica prima di coricarsi.

Proteine nelle urine: sintomi e trattamento

Tra i sintomi della proteinuria - generalmente assenti nei casi lievi o moderati - rientrano la presenza di schiuma nelle urine e l'edema, cioè l'abnorme accumulo di liquidi negli spazi interstiziali a causa di un calo della pressione oncotica del plasma. La ritenzione idrica, con comparsa di edemi e gonfiori (soprattutto alle mani, ai piedi e alle caviglie, quindi al viso e all'addome nei casi più gravi), è comunque un segno tardivo, tipico degli stadi più severi di proteinuria.
Il trattamento della proteinuria è rivolto ad eliminare o perlomeno a controllare le cause che hanno portato all'aumento della concentrazione di proteine nell'urina; l'ipertensione, ad esempio, può essere controllata mediante farmaci ACE-inibitori o antagonisti dei recettori dell'angiotensina(ARBs).