CONTATORE PERSONE

15/09/12

L'ecocardiogramma

Cos'è?
L'ecocardiogramma è l'esame del cuore basato sull'impiego degli ultrasuoni (suoni con frequenze elevatissime, non udibili dall'orecchio umano). Permette la visualizzazione dell'anatomia cardiaca e di studiare il cuore in azione.

Come funziona?
Un fascio di ultrasuoni  viene emesso da una sonda penetra nei tessuti del torace raggiunge le strutture cardiache. Sfruttando le leggi fisiche della riflessione e rifrazione gli ultrasuoni di ritorno dai tessuti vengono captate dalla stessa sonda e rielaborati in modo da fornire immagini dalle quali si possono trarre utilissime indicazioni sull'anatomia, sul funzionamento e sullo stato di salute del cuore in esame.

A cosa serve?
Consente di esaminare la morfologia delle strutture cardiache (pareti, valvole, cavità) e di studiare il funzionamento del cuore in movimento (contrattilità, flussi, portata). Permette quindi di vedere l'interno del cuore e di valutare come funzionano le valvole e rilevare eventuali anomalie.

Quando si esegue?
Le indicazioni per eseguire un ecocardiogramma si stanno estendendo notevolmente poiché fornisce informazioni preziose sia sulle strutture che sulla funzioni del cuore. Gran parte delle patologie cardiache trovano indicazione all'ecocardiografia, in particolar modo le malattie valvolari e parietali del cuore, la cardiopatia ischemica.
Si esegue quando serve una:
  • valutazione qualitativa e quantitativa delle malattie delle valvole cardiache,
  • valutazione del movimento delle pareti cardiache e sue anomalie,
  • valutazione delle cardiopatie congenite,
  • valutazione del danno miocardico in malattie ed elevato interesse sociale ed a notevole incidenza della popolazione: ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, diabete, ecc...,
  • valutazione degli esiti di un intervento operatorio correttivo nelle cardiopatie congenite o acquisite,
  • valutazione delle protesi valvolari- misurazione semiquantitativa di gradienti e flussi in presenza di valvole stenotiche o insufficienti.
  • diagnosi di tutte le malattie cardiache in gravidanza con possibilità anche di diagnosi intrauterina di gravi cardiopatie congenite fetali.
Con l'esame ecocardiografico si può
1. valutare la funzione ventricolare calcolando le dimensioni delle varie strutture, volume e massa del ventricolo sinistro, funzione sistolica globale (con il calcolo della frazione di eiezione), funzione sistolica dei vari segmenti della parete dei ventricoli; con il doppler è possibile ottenere anche notizie sullo stato emodinamico del cuore, sia nella fase sistolica che diastolica;
2. ottenere valutazioni emodinamiche (informazioni che prima dell'ecocardiografia erano fornite solo dallo studio invasivo con cateterismo cardiaco):  volume di gittata e portata cardiaca,  gradienti di pressione,  areee valvorari,  pressioni intracardiache,  funzione sistolica e diastolica;
3. valutare le funzioni valvolari quantificando le alterazioni (stenosi, insufficienze) delle valvole cardiache e delle protesi valvolari, le pressioni all'interno di alcune strutture (arteria polmonare), la gittata cardiaca, l'entità dello shunt nelle comunicazioni patologiche tra strutture cardiache;
4. valutare la situazione del miocardio in corso di malattia coronarica mediante l'esame della motilità (cinesi), dello spessore e della qualità parietale. In questo campo, l'ecocardiografia gioca un ruolo importante nella diagnostica delle coronaropatia, nel riconoscimento e trattamento precoce dell'infarto del miocardio e delle sue complicanze, nella stratificazione prognostica dei pazienti postinfartuati, nel follow-up di pazienti sottoposti a procedure di rivascolarizzazione cardiaca chirurgica o con angioplastica. 

Prima dell'avvento dell'ecografia, alcuni campi della patologia cardiaca erano difficilmente esplorabili mentre attualmente, in pochi minuti, è possibile fare diagnosi precise e intraprendere le terapie più adatte. L'ecocardiogramma infatti è un esame utile sia per una prima diagnosi di cardiopatia sia per controllare l'evoluzione delle alterazioni cardiache nel tempo. Per esempio nella cardiopatia ischemica l'esame ecocardiografico permette di fare diagnosi di ischemia o infarto attraverso il riscontro di alterazioni, rispettivamente transitorie o stabili, di definirne la sede e l'estensione e di seguirne l'evoluzione nel tempo.
È utilissimo nelle diagnosi delle malattie di cuore congenite sia del bambino che dell'adulto.
Con l'esame ecocardiografico si possono ottenere indicazioni decisive circa i tempi e le modalità per gli interventi chirurgici sulle valvole cardiache.


Come si esegue?
Il cardiologo esamina il cuore del paziente, disteso sul fianco sinistro,  mediante una sonda che gli appoggia sul torace (approccio transtoracico).  L'operatore vede le immagini in tempo reale, valuta la situazione cardiaca e può registrare o stampare le immagini più significative. Anche il paziente può vede il suo cuore "in diretta" nel monitor.
I vantaggi dell'ecocardiografia sono molteplici:
  • è innocuo, non utilizza emissioni di raggi X o sostanze radioattive,
  • è indolore,
  • dura circa 30 minuti,
  • è ripetibile,
  • l'attrezzatura utilizzata per l'esame è mobile, facilmente trasportabile,
  • fornisce informazioni dell'anatomia e della funzionalità del cuore,
  • può essere utilizzato come screening
È ripetibile ed innocuo anche quando viene eseguito in gravidanza.

In quale misura questo esame dipende dall’esperienza e dalla capacità dell’operatore?
Molto. È un esame che richiede competenza per posizionare correttamente la sonda, per dirigere precisamente il fascio ultrasonoro esploratore, per produrre immagini chiare e corrispondenti alla realtà, per eseguire riproduzioni oggettive e produrre interpretazioni riflettute, sufficientemente fondate e chiaramente provate.

La qualità dell'immagine ottenuta sul monitor dipende dalla possibilità di penetrazione degli ultrasuoni all'interno del torace. Con gli ecografi moderni si possono eseguire ecocardiogrammi secondo quattro modalità:
  1. Monodimensionale (Ecocardiografia M-mode),
  2. Bidimensionale (Ecocardiografia B-mode)
  3. Doppler (Ecocardiografia Doppler)
  4. Doppler con codifica di colore (Ecocardiografia Color-Doppler)
  • Le prime due forniscono informazioni su dimensioni delle camere cardiache, spessore delle pareti, contrattilità miocardica, anomalie dei vasi venosi ed arteriosi e struttura delle valvole;
  • le ultime due, grazie alla tecnica doppler applicata durante l'esame ecocardiografico permettono di valutare il flusso di sangue (direzione e velocità) nelle cavità cardiache e attraverso le valvole e di quantificare le disfunzioni valvolari (stenosi e/o insufficienza).
a) Modalità Mun cristallo trasmettitore-ricevitore genera impulsi di breve durata ad elevata frequenza, e la misurazione del tempo necessario perché il segnale venga riflesso consente di calcolare la distanza dai vari confini con tessuti aventi diverse densità acustiche attraversati dall'ultrasuono. Con l'uso di un sottile fascio di ultrasuoni si ottiene una sezione monodimensionale del cuore che permette di effettuare misurazioni e valutazioni dettagliate delle strutture cardiache. La figura seguente ne è una rappresentazione.


Rappresentazione schematica dell'ecocardiografia M-mode del cuore, dall'apice (1) alla base (4) del cuore.
PAVD = parete anteriore del ventricolo destro;
VD = cavità del ventricolo destro; SD = versante destro del setto interventricolare; SS = versante sinistro del setto interventricolare; VS = cavità ventricolare sinistra; MPP = muscolo papillare posteriore; PPVS = parete posteriore del ventricolo sinistro; EN = endocardio posteriore del ventricolo sinistro; EP = epicardio posteriore del ventricolo sinistro; PER = pericardio; LAVM = lembo anteriore della valvola mitrale; LPVM = lembo posteriore della valvola mitrale; PPAS = parete posteriore dell'atrio sinistro; VA = valvola aortica; Ao = aorta; AS = cavità dell'atrio sinistro.
(Da Feigenbaum H: "Clinical applications of echocardiography." Progress in Cardiovascular Diseases 14:531-558, 1972).

b) Ecografia bidimensionale: mediante l'emissione di raggi ultrasonori in varie direzioni questa metodica fornisce un'immagine del cuore a due dimensioni e in tempo reale. L'uso congiunto di queste tecniche fornisce utili informazioni per diagnosticare stenosi mitralica o aortica, dilatazione del ventricolo sinistro o destro, ipertrofia ventricolare sinistra, endocardite infettiva, mixoma atriale, cardiopatie congenite, versamento pericardico e tamponamento cardiaco.

c) Ecodoppler: il cambiamento di frequenza negli ultrasuoni di ritorno fornisce informazioni su velocità e direzione del flusso sanguigno nel cuore. Il Doppler può essere pulsato o a onda continua: quest'ultima variante consente la registrazione di velocità elevate ed è particolarmente utile per individuare le stenosi valvolari.

d) Ecodoppler a colori: sovrappone molteplici segnali Doppler ad un'immagine bidimensionale, evidenziando il flusso sanguigno con una codifica a colori: il sangue che fluisce verso il trasduttore è riportato in rosso, e quello che se ne allontana in blu; le alte velocità appaiono come "piume" bianche o verdi. Consente di meglio individuare rigurgiti mitralici o aortici, difetti del setto interventricolare o altre anomalie congenite, difetti delle protesi valvolari.   L'ecocardiografia color-doppler particolarmente idonea allo studio dei flussi di sangue nelle cavità cardiache e attraverso le valvole.
 
Ci sono altre applicazioni dell'ecocardiografia?
1. Per approfondimenti ulteriori, soprattutto nello studio delle aree ischemiche o infartuate della muscolatura cardiaca si associa l'ecocardiogramma a sforzo fisico (ecocardiogramma da sforzo) o all'infusione di farmaci particolari come dipiridamolo o dobutamina che producono uno stress cardiaco guidato e monitorizzabile (ecostresse così evidenziare patologie non presenti in condizioni basali, ma solamente durante situazioni di impegno cardiaco, permettendo di valutare meglio la funzionalità delle arterie coronariche.

2. Quando l'esame ecocardiografico eseguito all'esterno del torace (approccio transtoracico) non offre immagini soddisfacenti o risultati definitivi si può eseguire l'ecocardiogramma con una piccola sonda montata su un gastroscopio introdotta nell'esofago (ecocardiogramma transesofageo). Questa tecnica permette di visualizzare l'auricola sinistra e l'aorta toracica che sono scarsamente valutabili con l'esplorazione tanstoracica. Inoltre in soggetti obesi, con deformità toraciche, con traumi recenti permette di ottenere immagini di qualità non altrimenti possibili. È particolarmente utile quando c'è il sospetto di masse atriali, difetti settali, dissecazione aortica; serve per esaminare con maggior dettaglio la valvola mitrale, per individuare le complicanze dell'endocardite infettiva, per il monitoraggio intraoperatorio della chirurgia cardiaca, per escludere con certezza la presenza di trombi intracardiaci (soprattutto in vista di una procedura di cardioversione). 

3. Utilizzando particolari sostanze che vengono introdotte nel sangue mediante iniezioni endovenose producono contrasti di immagine (ecocontrastografia) che permettono di ottenere informazioni sul flusso sanguigno nel cuore (e così svelare la presenza di flussi anomali  per la presenza di difetti congeniti) e nelle coronarie per lo studio della vascolarizzazione del cuore e della malattia coronarica. È una tecnica ancora per molti versi in fase sperimentale.

4. L'effettuazione di ecocardiogramma al feto (ecografia fetale) permette di individuare eventuali malformazioni fin dalle prime settimane della sua vita, consentendo diagnosi precocissime e rendendo possibili i provvedimenti terapeutici tempestivi subito dopo la nascita.

5. La metodica eco-color-doppler si applica per lo studio vascolare di vari distretti cicolatori. In particolare va ricordato il ECOCOLOR-DOPPLER DEI VASI EPIAORTICI o ECOCOLORDOPPLER dei tronchi sopraortici (T.S.A.) È lo studio ecocolordoppler dei vasi che nascono dall'aorta (per questo si chiamano vasi epiaortici) rappresentati da due coppie di arterie: le carotidi e le vertebrali. Sono vasi 'strategici' perché portano il sangue al cervello (tronchi sopraortici), per cui un loro restringimento (come nell'aterosclerosi) può comportare un deficit cerebrale. Con tale esame si possono evidenziare le alterazioni di parete (ispessimenti, depositi atersoclerotici) o la presenza di placche fibrocalcifiche endoluminali in grado di determinare, o meno, fenomeno di stenosi e/o occlusioni con manifestazioni cliniche più o meno gravi che vanno dall'attacco ischemico transitorio (T.I.A.) al vero e proprio ictus cerebrale. La localizzazione preferenziale delle placche è al livello della biforcazione carotidea perché in tale sede si verificano delle condizioni emodinamiche favorevoli al formarsi di tali lesioni. L’ecocolordoppler dei T.S.A. è indicato sia per lo studio di tutte le malattie correlate a disturbi della funzionalità del Sistema Nervoso Centrale (sindromi vertiginose, disturbi della motilità, del linguaggio ecc...), sia per la prevenzione di tali patologie in soggetti a rischio (diabetici, ipertesi, forti fumatori, dislipidemici)


USI CLINICI DELL’ECOCARDIOGRAFIA
dal manuale Merk
Indicazione
Metodo ecocardiografico
Scopo





Valvulopatie
M-mode e bidimensionale


Visualizzano direttamente le valvole patologiche (l’ecocardiografia bidimensionale permette la misurazione diretta dell’orifizio di una valvola mitrale stenotica)
Doppler (spettrale e color- Doppler))
Consente la valutazione delle insufficienze valvolari e dei gradienti pressori attraverso valvole stenotiche, particolarmente nella stenosi aortica
TransesofageoPermette la visualizzazione delle protesi valvolari, specialmente in sede mitralica, e rileva eventuali vegetazioni dovute a endocardite batterica e trombi all’interno dell’atrio sinistro
Anomalie
delle camere cardiache
M-mode e bidimensionale

Consentono di misurare gli spessori parietali, le dimensioni endocavitarie, la massa e i volumi ventricolari e la funzione sistolica globale e segmentaria; permettono anche di valutare le dimensioni delle altre camere cardiache
DopplerFornisce informazioni emodinamiche (p. es., gittata cardiaca, pressioni endocavitarie, funzione diastolica del ventricolo sinistro)
Cardiopatie congenite
Bidimensionale
Doppler
Contrasto
Fornisce un’eccellente definizione delle anomalie anatomiche
Fornisce informazioni circa shunt intracardiaci ed emodinamica
È molto sensibile per gli shunt destro-sinistro

Coronaropatia
Bidimensionale,
eco- stress,
M-mode e Doppler
Permettono di stabilire la cinesi regionale dei ventricoli sinistro e destro e la presenza e gravità della coronaropatia; possono essere associati con vari tipi di stress per identificare una coronaropatia latente; valutano l’evoluzione dell’IMA e qualunque sua complicanza

Cardiomiopatie
Bidimensionale,
M-mode e Doppler
M-mode o bidimensionale
Doppler e M-mode
Permettono di stabilire la presenza e la gravità della cardiomiopatia dilatativa congestizia e delle miopatie infiltrative
Rilevano la presenza di una cardiomiopatia ipertrofica, con o senza ostruzione
Permettono di stabilire le caratteristiche anatomiche ed emodinamiche dell’ostruzione del tratto d’efflusso della cardiomiopatia ipertrofica
Masse cardiache
Bidimensionale (transtoracico
e transesofageo)
È la procedura migliore per la valutazione delle masse cardiache (infiammatorie, neoplastiche o di natura trombotica), la maggior parte delle quali è endocavitaria; può rilevare masse extracardiache
Malattie pericardiche
M-mode,
bidimensionale e Doppler
Rilevano la presenza di versamento pericardico e l’eventuale presenza di tamponamento cardiaco; sono utili, ma meno affidabili, per il rilievo di pericardite costrittiva
Malattie dell’aorta
Bidimensionale
Color-Doppler
e transesofageo
Può esaminare l’aorta per intero e permette di rilevare diverse patologie (p. es. dissezione aortica, aneurismi dei seni di Valsalva, coartazione)
Migliorano moltissimo la visualizzazione dell’aorta
Pericardiocentesi
Bidimensionale con contrasto
Permette di individuare la posizione dell’ago e rende più sicura tale procedura

sam al CONVEGNO LINGOTTO 1

14/09/12

Mantovani: "sclerosi multipla, dopo l'intervento in day hospital non ho...




Uno Mattina - Nicoletta Mantovani racconta di non avere più i sintomi della sclerosi multipla da quando si è sottoposta a un intervento in day hospital per liberare una vena ostruita. Guarda tutti i video di Uno Mattina su http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/page/Page-a58bde5f-d8e5-4aec-81b4-c11b98...

13/09/12

Pressoterapia sequenziale - fisioterapia vascolare


Pressoterapia sequenziale
Il trattamento si basa sull'impiego di elementi pneumo - distensivi contenuti in speciali terminali di forma anatomica (gambali, piedi, gambaletti, braccia, fasce addominali-lombari) applicabili agli arti. Questi elementi (sacche) sono mantenuti paralleli e parzialmente sovrapposti al fine di assicurare un gradiente pressorio solamente in direzione distale prossimale in modo da evitare stasi o flussi retrogradi. Seguendo l'architettura dei terminali, il ciclo operativo della durata media di trenta secondi, inizia con il riempimento sequenziale delle sacche, a partire dalla prima, e termina con il loro completo svuotamento. Una volta che la prima sacca ha raggiunto il valore pressorio programmato, inizia il gonfiaggio della seconda; arrivata anch'essa a regime, si attiva anche la terza e così via sino all'ultima. A questo punto avviene lo svuotamento contemporaneo di tutte le sacche per poi iniziale il nuovo ciclo. La pressione viene selezionata dall'operatore in base alla patologia del paziente. Il paziente indossa il bracciale, se il trattamento deve essere fatto sul braccio, o il gambale/i se viene eseguito sull' arto inferiore o ad entrambi gli arti. Viene quindi programmato il tempo di terapia e la pressione che deve essere esercitata: normalmente, dai dati di letteratura scientifica, una durata di 30 minuti ed una pressione compresa tra i 30 ed i 60 mm. di Hg. sono sufficienti per svolgere efficacemente la seduta. Naturalmente per un corretto utilizzo della metodica si consiglia di visionare la letteratura scientifica prodotta sia italiana che internazionale.

 www.angiodiagnostica.it/fisioterapia_vascolare.html

LPG Endermologie
L’ endermologie è un particolare tipo di massaggio meccanico effettuato con l’ausilio di una sofisticata apparecchiatura che si avvale di rulli esercitanti una pressione positiva associata alla applicazione di pressione negativa su cute e sottocutaneo.
Esistono inoltre protocolli terapeutici specifici per affezioni particolari, quali linfedemi, postumi cicatriziali delle ustioni, insufficienza venosa cronica, anomalie della cicatrizzazione cutanea.
In patologia venosa e linfatica questa metodica consente di ampliare le possibilità offerte dal tradizionale drenaggio linfatico manuale, superando il concetto di svuotamento dei vasi e sostituendolo con il momento di stimolazione metabolica e ristrutturazione tessutale.
L’Endermologie, grazie alla sua dimostrata capacità di stimolazione diretta sull’attività del tessuto connettivo (e delle cellule in esso contenute), e di miglioramento del flusso artero-venoso e linfatico, viene utilizzata nei protocolli terapeutici dei linfedemi, in particolare quelli di stadio più avanzato, non reversibili in clinostatismo e con alterazioni tessutali tali da determinare ripercussioni a livello cutaneo, oltre che sottocutanee.

IMPORTANTE: L'insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI)

DA: www.angiodiagnostica.it/ccsvi.html
info@angiodiagnostica.it


L'insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI) è una controversa sindrome emodinamica, recentemente proposta, in cui le vene cervicali e toraciche non sono in grado di rimuovere efficacemente il sangue dal sistema nervoso centrale (SNC) presumibilmente a causa di stenosi e malformazioni delle vene giugulari e azygos. Questa patologia dell'apparato circolatorio è stata descritta da Paolo Zamboni, nel 2008 e nel settembre 2009 il panel di esperti della IUP, la più vasta organizzazione scientifica che si occupa di patologia venosa, la ha inserita tra le malformazioni venose congenite di tipo trunculare, ovvero fra quelle che si sviluppano fra il 3° ed il 5° mese di vita intrauterina. Il documento di consenso internazionale ne avalla anche la terapia attraverso angioplastica dilatativa. La procedura chirurgica in questione presenta però potenziali rischi. Il ricercatore asserisce altresì di aver individuato una stretta correlazione tra la CCSVI e la sclerosi multipla (SM), anche se la comunità medica mondiale ha espresso molte perplessità in merito. In uno studio pilota condotto in Italia, che però non rispetta i criteri internazionali delle ricerche scientifiche in cieco, tutti i pazienti affetti da sclerosi multipla testati hanno mostrato di possedere problemi venosi. Attualmente è in corso presso il NBAC di Buffalo, la seconda parte del primo studio indipendente a livello mondiale sulla correlazione tra CCSVI e SM .Guarda i video ( clicca qui)
Sintomi e conseguenze

La stasi venosa, e quindi anche la CCSVI, come avviene in altre parti del corpo umano, può causare: ipossia, ritardi di perfusione , riduzione del drenaggio dei cataboliti ed un aumento della pressione transmurale e intensa attivazione infiammatoria delle piccole vene e dei tessuti più vicini. Così come il cattivo funzionamento del sistema venoso degli arti inferiori provoca delle sclerosi sottocutanee, le stasi dei piccoli vasi venosi cerebrali e toracici potrebbero essere la causa iniziale delle placche sclerotiche, tipiche della sclerosi multipla. A confermare la teoria concorre la presenza, anomala di depositi di ferro intorno alle vene cerebrali e a livello encefalico e spinale.
Diagnosi e trattamento della CCSVI

La CCSVI è stata individuata la prima volta attraverso un esame con EcoColorDoppler transcranico ed extracranico . I risultati del team del professor Zamboni confermano come l’EcoColorDoppler sia uno strumento di diagnosi potente, non invasivo e sempre riproducibile. È altamente specifico nello scoprire il tipo di distribuzione delle stenosi delle vene extracraniche e di quelle extravertebrali, con una sensibilità trascurabile. Comunque, la valutazione dei dati tra inter- e intra-osservatori indica chiaramente come la riproducibilità della diagnosi ECD è strettamente dipendente da un addestramento specifico. Il gold standard diagnostico è rappresentato dalla venografia selettiva ma per l'invasività della stessa si preferisce utilizzare l'ecocolordoppler come screening ed utilizzare la venografia in sede di trattamento.

Diagnosi con Ecocolordoppler

Durante la diagnosi con ecocolordoppler Il paziente viene posizionato su una poltrona a movimentazione meccanica, che permette effettuare le misurazioni con il capo posizionato a 90° e a 0°, l'esame è condotto con • Respirazione tranquilla e profonda. Durante la prima è richiesto di insipirare ed espirare con il naso non muovendo le spalle, allo scopo di attivare la pompa respiratoria e verificare se vi è un'induzione del drenaggio cerebro-spinale. • Respirazione profonda: consiste in un’inspirazione ed un'espirazione forzata anche attraverso la bocca con lo scopo di indurre al massimo il flusso nei vasi da esaminare (particolarmente utilizzato per la valutazione dei vai intracranici) e di valutare la corretta funzionali degli apparati valvolari ovvero apertura durante l’inspirazione e chiusura in espirazione. Il protocollo prevede l'uso di 2 sonde: una lineare 3.5 -10 kHz utilizzata per la scansione delle vene del collo(vene giugulari interne e vene del plesso vertebrale) e una transcranica 2.0-3.3 kHz per l’individuazione di struttute intracraniche quali III ventricolo cerebrale, corna posteriori dei ventricoli laterali, mesencefalo, oltre alle vene cerebrali profonde come la vena di Galeno, vena cerebrale interna e vena di Rosenthal. E’ previsto l’utilizzo facoltativo di una sonda microconvex 5.0-8.0 kHz che permette data la forma ergonomica di effettuare una valutazione più accurata delle parte inferiore dei vasi del collo (ostio giugulo-succlvio e vene intrarachidiane).

Parametri diagnostici

Per avere una diagnosi di CCSVI, secondo il protocollo Zamboni, occorre che il paziente abbia almeno 2 dei seguenti 5 parametri:

1. Reflusso nelle vene giugulari interne e/o vene vertebrali in posizione seduta e supina;
2. Reflusso nelle DCVs (vena cerebrale interna, vena basale di Rosenthal, e grande vena cerebrale di Galeno)
3. Presenza di stenosi nella vena giugulare interna all'indagine B-mode ad alta risoluzione;
4. Flusso non rilevabile all'indagine Doppler nelle vene giugulari interne e/o nelle vene vertebrali;
5. Controllo posturale inverso delle principali vie di deflusso venoso cerebrale.

Per maggiore accuratezza diagnostica, si pensava che altri tipi di stenosi potessero essere diagnosticati mediante angiografia RM oppure con l'Angio-TAC. Tali strumenti consentirebbero di visualizzare i grossi tronchi arteriosi e venosi extra ed intracerebrali ma anche in questo caso occorre che l'operatore sia opportunamente istruito su cosa ricercare. Questi metodi diagnostici presentano, tuttavia, dei limiti tecnologici non trascurabili: come è stato osservato dal dott. Salvatore Sclafani, esiste una scarsa correlazione tra i risultati anatomici evidenziati a mezzo flebografia RM, rispetto alla venografia selettiva effettuata in sede di trattamento, che rimane il gold standard Di fatto, molti dei restringimenti evidenziati adoperando i sistemi RM o TAC risultano essere non costanti o addirittura inesistenti nella controprova effettuata tramite venografia selettiva. Il problema dei falsi positivi e negativi prodotti dalla angiografia RM è stato posto in evidenza in più occasioni dallo stesso professor Zamboni, il quale da sempre ne sconsiglia l'utilizzo nella diagnosi per la CCSVI .

Trattamento tramite angioplastica

La sindrome quando causa stenosi può essere trattata attraverso un palloncino angioplastico o PTA. L'intevento consiste sostanzialmente nel praticare una puntura endovenosa alla vena femorale sinistra attraverso la quale viene fatto navigare un catetere guidato esternamente da un radiologo. Quando si raggiungono le vene bloccate queste vengono dilatate gonfiando un palloncino posto sul catetere. L'intervento si svolge nel territorio delle vene anziché in quello delle arterie come normalmente avviene.

Correlazione tra CCSVI e sclerosi multipla

La presenza di depositi di ferro ha spinto a ricercare una correlazione tra CCSVI e la sclerosi multipla. Secondo Zamboni, la CCSVI ha una elevata sensibilità e specificità tale da differenziare individui sani da quelli affetti da sclerosi multipla.
Valvole venose e flusso sanguigno

Lo studio ha incluso varianti progressive di SM, ma esclude forme non standard della malattia come la sclerosi concentrica di Balo o la sindrome di Schilder. Questo ha portato alla redazione di una teoria che porta ad affermare che l'insufficienza venosa è presente in un sottotipo di pazienti affetti da sclerosi multipla. La più ampia indagine per verificare tale teoria è attualmente in corso presso il Neuroimaging Analysis Center di Buffalo. L'ipotesi venosa è stata sostenuta principalmente dal ricercatore Paolo Zamboni, che ha teorizzato che la deformazione dei vasi sanguigni causa un valido aumento del deposito di ferro nel cervello, fatto che a sua volta fa scattare un procedimento autoimmune e quindi la degenerazione della guaina mielinica dei nervi. Attualmente si ritiene che la sclerosi multipla sia una malattia infiammatoria cronica demielinizzante che colpisce il sistema nervoso centrale a patogenesi autoimmune ma la causa di tale reazione è ancora sconosciuta. Sulla base di tale teoria, trattamenti per la sclerosi multipla sono stati proposti e testati su un piccolo gruppo di pazienti. La Multiple Sclerosis Society canadese si è impegnata a finanziare ulteriori prove sperimentali su tale ipotesi, anche se il capo dell'organizzazione ha preso atto che i risultati iniziali sono stati molto promettenti seppur in una fase ancora preliminare . In merito al trattamento della CCSVI in pazienti affetti da sclerosi multipla i dati pubblicati mostrano un miglioramento della circolazione venosa cerebrale ed una riduzione del numero di ricadute e di lesioni attive, nonché un miglioramento della qualità della vita dei pazienti. In soggetti affetti da malattia progressiva questo andamento si blocca o rallenta. Secondo quanto pubblicato,questa esperienza protratta nell’osservazione a 18 mesi è da considerare con attenzione come un trattamento efficace contro la sclerosi multipla da aggiungere ai trattamenti esistenti .





CCSVI - Insufficienza venosa cronico cerebro-spinale

CCSVI nella Sclerosi Multipla. Servizio andato in onda nel TGR Emilia Ro...

11/09/12

IMPORTANTE INCONTRO: Diabete -tecnologia, sport e ambiente

 

DIABETE: TECNOLOGIA, SPORT E AMBIENTE
23 settembre 2012
h. 9.00 – 14.00
Parco naturale regionale Molentargius Saline – 
Edificio Sali Scelti
Via La Palme s/n – Cagliari

A novant’anni dalla prima terapia con insulina Diabetezero Onlus vi invita al “Salotto” domenica 23 settembre 2012. Obiettivo di questa iniziativa è quello di rispondere al bisogno di ascolto e di condivisione delle persone con diabete, contribuendo a sviluppare una nuova cultura di questa malattia che si diffonda attraverso la rete e possa, quindi, raggiungere il massimo numero di persone con diabete e offrire a loro e alle loro famiglie un servizio e un supporto. I temi trattati durante il salotto sono: l’automonitoraggio, l’importanza dell’attività fisica nella persona con diabete.
L’Associazione Amiente e/è Vita Sardegna ci guiderà nella visita al Parco di Molentargius ricordandoci che l’uomo è al centro del sistema ambiente.

http://www.diabete.net/iniziative/diabete-tecnologia-sport-e-ambiente/

Sintomi di Diabete Mellito e Cure

Sintomi di Diabete Mellito e Cure

Con il termine diabete mellito si identifica un gruppo di disturbi metabolici caratterizzati da alti livelli di zuccheri (glucosio) nel sangue, causati da difetti nella secrezione o nell'azione dell'insulina, oppure dalla concomitanza di entrambe le cause. Il diabete mellito, chiamato comunemente diabete o diabete di tipo 2, venne identificato per la prima volta come una malattia associata a "urina dolce" e all'eccessiva perdita di massa muscolare. Degli elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) portano infatti alla fuoriuscita dello stesso nelle urine, fenomeno a cui si deve la definizione di "urina dolce".
Solitamente, i livelli di glucosio nel sangue sono strettamente controllati dall'insulina, un ormone prodotto dal pancreas. L'insulina infatti ha proprio il compito di abbassare il livello di glucosio nel sangue. Quando la glicemia aumenta (ad esempio, dopo aver mangiato), l'insulina viene rilasciata dal pancreas per normalizzare il livello di glucosio.

Nei pazienti affetti da diabete, l'assenza o l'insufficiente produzione di insulina causa iperglicemia. Il diabete mellito è una malattia cronica, cioè, nonostante sia possibile tenerlo sotto controllo, dura per tutta la vita
.

Quali le Conseguenze del Diabete mellito?



Col passare del tempo, il diabete può portare a cecità, insufficienza renale e provocare danni neurologici. Questi conseguenze sono dovute ai danni subiti dai capillari, condizione nota anche con il nome di microangiopatia. Il diabete mellito riveste anche un importante ruolo catalizzatore nel processo di indurimento e restringimento delle arterie (arteriosclerosi), favorendo così il verificarsi di infarti, cardiopatie coronariche e altre patologia cardiache. Questa condizione è nota anche come patologia macrovascolare.

Il diabete è la terza causa di morte dopo infarto e cancro nei paesi evoluti.


Quali sono le Cause del Diabete?



L'iperglicemia, e quindi il diabete, possono verificarsi a causa di: insufficiente produzione di insulina (in senso sia assoluto che relativo alle esigenze dell'organismo), produzione di insulina difettosa (caso non comune) oppure l'incapacità delle cellule di utilizzare l'insulina in modo corretto ed efficiente. L'ultima condizione elencata colpisce soprattutto le cellule muscolari e i tessuti adiposi, ed è nota come "insulino-resistenza". Si tratta del problema principale nei casi di diabete di tipo 2 (o diabete mellito). La mancanza assoluta di insulina, solitamente effetto secondario di un processo di distruzione delle cellule beta del pancreas (responsabili della produzione di insulina) , è invece la patologia più diffusa nei casi di diabete di tipo 1. Anche nel diabete di tipo mellito si verifica una diminuzione costante delle cellule beta, incidendo così sul processo che determina alti livelli di glicemia.

In breve, se una persona è resistente all'insulina, il corpo può, in certa misura, aumentare la produzione dell'insulina stessa, contrastando così quella resistenza. Col tempo, se la produzione diminuisce e l'insulina non può essere più prodotta altrettanto efficacemente, si ha l'insorgere dell'iperglicemia.
Il glucosio è uno zucchero semplice che si trova nel cibo. E' un nutriente essenziale che fornisce l'energia per il corretto funzionamento delle cellule corporee. I carboidrati vengono scomposti nell'intestino tenue e il glucosio contenuto negli alimenti digeriti viene assorbito dalle cellule dell'intestino, passando nel flusso sanguigno, per essere poi trasportato alle cellule del corpo, in cui verrà utilizzato. Il glucosio non può però entrare da solo nelle cellule, dato che per il suo trasporto si rende necessario l'intervento dell'insulina. Senza insulina, le cellule soffrono per mancanza di energia da glucosio, nonostante quest'ultimo abbondi nel sangue. In alcuni tipi di diabete, l'incapacità delle cellule di utilizzare il glucosio causa una paradossale situazione di fame perpetua (sensazione di fame anche dopo aver mangiato). Il glucosio inutilizzato e in eccesso va così sprecato e viene espulso con le urine.

L'insulina è un ormone prodotto da cellule specializzate (cellule beta) del pancreas. (Il pancreas è un organo situato in profondità nell'addome, dietro lo stomaco) Oltre ad aiutare il glucosio a entrare nelle cellule, l'insulina è importante anche per la regolazione del livello di glucosio nel sangue stesso. Dopo un pasto, la glicemia aumenta per effetto del cibo assimilato. Come risposta all'aumento del livello di glucosio, il pancreas solitamente rilascia una maggior quantità di insulina nel flusso sanguigno, per aiutare il glucosio a penetrare nelle cellule e diminuire la glicemia. Quando il livello di glucosio nel sangue si abbassa, anche il rilascio di insulina da parte del pancreas diminuisce. È importante notare che anche in stato di digiuno vi è un continuo rilascio di bassi livelli di insulina, che fluttuano leggermente per contribuire a mantenere stabile la glicemia in mancanza di assunzione di cibo. Negli individui normali questo sistema di regolazione contribuisce a mantenere la glicemia entro valori ben delimitati. Come accennato sopra, nei pazienti affetti da diabete l'insulina può essere assente, insufficiente rispetto ai bisogni dell'organismo, oppure usata dal corpo in maniera non ottimale. Tutti questi fattori sono causa di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia).


Quali sono i diversi Tipi di Diabete?



I principali tipi di diabete sono due, e sono definiti tipo 1 e tipo 2. Il diabete di tipo 1 è chiamato anche diabete mellito insulino-dipendente, o diabete giovanile mellito. Nel diabete di tipo 1, il pancreas subisce un attacco autoimmune da parte del corpo stesso, finendo con il diventare incapace di produrre insulina. Nella maggioranza dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 sono stati riscontrati anticorpi anormali. Gli anticorpi sono proteine del sangue che fanno parte del sistema immunitario dell'organismo. Il paziente affetto da diabete di tipo 1 è costretto a utilizzare una cura a base di insulina per sopravvivere.

Nelle malattie autoimmuni, come il diabete di tipo 1, il sistema immunitario crea per errore anticorpi e cellule infiammatorie che prendono di mira e danneggiano gli stessi tessuti dell'organismo. Nelle persone affette da diabete di tipo 1, le cellule beta del pancreas, responsabili per la produzione di insulina, vengono attaccate per errore dal sistema immunitario. Si ritiene che la tendenza a sviluppare anticorpi anormali nel diabete di tipo 1 sia, in parte, un fattore ereditato geneticamente, anche se i dettagli non sono ancora pienamente compresi.

L'esposizione ad alcune infezioni virali (parotite e virus Coxsackie) oppure ad altre tossine ambientali, può essere la causa dell'inizio di una risposta immunitaria anomala che può finire con il danneggiare le cellule del pancreas nelle quali viene prodotta l'insulina. Fra gli anticorpi riscontrati nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 troviamo anticorpi che colpiscono le cellule insulari (del pancreas), anticorpi che prendono di mira l'insulina e anticorpi anti-decarbossilasi dell'acido glutammico. La presenza di questi anticorpi può essere misurata nella maggior parte dei pazienti, facilitando l'individuazione delle persone a rischio di insorgenza del diabete di tipo 1.

Il diabete di tipo 1 tende a colpire persone giovani e magre, solitamente prima dei 30 anni, anche se sono possibili sporadici casi di insorgenza di questa forma di diabete oltre questa soglia d'età. Questo sottogruppo viene definito diabete autoimmune latente dell'adulto (in inglese LADA). Il LADA è una forma lenta e progressiva di diabete di tipo 1.

Della totalità dei pazienti affetti da diabete, solo circa il 10% è affetta da diabete di tipo 1, mentre nel restante 90% si tratta di diabete di tipo 2.

Il diabete di tipo 2 è chiamato anche diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM), o diabete mellito dell'adulto (AODM). I soggetti affetti da diabete di tipo 2 sono ancora in grado di produrre insulina, ma ciò avviene in maniera insufficiente in relazione ai bisogni del loro corpo, in particolare alla luce del fenomeno dell'insulino-resistenza prima discusso. In molti casi, ciò significa che il pancreas produce in effetti quantità di insulina più alte rispetto alla norma. Una delle caratteristiche principali del diabete di tipo 2 è una mancanza di sensibilità all'insulina da parte delle cellule corporee (in particolare cellule muscolari e adipose).

In aggiunta ai problemi legati all'aumento dell'insulino-resistenza, il rilascio di insulina da parte del pancreas potrebbe anche essere difettoso oppure comunque non ottimale. è infatti noto che, nei casi di diabete di tipo 2, si verifica una continua diminuzione nella produzione di insulina da parte delle cellule beta, contribuendo così al peggioramento del controllo della glicemia (questo è anche un fattore determinante nei casi di ricorso a terapie insuliniche per i pazienti affetti da diabete di tipo 2). Infine, il fegato di questi pazienti continua a produrre glucosio attraverso un processo noto come glicogenesi, nonostante i già elevati livelli di glicemia. Il controllo della glicogenesi risulta pertanto compromesso.

Anche se solitamente si dice che il diabete di tipo 2 si verifica soprattutto in pazienti sopra i 30 anni di età e che la sua incidenza aumenti con l'età, si sta riscontrando un numero allarmante di casi in cui il diabete di tipo 2 colpisce addirittura persone in età adolescenziale. Infatti, per la prima volta nella storia dell'umanità, il diabete di tipo 2 è diventato ormai più comune di quello di tipo 1 nei pazienti di età infantile. La maggior parte di questi casi dipende in maniera diretta da abitudini alimentari scorrette, peso corporeo più elevato e mancanza di esercizio fisico.

Anche se l'insorgenza di questo tipo di diabete è dovuta in buona parte a fattori genetici, esistono anche altri fattori di rischio, il più importante dei quali è l'obesità. Esiste infatti una relazione diretta fra il livello di obesità e il rischio di insorgenza del diabete di tipo 2, e questa relazione è valida tanto per gli adulti quanto per i bambini. Si stima che la probabilità di insorgenza di diabete raddoppi a ogni aumento del 20% rispetto al peso corporeo ideale di una persona.

Con riferimento all'età, i dati mostrano come per ogni dieci anni oltre i 40 anni di età (e indipendentemente dal peso), si verifichi un aumento nell'incidenza del diabete. I casi di persone affette da diabete nell'intervallo di età fra i 65 e i 74 anni rappresenta quasi il 20% del totale. Il diabete di tipo 2 è inoltre più comune in determinati gruppi etnici. Mentre negli individui di etnia caucasica l'incidenza è del 6%, per gli americani di origine africana o asiatica è stimata attorno al 10%, per noi di etnia latina siamo intorno al 15%. Inoltre, il diabete si presenta molto più spesso in donne che sono già affette da diabete in fase di gravidanza.

Il diabete può infatti verificarsi in maniera transitoria durante la gravidanza. I significativi cambiamenti a livello ormonale che si verificano durante la gravidanza possono portare a un aumento della glicemia negli individui geneticamente predisposti.

L'aumento della glicemia durante la gravidanza è noto come diabete gestazionale.

Il diabete gestazionale solitamente sparisce dopo il parto. Ad ogni modo, circa il 25-50% delle donne che hanno sofferto di diabete gestazionale finisce con lo sviluppare diabete di tipo 2 in una fase successiva della propria vita, specialmente quei soggetti per i quali è stata necessaria una terapia insulinica durante la gravidanza o che sono rimasti sovrappeso dopo il parto. Ai pazienti affetti da diabete gestazionale viene solitamente chiesto di sostenere un test orale di tolleranza al glucosio a distanza di circa sei settimane dal parto, per verificare se il loro diabete sia o meno scomparso dopo la gravidanza, oppure se vi siano segni (quali una ridotta tolleranza al glucosio) che possano indicare un rischio futuro di insorgenza del diabete.

Il termine "diabete secondario" fa riferimento a un'elevata glicemia causata da altre patologie. Il diabete secondario può svilupparsi quando il tessuto pancreatico responsabile per la produzione di insulina viene distrutto in conseguenza di patologie, quali la pancreatite cronica (infiammazione del pancreas dovuta a tossine, come eccessivi livelli di alcol), eventi traumatici oppure rimozione chirurgica del pancreas.

Il diabete può anche essere causato da altri disturbi ormonali, come una produzione eccessiva dell' ormone della crescita (acromegalia) e la sindrome di Cushing.

Nell'acromegalia, un tumore della ghiandola pituitaria, alla base del cervello, si ha un'eccessiva produzione di ormone della crescita, che porta all'iperglicemia. Nella sindrome di Cushing, le ghiandole surrenali producono cortisolo in eccesso, il quale a sua volta favorisce l'aumento della glicemia.

Inoltre, alcuni farmaci possono causare un peggioramento del controllo del diabete, oppure "smascherare" una patologia diabetica latente. Questo fenomeno è ad esempio comune nell'assunzione di farmaci steroidei.


Quali sono i Sintomi del Diabete?



I primi sintomi di un diabete non trattato sono rappresentati da elevata glicemia e perdita di glucosio nelle urine. Degli alti livelli di glucosio nelle urine possono determinare un aumento della diuresi e portare alla disidratazione. La disidratazione a sua volta causerà un aumento della sensazione di sete e del consumo di acqua.
L'incapacità dell'insulina di svolgere normalmente i propri compiti ha degli effetti sul metabolismo delle proteine, dei carboidrati e dei lipidi. L'insulina è un ormone anabolizzante, che favorisce cioè l'immagazzinamento di lipidi e proteine.
Una mancanza assoluta o relativa di insulina finisce con il portare a perdita di peso, nonostante un appetito aumentato.
Alcuni soggetti affetti da diabete ma non sottoposti a trattamenti, lamentano sintomi quali stanchezza, nausea e vomito.
I soggetti affetti da diabete sono più inclini a sviluppare infezioni della vescica, della pelle e della zona vaginale.
Le fluttuazioni dei livelli di glicemia possono provocare un offuscamento della vista. Dei livelli glicemici estremamente elevati possono portare a letargia e coma.


Come si diagnostica il Diabete?



Le analisi del sangue a digiuno per determinare la glicemia sono la maniera preferita per diagnosticare il diabete: sono facili e comode da eseguire. Dopo aver digiunato per tutta la notte (almeno 8 ore), verrà prelevato un singolo campione di sangue, che sarà poi analizzato in laboratorio. Questo esame può essere eseguito con precisione anche utilizzando un glucometro presso lo studio di un medico.

I livelli normali di glicemia a digiuno sono inferiori: 100 milligrammi per decilitro (mg/dl).
Una glicemia in stato di digiuno superiore a 126 mg/dl, riscontrata con due diverse misurazioni effettuate in giorni diversi, indica la presenza di diabete.
Anche un test casuale della glicemia può essere utilizzato per diagnosticare il diabete: un livello glicemico di 200 mg/dl o superiore è sintomo di diabete.
Quando la glicemia si mantiene fra 100 e 126mg/dl a digiuno, si parla di glicemia alterata a digiuno. Anche se i pazienti affetti da glicemia alterata a digiuno non soffrono propriamente di diabete, la loro condizione comporta comunque dei rischi e delle preoccupazioni, che dovranno essere affrontate in altro modo.


Il Test orale di Tolleranza al Glucosio



Anche se non più usato come pratica di routine, il test orale di tolleranza al glucosio rimane lo standard di riferimento per la diagnosi di diabete di tipo 2 o mellito. Viene ancora utilizzato comunemente nella diagnosi del diabete gestazionale e in condizioni di pre-diabete, come la sindrome da ovaio policistico. Per eseguire il test orale di tolleranza al glucosio, il soggetto esaminato dovrà digiunare durante la notte (almeno 8 ore, ma non più di 16). Per prima cosa viene esaminato il livello di glucosio nel sangue del paziente a digiuno. In seguito, al soggetto vengono somministrati 75 grammi di glucosio (100 grammi nel caso di donne in gravidanza).

Solitamente il glucosio viene somministrato attraverso un liquido dal sapore dolce. In seguito all'assunzione, dei nuovi campioni di sangue vengono presi a intervalli specifici per misurare i relativi livelli glicemici.

Perché l'analisi dia risultati affidabili sono necessarie alcune condizioni:

il soggetto deve essere in buona salute (non deve essere affetto da altre malattie, nemmeno il raffreddore);
il soggetto deve trovarsi in condizioni normali di attività (ad esempio non un paziente d'ospedale disteso su un letto);
il soggetto non deve essere in cura con farmaci che possano influenzare la glicemia;
nei tre giorni precedenti l'analisi, il soggetto deve essersi attenuto a una dieta ricca in carboidrati (200-300 grammi al giorno);
la mattina in cui si svolge il test, il soggetto non deve fumare, né bere caffè.

Il test orale di tolleranza al glucosio classico prevede la misurazione dei livelli di glicemia per cinque volte nell'arco di tre ore. Alcuni medici si limitano invece all'analisi di un campione di base seguito da un altro campione a distanza di due ore dall'assunzione della soluzione a base di glucosio. In una persona non affetta da diabete, i livelli glicemici aumentano per poi scendere velocemente. In un soggetto affetto da diabete, al contrario, i livelli di glicemia aumenteranno più del normale e impiegheranno più tempo per diminuire.

Le persone con livelli di glicemia compresi fra quelli normali e quelli propri del diabete sono affette da ridotta tolleranza al glucosio (IGT).

Le persone affette da ridotta tolleranza al glucosio non soffrono di diabete, ma sono ad alto rischio di evoluzione della loro patologia in diabete vero e proprio. Ogni anno, una quota compresa fra l'1 e il 5% delle persone affette da ridotta tolleranza al glucosio finisce per sviluppare il diabete. La perdita di peso e l'esercizio fisico possono aiutare le persone affette da ridotta tolleranza al glucosio a far tornare i propri livelli di glicemia nella norma. Inoltre, alcuni medici consigliano l'utilizzo di farmaci per aiutare a prevenire/ritardare l'insorgenza del diabete vero e proprio.

Delle recenti ricerche hanno dimostrato che la stessa ridotta tolleranza al glucosio può rappresentare un fattore di rischio nello sviluppo di malattie cardiache. La maggior parte dei membri della comunità medica si sta ormai rendendo conto del fatto che la ridotta tolleranza al glucosio non è semplicemente un sintomo precursore del diabete, ma che rappresenta al contrario una patologia clinica a se stante, che in quanto tale richiede controlli e cure adatte.


Valutazione dei Risultati del Test orale di Tolleranza al Glucosio



I test orali di tolleranza al glucosio possono condurre a una delle seguenti diagnosi:

Risposta normale: la risposta di un soggetto al test si considera normale quando il livello glicemico a distanza di due ore dall'assunzione della soluzione è inferiore a 140 mg/dl e tutti gli altri valori, fra 0 e 2 ore, sono inferiori ai 200 mg/dl;

Ridotta tolleranza al glucosio: un soggetto si considera affetto da ridotta tolleranza al glucosio quando la glicemia a digiuno è inferiore a 126 mg/dl e quella a 2 ore di distanza compresa fra 140 e 199 mg/dl;

Diabete: un soggetto soffre di diabete quando due test svolti in giornate diverse mostrano elevati livelli di glicemia;

Diabete gestazionale: una donna si considera affetta da diabete gestazionale quando presenta due delle seguenti condizioni: OGTT di 100g; glicemia a digiuno superiore a 95 mg/dl; glicemia a un'ora nel test superiore a 180 mg/dl; glicemia a due ore nel test superiore a 155 mg/dl; oppure glicemia a tre ore nel test superiore a 140 mg/dl.





Controllo della Glicemia a Casa



Il controllo domestico dei livelli di glicemia riveste un importante ruolo. Uno degli obiettivi principali delle cure per diabetici è quello di tenere i livelli di glicemia in prossimità dell'intervallo normale, di 70-120 mg/dl prima dei pasti e sotto i 140 mg/dl a distanza di due ore dal pasto. I livelli di glicemia vengono solitamente misurati prima e dopo i pasti, e prima di andare a letto. I livello glicemico viene comunemente misurato pungendo la punta di un dito con un apposito pungidito, per poi utilizzare il sangue fuoriuscito con un glucometro per effettuare la misurazione. I risultati del test vengono quindi utilizzati per aiutare i pazienti ad apportare modifiche alla cura farmacologica, alla dieta e alle attività fisiche praticate.

Si sono registrati alcuni interessanti sviluppi nel controllo dei livelli glicemici. Al momento lo sviluppo più interessante è rappresentato dai sensori per il monitoraggio continuo del glucosio. Sono nuovi sistemi dotati di sensori per il monitoraggio continuo del glucosio che prevedono l'applicazione di una cannula impiantabile in posizione sottocutanea nell'addome o nel braccio. Questa cannula permette la misurazione frequente dei livelli di glicemia. Alla sua estremità si trova un trasmettitore che invia i dati rilevati a un dispositivo simile a un cercapersone. Questo dispositivo dispone di uno schermo che consente all'utilizzatore di visualizzare non solo il livello glicemico attuale, ma anche il suo andamento in forma grafica. Alcuni dispositivi visualizzano anche la velocità del cambiamento. Sono inoltre presenti degli allarmi relativi a livelli troppo alti o troppo bassi. Alcuni modelli sono anche in grado di avvisare l'utente se la velocità di cambiamento dei livello glicemico misurato, in aumento o in diminuzione, dovesse risultare troppo elevata.

A ogni modo, il paziente deve ancora operare manualmente la somministrazione di qualsiasi dose di insulina (il microinfusore non può rispondere automaticamente alle informazioni ricevute sui livelli glicemici, ma può solo suggerire all'utente se ritenga necessario assumere una dose di insulina, e di quale entità). Tutti questi dispositivi devono essere utilizzati congiuntamente a dei pungidito per alcune ore, prima di poter funzionare in maniera autonoma. I dispositivi potranno poi fornire delle letture per un periodo di tempo di 3-5 giorni.

Secondo gli esperti di diabetologia, questi strumenti di monitoraggio dei livelli glicemici hanno permesso ai pazienti di avere un elevato grado di indipendenza nella gestione della propria malattia. Essi rappresentano inoltre un ottimo strumento educativo per chi li utilizza.

È inoltre importante tener presente che questi dispositivi possono essere utilizzati in maniera alternata rispetto al pungidito. Ad esempio, un paziente con un diabete sotto controllo può anche affidarsi a misurazioni effettuate con il pungidito per qualche volta durante la giornata e non avere alcun problema. Se poi il paziente dovesse ammalarsi, modificare il proprio regime di esercizi fisici, la propria dieta o altro ancora, potrebbe utilizzare il sensore per integrare i controlli effettuati con il pungidito, ottenendo così maggiori informazioni relative a come sta rispondendo alle modifiche intervenute.


Emoglobina A1c



Per spiegare cosa sia l'emoglobina A1c, provate a pensarla nei seguenti termini: Lo zucchero è appiccicoso, e dopo un po' di tempo diventa ancora più difficile da togliere.

All'interno del corpo lo zucchero si comporta allo stesso modo, attaccandosi in particolare alle proteine. La durata media della vita dei globuli rossi che circolano nell'organismo è di circa tre mesi. Attaccandosi a queste cellule, lo zucchero ci fornisce anche un'idea di quanto ce ne sia stato nei tre mesi precedenti. Secondo la maggioranza dei laboratori d'analisi, l'intervallo normale è compreso fra il 4 e il 5,9%. Nel caso di diabete curato in maniera non ottimale, questo valore è dell'8% o superiore, mentre nei pazienti con una cura adeguata è inferiore al 7% (il valore ottimale è inferiore al 6,5%). Il vantaggio della misurazione dell'A1c è che fornisce una visione più moderata e stabile di ciò che avviene nel corso del tempo (tre mesi), senza quegli sbalzi nei valori registrabili invece con le misurazioni effettuate con il glucometro.

Esiste una correlazione diretta fra i livelli di A1c e la glicemia media.

Anche se non esistono linee guida per l'utilizzo dell'A1c come strumento di screening, esso può indicare al medico con buona approssimazione se una persona sia o meno diabetica. Al momento viene utilizzato come strumento di routine nella determinazione del controllo glicemico nei pazienti in cui il diabete è già stato accertato.


Quali sono le Complicanze acute del Diabete?



1. Glicemia molto elevata, a causa di una mancanza assoluta oppure relativa di insulina.
2. Glicemia molto bassa, a causa della troppa insulina o altri farmaci per la riduzione del glucosio.

L'insulina è un salvavita nei pazienti affetti da diabete di tipo 1, che non possono sopravvivere senza una fonte esterna di insulina. Senza insulina, i pazienti affetti da diabete di tipo 1 sviluppano dei livelli glicemici estremamente elevati. Ciò conduce all'aumento del glucosio nelle urine, che a sua volta provoca un'eccessiva perdita di liquidi ed elettroliti attraverso le urine. La carenza di insulina provoca inoltre l'incapacità di immagazzinare lipidi e proteine, con la conseguente diminuzione delle riserve di lipidi e proteine esistenti. Questo sbilanciamento avvia un processo di chetosi, con il rilascio di chetoni nel sangue. I chetoni aumentano l'acidità del sangue, patologia nota anche come chetoacidosi diabetica (DKA). I sintomi della chetoacidosi diabetica includono nausea, vomito e dolori addominali. Senza cure mediche veloci e adeguate, i pazienti affetti da chetoacidosi diabetica possono entrare in shock, coma e perfino morire.

La chetoacidosi diabetica può essere provocata da infezioni, stress o traumi, tutte situazioni che possono far aumentare il bisogno di insulina. Inoltre, la mancanza delle dosi di insulina necessarie è ovviamente un altro fattore di rischio nell'insorgenza della chetoacidosi diabetica. Il trattamento d'urgenza della chetoacidosi diabetica prevede la somministrazione di fluidi, elettroliti e insulina per via endovenosa, solitamente nell'unità di terapia intensiva di un ospedale.

La disidratazione può anche essere molto grave, tanto che non è insolito che sia necessario somministrare fino a 6-7 litri di fluidi quando un soggetto si presenta con la chetoacidosi diabetica. Per le infezioni vengono invece somministrati degli antibiotici.

Con il giusto trattamento, l'anormale livello glicemico, la produzione di chetoni, l'acidosi e la disidratazione possono essere invertiti velocemente e il paziente può riprendersi senza troppi problemi.

Anche nei pazienti con diabete di tipo 2 o mellito, lo stress, le infezioni e i farmaci (come i corticosteroidi) possono portare a una glicemia estremamente elevata. Questa, assieme alla disidratazione può portare, nei pazienti affetti da diabete di tipo 2, a un aumento dell'osmolarità del sangue (stato iperosmolare). Questa condizione può condurre al coma (coma iperosmolare). Il coma iperosmolare solitamente si verifica nei pazienti in età avanzata affetti da diabete di tipo 2. Come la chetoacidosi diabetica, anche il coma iperosmolare costituisce un'emergenza medica. Il trattamento immediato con fluidi e insulina per via endovenosa sono fondamentali per invertire lo stato iperosmolare. Diversamente dai soggetti affetti da diabete di tipo 1, quelli con diabete di tipo 2 non vengono solitamente colpiti da chetoacidosi solamente a causa del loro diabete. Dato che in generale il diabete di tipo 2 colpisce individui di età più elevata, è anche più probabile che esistano altre patologie concomitanti e che questi pazienti siano in condizioni di salute generali meno buone. Le percentuali di insorgenza di complicanze e di morte causate dal coma iperosmolare sono di conseguenza più elevate rispetto a quelle della DKA.

L'ipoglicemia identifica una situazione di livello di zuccheri (glucosio) nel sangue troppo bassa. Nei pazienti diabetici, la causa più comune per bassi livelli glicemici è rappresentata da un uso eccessivo di insulina o di altri farmaci per la riduzione del glucosio in caso di pasti ritardati o assenti. Quando la glicemia si abbassa a causa dell'insulina, questa condizione viene definita reazione insulinica. A volte un basso livello glicemico può essere il risultato di un'insufficiente assunzione di calorie o di uno sforzo fisico eccessivo.

Il glucosio è essenziale per un corretto funzionamento delle cellule cerebrali, per cui dei bassi livelli glicemici possono portare all'insorgenza di sintomi a carico del sistema nervoso centrale, quali:

• vertigini;
• confusione;
• debolezza;
• tremori.

L'esatta soglia glicemica alla quale questi sintomi possono manifestarsi varia da persona a persona, ma solitamente ciò avviene con una glicemia inferiore a 65 mg/dl. Se non curata, l'ipoglicemia grave può portare a convulsioni, coma e, nei casi più gravi, alla morte cerebrale irreversibile. Quando ciò avviene, il cervello è in stato di sofferenza per mancanza di zuccheri, e ciò solitamente si verifica con una glicemia pari o inferiore ai 40 mg/dl.

La cura dell'ipoglicemia consiste nella somministrazione di una dose di glucosio facilmente assimilabile. Questa può essere rappresentata da una bevanda contenente glucosio, come succo d'arancia o bibite analcoliche (non senza zuccheri), oppure da compresse di glucosio in dosi da 15-20 grammi per volta (l'equivalente, ad esempio, di mezzo bicchiere di succo di frutta). Anche della glassa per dolci inserita all'interno delle guance può avere effetto velocemente, nel caso in cui fosse difficile ottenere la collaborazione del paziente. Se il soggetto dovesse perdere i sensi, sarà necessario iniettare del glucagone per via intramuscolare.

Il glucagone provoca il rilascio di glucosio dal fegato (promuove la gluconeogenesi). Il glucagone può essere un farmaco salvavita e ogni paziente diabetico che ha una storia pregressa di ipoglicemia (in particolare i pazienti che utilizzano insulina) dovrebbe averlo a disposizione. I familiari e gli amici di soggetti diabetici devono sapere come somministrare il glucagone, dato che in una situazione di emergenza il paziente non sarà ovviamente in grado di farlo da solo.


Quali sono le Complicanze croniche del Diabete?



Le complicanze croniche del diabetiche sono legate a patologie vascolari e vengono generalmente suddivise in patologie a carico dei piccoli vasi sanguigni, come quelle che colpiscono occhi, reni e sistema nervoso (microangiopatia) e patologie a carico dei grandi vasi, riguardanti cuore e vasi sanguigni (macroangiopatia). Il diabete accelera il processo di indurimento delle arterie (arteriosclerosi) e dei grandi vasi sanguigni, portando a patologie coronariche (angina pectoris o infarto), ictus e dolore agli arti inferiori a causa di insufficiente afflusso di sangue (claudicazione).


Complicanze oculari



La complicanza più grave causata dal diabete a carico dell'occhio è chiamata retinopatia diabetica. La retinopatia diabetica colpisce pazienti che hanno già sofferto di diabete da almeno 5 anni. I capillari malati nella parte posteriore dell'occhio provocano una fuoriuscita di proteine e sangue nella retina.

La malattia di questi vasi provoca inoltre la formazione di piccoli aneurismi (microaneurismi) e di nuovi capillari molto fragili (neovascolarizzazione). Il sanguinamento spontaneo dei nuovi vasi può portare alla formazione di cicatrici retiniche e al distacco della retina, compromettendo così la vista.

Per il trattamento della retinopatia diabetica viene utilizzato un laser che distrugge e impedisce il riformarsi di questi piccoli aneurismi e fragili capillari. Circa il 50% dei pazienti diabetici svilupperà un certo grado di retinopatia dopo 10 anni di diabete, e dopo 15 anni questa percentuale sale all'80%. Un cattivo controllo della glicemia e della pressione sanguigna aggravano poi ulteriormente le patologie a carico dell'occhio nei pazienti diabetici.

L'incidenza di cataratta e glaucoma è maggiore fra i pazienti diabetici. È inoltre importante tenere presente che, dato che il cristallino permette all'acqua di attraversarlo, se le concentrazioni di glucosio nel sangue sono soggette a grandi variazioni, anche il cristallino aumenterà o diminuirà di dimensione. La conseguenza di ciò è una vista spesso offuscata nei casi di diabete non seguiti con attenzione. Ai pazienti viene solitamente sconsigliato di farsi prescrivere nuovi occhiali finché la loro glicemia non ritorna sotto controllo. Ciò consente infatti di determinare con maggior precisione il tipo di lenti necessario.


Danni renali



I danni ai reni causati dal diabete sono noti con il nome di nefropatia diabetica.

L'insorgenza della patologia renale e la sua progressione sono estremamente variabili.

Inizialmente, i piccoli vasi nei reni affetti dalla patologia provocano la fuoriuscita di proteine nelle urine. In seguito, i reni perdono la loro capacità di ripulire e filtrare il sangue.

L'accumulo di sostanze tossiche nel sangue finisce quindi col far sì che si renda necessaria la dialisi. La dialisi prevede l'uso di un macchinario che sostituisce i reni nell'opera di filtraggio e pulizia del sangue. I pazienti che non vogliano sottoporsi a dialisi periodica dovranno prendere in considerazione il trapianto di reni.

L'evoluzione della nefropatia può essere rallentata significativamente tenendo sotto controllo l'ipertensione e trattando in maniera aggressiva l'iperglicemia. Gli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE-inibitori) o gli antagonisti del recettore dell'angiotensina (ARB) usati nel trattamento dell'ipertensione possono essere d'aiuto anche nel trattamento delle patologie renali nei pazienti diabetici.


Neuropatia



I danni al sistema nervoso periferico provocati dal diabete vanno sotto il nome di neuropatia diabetica e sono anch'essi provocati dalla microangiopatia. In poche parole, l'afflusso di sangue al sistema nervoso è limitato e i nervi non raggiunti dal flusso sanguigno subiscono danni o muoiono (fenomeno noto come ischemia). I sintomi della neuropatia da diabete comprendono intorpidimento, bruciore e dolore ai piedi e alle estremità inferiori.

Quando la patologia nervosa provoca una perdita totale di sensibilità ai piedi, i pazienti possono anche non rendersi conto di eventuali ferite, non prestando quindi la necessaria attenzione nel proteggerli. In questi casi è quindi consigliabile indossare scarpe o altri tipi di protezione ogni volta che sia possibile.

Anche le ferite apparentemente più leggere dovrebbero essere curate con velocità e attenzione, per evitare il possibile sviluppo di gravi infezioni. A causa della scarsa circolazione sanguigna, le ferite ai piedi nei soggetti diabetici potrebbero anche non guarire. Talvolta, piccole ferite ai piedi possono portare a gravi infezioni, ulcere e addirittura cancrena, richiedendo l'asportazione chirurgica di dita, piedi o altre parti infette.

La neuropatia da diabete può inoltre riguardare nervi importanti nell'erezione del pene, provocando quindi disfunzione erettile (impotenza). La disfunzione erettile può anche essere causata da uno scarso afflusso di sangue al pene, provocato a sua volta dalle patologie vascolari di natura diabetica.

La neuropatia diabetica può poi colpire anche i nervi di stomaco e intestino, provocando nausea, perdita di peso, diarrea e altri sintomi di gastroparesi (ritardato passaggio del contenuto dello stomaco all'intestino, causato da insufficienti contrazioni dei muscoli dello stomaco).


Cosa si può fare per rallentare l'insorgere delle Complicanze del Diabete?



Molte ricerche hanno mostrato chiaramente come un controllo intensivo dell'iperglicemia nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 e 2 riduca le complicanze di nefropatia, neuropatia, retinopatia e possa ridurre anche l'insorgenza e la gravità dei casi di macroangiopatia. Un controllo aggressivo attraverso una terapia intensiva significa raggiungere livelli di glicemia a digiuno compresi fra i 70 e i 120 mg/dl, o inferiori a 160 mg/dl dopo i pasti, con valori dei livelli di emoglobina A1c quasi nella norma.

Gli studi riguardanti soggetti affetti da diabete di tipo 1 hanno mostrato come nei pazienti trattati in maniera intensiva l'insorgenza delle patologie oculari diminuisce del 76%, di quelle renali del 54% e di quelle nervose del 60%.

Per ottenere un controllo ottimale della glicemia senza rischiare di incorrere nell'ipoglicemia, i pazienti affetti da diabete di tipo 1 devono monitorare il proprio livello glicemico almeno 4 volte al giorno e assumere insulina almeno 3 volte al giorno. Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 o mellito, un controllo intensivo della glicemia ha mostrato effetti benefici simili relativamente alle patologie di occhi, reni, nervi e vasi sanguigni.


COMUNICATO STAMPA -S F I D A Sindacato Famiglie Italiane Diverse Abilità


S F I D A Sindacato Famiglie Italiane Diverse Abilità
Sede Provinciale di Messina Via Nazionale n. 227 –
98060 – FALCONE
www.sindacatosfida.it e-mail: infosfidamessina@tiscali.it
tel. 3382447502- fax 1782702331

COMUNICATO STAMPA
Messina 10 Settembre 2012

Due alunni ultradiciottenni con disabilità regolarmente iscritti, per l’anno scolastico 2012-2013, alla classe V di un istituto superiore in provincia di Messina, lunedì 10 settembre, primo giorno di scuola, non sono stati accettati in classe , perché essendo ripetenti e maggiorenni, avrebbero assolto l’obbligo scolastico, quindi pur non avendo completato il corso di studi intrapreso, non avrebbero diritto a frequentare l’ultimo anno di scuola.
SFIDA denuncia l’abuso commesso dall’istituzione scolastica nel rifiutare gli alunni, dopo aver accettato la loro iscrizione ed inoltrato regolare richiesta per il docente di sostegno, invita tutte le istituzioni interessate a garantire il diritto allo studio degli alunni con disabilità così come esaustivamente stabilisce la nota diramata dall’Ufficio Scolastico Regionale di Palermo nella parte in cui ritiene “opportuno fornire indicazioni circa la frequenza e la permanenza di alunni disabili ultradiciottenni nelle Istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado. Premesso che il percorso formativo-scolastico degli alunni in situazione di disabilità va incoraggiato e facilitato nell’interesse globale della persona e per la piena realizzazione dell’integrazione, la normativa vigente (sentenza Corte Costituzionale n. 226/2001, C. M. n. 4 del 15-1-2012, C.M. n. 17 del 18-2-2010, C.M. prot. 4561 del 5-7-2011) prevede che : lo studente disabile ultradiciottenne, iscritto e frequentante nei corsi diurni degli Istituti di Istruzione secondaria di secondo grado, ha il diritto di proseguire il proprio percorso di studi per l’intero ciclo quinquennale con l’ausilio dell’insegnante di sostegno.”

Ancora una volta SFIDA, alla luce di quanto è avvenuto, ricorda che nonostante le prerogative degli Uffici periferici nel dover non solo impartire, ma ancor più educare alla legalità tutti i soggetti in essi operanti, purtroppo si è davanti ad un abuso, ad discriminazione, ad una vera e propria
“forma di razzismo verso chi vive la disabilità”.

SFIDA, invita le Istituzioni scolastiche, il MIUR e tutte le figure istituzionali che nel territorio lo rappresentano, ad eliminare qualsiasi forma di abuso che lede i diritti delle persone con disabilità ed umilia il loro percorso di vita, confida in immediate soluzioni positive anche per tutti quei casi dove il diritto di legge viene calpestato, si riserva di adire a vie legali auspicando che, per eventuali danni alle famiglie, siano chiamati a rispondere personalmente i responsabili che predispongono gli atti e non la Pubblica Amministrazione nella sua figura istituzionale.

Il Segretario Provinciale
Prof.ssa Maria VITALE MERLO

Rischio di embolia polmonare in pazienti con disordini autoimmuni ( 2012 )


http://www.trombosionline.it/index.php?view=20348
Alcuni disordini autoimmuni sono stati associati a tromboembolismo venoso.

Uno studio ha valutato se esiste un’associazione tra malattie autoimmuni e rischio di embolia polmonare.

Sono stati seguiti per embolia polmonare tutti gli individui svedesi senza precedente ricovero in ospedale per tromboembolismo venoso e con diagnosi primaria o secondaria di un disturbo autoimmune nel periodo 1964-2008.

Sono stati ottenuti i dati dal database MigMed2. La popolazione di riferimento era la popolazione svedese totale.

Sono stati calcolati i rapporti standardizzati di incidenza ( SIR ) per embolia polmonare, aggiustati per variabili individuali, inclusi età e sesso.

Nello studio, 535.538 individui sono stati ammessi in ospedale a causa di una malattia autoimmune.

Il rischio generale di embolia polmonare nel primo anno dopo il ricovero per malattia autoimmune è stato pari a 6.38.

Tutte le 33 malattie autoimmuni sono risultate associate a un aumento significativo nel rischio di embolia polmonare durante il primo anno dopo l’ammissione in ospedale.
Tuttavia, alcune hanno mostrato un rischio particolarmente alto: porpora trombocitopenica immune ( 10.79 ), poliarterite nodosa ( 13.26 ), polimiosite o dermatomiosite ( 16.44 ) e lupus eritematoso sistemico ( 10.23 ).

Il rischio generale è diminuito nel tempo, da 1.53 a 1-5 anni, a 1.15 a 5-10 anni e a 1.04 a 10 e più anni.

Il rischio è risultato aumentato in entrambi i sessi e in tutti i gruppi di età.

In conclusione, le malattie autoimmuni sono risultate associate a un alto rischio di embolia polmonare nel primo anno dopo l’ammissione in ospedale.
Tali risultati suggeriscono che queste malattie in generale dovrebbero essere valutate come disturbi di ipercoagulabilità. ( Xagena2012 )

Zöller B et al, Lancet. 2012; 379: 244-249


Emo2012

Studio GRACE: l’effetto della Insulina glargine sullo spessore intima-media carotideo è modesto, mentre gli Acidi grassi Omega-3 non producono nessun effetto

 

http://www.cardiologia.net/21059-studio-grace-l-effetto-della-insulina-glargine-sullo-spessore-intima-media-carotideo-e-modesto-mentre-gli-acidi-grassi-omega-3-non-producono-nessun-effetto.html

I soggetti che presentano disglicemia sono ad aumentato rischio di arterosclerosi ed eventi cardiovascolari. Gli effetti della Insulina basale, titolata in modo da normalizzare la glicemia a digiuno, e dei supplementi di Acidi grassi Omega-3 sulla progressione dell’aterosclerosi in questa popolazione non sono noti.

Lo studio GRACE, un sottostudio dello studio ORIGIN ( Outcome Reduction with an Initial Glargine Intervention ) ha esaminato gli effetti dell'uso combinato di Insulina glargine ( Lantus ) e dei supplementi a base di Acidi grassi Omega-3 sullo spessore intima-media carotideo.

GRACE è uno studio randomizzato, multicentrico, con disegno fattoriale 2x2, che ha coinvolto 1.184 pazienti ( età media 63 anni ) con malattia cardiovascolare nota e/o fattori di rischio cardiovascolari associati con alterati valori glicemici a digiuno, intolleranza al glucosio o diabete mellito di tipo 2.

I pazienti arruolati hanno ricevuto, in aperto, Insulina glargine ( con target di glicemia a digiuno uguale o inferiore a 95 mg/dL [ 5.3 mmol per litro ] ) oltre a terapia standard o a terapia ipoglicemizzante standard, e trattamento, in doppio cieco, di 1 g di etilesteri degli Acidi grassi Omega-3 oppure placebo.

L'endpoint primario dello studio era il tasso annualizzato di variazione dello spessore intima-media carotideo massimo, misurato in 12 siti carotidei.
Endpoint secondari erano i tassi annualizzati di variazione dello spessore intima-media massimo per la carotide comune e per la carotide comune più i siti di biforcazione.

L’ultrasonografia è stata eseguita al basale e ogni anno; il follow-up medio è stato di 4.9 anni.

Rispetto alla cura standard, la Insulina glargine ha ridotto lo spessore intima-media carotideo dell’endpoint primario, ma la differenza non è risultata statisticamente significativa ( in media, differenza: 0.0030 mm/anno, p=0.145 ).
Lo spessore intima-media dell’endpoint secondario è stato, invece, ridotto in modo significativo ( in media, differenza: 0.0033 mm/anno; p=0.049; e 0.0045 mm/anno; p=0.032, rispettivamente ).

Non è stata riscontrata alcuna differenza sia nell'endpoint primario sia in quello secondario tra gruppo trattato con supplementi a base di Acidi grassi Omega-3 e gruppo placebo.

Dallo studio è emerso che nei pazienti con nota malattia cardiovascolare, fattori di rischio cardiovascolare e disglicemia, la Insulina glargine, impiegata per normalizzare i valori glicemici, ha ridotto in modo modesto la progressione dello spessore intima-media carotideo, mentre la supplementazione di 1 g/die di Acidi grassi Omega-3 non ha prodotto alcun effetto. ( Xagena2012 )

Fonte: European Society of Cardiology ( ESC ) Meeting, 2012


Cardio2012 Endo2012 Farma2012

Studio PARAMOUNT: LCZ696, il capostipite della classe ARNI, riduce NT-proBNP in misura maggiore rispetto a Valsartan nell’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata

 http://www.cardiologia.net/21058-studio-paramount-lcz696-il-capostipite-della-classe-arni-riduce-nt-probnp-in-misura-maggiore-rispetto-a-valsartan-nell-insufficienza-cardiaca-con-frazione-di-eiezione-preservata.html


PARAMOUNT ( Prospective comparison of ARNI with ARB on Management Of heart failUre with preserved ejectioN fraction ) è uno studio di fase II, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di LCZ696, un inibitore del recettore della angiotensina e della neprilisina ( ARNI ), nei pazienti con insufficienza cardiaca e frazione d’eiezione preservata.

I pazienti erano in classe NYHA II-III; la frazione di eiezione ventricolare sinistra era pari al 45% o superiore, e i valori di NT-proBNP ( frammento N-terminale del propeptide natriuretico di tipo B ) erano maggiori di 400 pg/mL.

I pazienti arruolati nello studio sono stati assegnati in modo casuale, in un rapporto 1:1, a LCZ696, titolato fino a 200 mg BID ( due volte al giorno ), oppure a Valsartan ( Tareg ), titolato fino a 160 mg BID, e trattati per 36 settimane.

L'endpoint primario era rappresentato dalla variazione dei livelli di NT-proBNP, un marcatore dello stress della parete ventricolare sinistra, dal basale alla 12.ma settimana.

Un totale di 149 pazienti sono stati assegnati a LCZ696 e 152 a Valsartan; 134 nel gruppo LCZ696 e 132 nel gruppo Valsartan sono stati inclusi nell'analisi dell'endpoint primario.

A 12 settimane, i livelli di NT-proBNP sono risultati significativamente ridotti nel gruppo LCZ696 rispetto al gruppo Valsartan ( LCZ696: basale, 783 pg/mL, 12 settimane, 605 pg/mL; Valsartan: basale, 862 pg/mL, 12 settimane, 835; rapporto LCZ696 / Valsartan, 0.77; p=0.005 ).

LCZ696 è stato ben tollerato con effetti indesiderati simili a quelli del gruppo Valsartan: 22 pazienti ( 15% ) nel gruppo LCZ696 e 30 ( 20% ) nel gruppo Valsartan sono andati incontro a uno o più gravi eventi avversi.

Dallo studio è emerso che, nei pazienti con insufficienza cardiaca e con frazione d'eiezione preservata, LCZ696 ha ridotto i livelli di NT-proBNP in misura maggiore rispetto a Valsartan a 12 settimane, ed è stato ben tollerato. ( Xagena2012 )

Fonte: European Society of Cardiology ( ESC ) Meeting, 2012


Cardio2012 Farma2012

Andamento della sclerosi multipla alla sospensione del fingolimod: evidenze da una casistica italiana - Ultime notizie - Sclerosi multipla - Fondazione Cesare Serono



INFO DI:
Andamento della sclerosi multipla alla sospensione del fingolimod: evidenze da una casistica italiana - Ultime notizie - Sclerosi multipla - Fondazione Cesare Serono


 

In un articolo pubblicato di recente sulla rivista Multiple Sclerosis (Sclerosi Multipla) dal gruppo della Professoressa Amato di Firenze si riportano le prime evidenza raccolte, alla sospensione del trattamento con fingolimod, in soggetti con sclerosi multipla.
Il fingolimod è il primo farmaco orale indicato nel trattamento della sclerosi multipla introdotto in clinica. Si tratta di un immunosoppressore, che sviluppa il suo effetto bloccando recettori denominati S1P1 della sfingosina, presenti sulla membrana dei linfociti. Il blocco di questi recettori inibisce l'uscita dei linfociti dai linfonodi e quindi il loro coinvolgimento nei meccanismi infiammatori tipici della sclerosi multipla.
Nell'articolo si riportano i risultati ottenuti valutando parametri radiologici (ottenuti mediante risonanza magnetica) e clinici in persone con sclerosi multipla che avevano assunto fingolimod. Entro tre mesi dalla sospensione della cura, cinque dei sei casi studiati ho mostrato un ritorno al quadro precedente al trattamento, in termini di attività della malattia. Il sesto caso ha evidenziato quello che gli autori definiscono un "rimbalzo" dell'attività clinica e radiologica. Per rimbalzo dell'attività di una malattia alla sospensione della terapia si intende il raggiungimento di livelli di danno o gravità di sintomi superiori daquelli riscontrati prima dell'inizio della cura.
Nelle conclusioni del lavoro si afferma che l'andamento della sclerosi multipla può variare sensibilmente da un soggetto all'altro alla sospensione del fingolimod e si raccomanda una raccolta sistematica di dati clinici e di evidenze radiologiche, in modo da identificare precocemente i casi a rischio di "rimbalzo" dell'attività della malattia e da mettere a punto strategie finalizzate ad evitarlo.
Tommaso Sacco
Fonte: Withdrawal of fingolimod treatment for relapsing-remitting multiple sclerosis: report of six cases; Multiple Sclerosis, 2012 Jul 24.



10/09/12

Insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI): è tempo di considerarla una nuova entità patologica?

28/8/2012

M. Cospite 
Le possibili correlazioni tra alterazioni morfologiche e funzionali del sistema venoso cerebro-efferente e manifestazioni cliniche della sclerosi multipla sono state  ampiamente dibattute dalla comunità medica internazionale negli ultimi tempi.  La questione ha assunto una dimensione ancora maggiore dopo le segnalazioni di studi osservazionali da singoli centri e multicentrici su  pazienti affetti da sclerosi multipla con quadri clinici  più o meno conclamati, sottoposti a trattamenti percutanei per insufficienza cerebrospinale venosa cronica [1]. Le procedure sono risultate nella maggior parte dei casi relativamente sicure e ben tollerate, con segnalazione di benefici a breve termine anche sostanziali ma altamente variabili  su    parametri fisici e mentali,  indicativi comunque di  miglioramento della qualità di vita di questi soggetti [2]. Il termine insufficienza venosa cerebrovascolare cronica (CCSVI) è stato riportato per la prima volta da Zamboni et al. [3] nel segnalare la presenza di ostruzioni al flusso lungo il sistema venoso extracranico, dovute ad anomalie della rete venosa di drenaggio cerebrale proprio  in pazienti affetti da sclerosi multipla.