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03/12/25

sclerosi multipla e ... Fenebrutinib





Fenebrutinib è un farmaco sperimentale orale inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) che agisce riducendo l'infiammazione e la progressione della sclerosi multipla (SM)

Fenebrutinib è un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK), un farmaco orale, sperimentale, che penetra all’interno del sistema nervoso centrale, reversibile e non-covalente. Inibisce l'attivazione delle cellule B del sistema immunitario periferico e della microglia, ossia delle cellule immunitarie residenti del sistema nervoso centrale.

 

Secondo quanto dichiarato dall’azienda farmaceutica che lo sta sperimentando, nello studio FENhance 2, il primo di due studi pivotali multicentrici, randomizzati, in doppio cieco, fenebrutinib sperimentale ha dimostrato di ridurre significativamente il tasso annualizzato di ricadute (ARR) rispetto al farmaco teriflunomide, su un periodo di almeno 96 settimane, in un totale di 1.497 pazienti adulti con sclerosi multipla recidivante.


La Professoressa 
Eleonora Cocco (Università di Cagliari, Responsabile Centro Regionale Sclerosi Multipla, Cagliari), ha partecipato alla sperimentazione del farmaco nello studio FENhance e spiega: «Lo studio è stato condotto con rigore, le persone sono state seguite attentamente e, nel nostro gruppo, non si sono evidenziati particolari problematiche relative alla sicurezza e all’aderenza dei partecipanti. Essendo lo studio in cieco, non sappiamo quali pazienti abbiano ricevuto il farmaco sperimentale o teriflunomide.

Dobbiamo
aspettare che vengano comunicati i risultati della sperimentazione per capire quale sia stata l’efficacia complessiva del trattamento».


In un altro studio pivotale, 
FENtrepid, condotto in 985 pazienti adulti con sclerosi multipla primariamente progressiva, secondo quanto dichiarato dall'azienda che ne sta curando la sperimentazione Fenebrutinib ha dimostrato la propria non inferiorità rispetto al farmaco Ocrelizumab nel ritardare l'insorgenza della progressione della disabilità in un periodo di trattamento di almeno 120 settimane.


Per misurare la progressione della disabilità è stato utilizzato un punteggio composito dato da tre “misure”:

la disabilità funzionale totale (EDSS),


la velocità di deambulazione (test dei 25 passi)


e


la funzione degli arti superiori (test dei 9 pioli), attraverso cui lo studio ha valutato il tempo all'insorgenza della progressione confermata della disabilità composita a 12 settimane (cCDP12).


In entrambi gli studi la sicurezza epatica è risultata in linea con i precedenti studi su fenebrutinib. Ulteriori dati di sicurezza sono in fase di valutazione.



Allo studio FENtrepid, come allo studio FENhance, ha partecipato anche la 
Professoressa Matilde Inglese (Università degli Studi di Genova, Responsabile Centro Sclerosi Multipla Ospedale San Martino, Genova), che spiega:

«lo studio, effettuato in doppio cieco come gli studi FENhance, ha coinvolto persone con sclerosi multipla primariamente progressiva che avevano dimostrato un certo grado di progressione clinica. Erano arruolabili sia persone con SM progressiva che avevano dimostrato attività di malattia alla risonanza sia pazienti che avevano una forma progressiva non attiva. Abbiamo monitorato l’andamento delle diverse misure cliniche di disabilità previste dallo studio e abbiamo effettuato regolarmente le risonanze magnetiche previste dal protocollo sperimentale. Dovremo aspettare i risultatati per avere l’esatta evidenza dell’effetto del farmaco sperimentale».


Al momento, come hanno sottolineato la Professoressa Cocco e la Professoressa Inglese, non sono stati resi noti i dati completi degli studi, che l’azienda presenterà in occasione dei prossimi congressi scientifici, una volta che saranno disponibili, prevedibilmente nella prima metà del 2026, anche i risultati del secondo studio sulla SMR (FENhance 1).


«Nella misura in cui i risultati confermeranno quanto anticipato – conclude la professoressa Cocco – potremo dire che per le persone si aggiungerà un’ottima prospettiva terapeutica, perché avranno un trattamento orale in grado di avere un effetto importante sull’infiammazione periferica che è all’origine delle ricadute e insieme di agire a livello del sistema nervoso centrale per rallentare la progressione della disabilità. Attendiamo dunque con interesse la pubblicazione dei risultati».


La Professoressa Inglese conferma:

«Siamo molto contenti che sia stato annunciato che entrambi i trial su Fenebrutinib abbiano raggiunto i propri obiettivi primari, perché si tratta di un farmaco con un meccanismo d'azione diverso rispetto a esistenti, che può agire sul sistema immunitario sia in periferia sia a livello del sistema nervoso centrale e quindi anche sulle cellule mieloidi o le cellule microgliali, che sono residenti nel sistema nervoso centrale e che sono più coinvolte nell’infiammazione cronica cosiddetta “smoldering”, localizzata nel sistema nervoso centrale, che agisce come brace sotto la cenere causando un danno neurodegenerativo progressivo e l’accumulo di disabilità anche in assenza di ricadute evidenti».








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