Buona parte della salute e del benessere associati a ogni declinazione di “alimentazione corretta”, poggia sulle fibre.
Le certezze in questi decenni si sono moltiplicate, ma molta ricerca è tuttora in corso, specie per quanto riguarda gli aspetti associati alla funzione prebiotica (sostegno alla proliferazione del microbiota intestinale) svolta da alcune fibre specifiche.
Che cosa sono le fibre e dove reperirle?
Nel maggio 2016, la FDA statunitense ha dichiarato che «la fibra è costituita da carboidrati non digeribili, in catene di 3 o più unità (presenti nei cibi, o isolati da essi), o da fibre sintetiche. Le fibre sono dotate di dimostrati benefici fisiologici».
Tutti i cereali, le verdure e la frutta forniscono fibre con caratteristiche differenti, ma le proporzioni relative variano da alimento ad alimento.
Le fibre non solubili prevalgono nei cereali integrali e nei prodotti derivati: principalmente la crusca di frumento, seguita dalle farine di segale e di frumento integrale, da farro, grano saraceno (che è uno pseudo-cereale); a seguire orzo perlato, farina di mais, farina di frumento tipo 0 e riso integrale.
Anche tutta la frutta secca, dalle mandorle (le più ricche) ai pinoli (che ne contengono un terzo a parità di peso) sono fonte di fibre non solubili; tra i semi, una buona fonte di fibre insolubili sono quelli di lino.
Infine, le fibre insolubili sono presenti anche nelle verdure a foglia verde. Le fibre solubili sono invece fornite soprattutto dai legumi (arachidi comprese), dall’avena (con la crusca), da tuberi e radici, cipolle e semi di psillio e da tutta la frutta fresca (per mele e pere nella buccia, da consumare ben lavata)
Quali caratteristiche per quali funzioni?
Per molto tempo la solubilità è stata considerata la caratteristica principale delle fibre, in grado di condizionarne l’effetto fisiologico.
Tale tipo di distinzione è stata superata dalla fine degli anni ’90, anche su indicazione della FAO.
Infatti, le fibre si possono classificare anche in base ad altri aspetti caratterizzanti, come la viscosità e la fermentabilità: le pectine, i betaglucani, alcune gomme (per esempio la gomma di guar) e le mucillagini sono in grado di formare già nello stomaco soluzioni molto viscose, o gel. Inoltre, alcune fibre vengono prontamente fermentate dal microbiota intestinale: pectine, beta-glucani, gomma di guar, inulina e oligofruttosio sono rapidamente fermentabili, mentre cellulosa e lignina sono resistenti alla fermentazione nel colon.
Come già accennato, le caratteristiche chimiche e fisiche contribuiscono a determinare gli effetti fisiologici ascrivibili a fibre differenti. In generale, le fibre insolubili assorbono liquidi nell’intestino, aumentando di volume, con il conseguente aumento della massa delle feci, che vengono espulse con più facilità.
Effetti finali: riduzione del tempo di contatto tra feci e pareti intestinali e regolarizzazione dell’alvo. D’altra parte le fibre che, già nello stomaco, formano gel viscosi, rallentano i tempi di svuotamento e promuovono il senso di sazietà.
Ancora, le fibre si combinano con i carboidrati contenuti nel pasto, rallentando la comparsa del picco glicemico successivo alla digestione: si riduce il carico glicemico complessivo e diminuisce la stimolazione insulinica, con ovvi vantaggi per il profilo metabolico, nel breve e soprattutto nel lungo periodo.
Le fibre solubili promuovono anche l’eliminazione con le feci degli acidi biliari prodotti dal fegato. Per questo, alcune fibre specifiche (per esempio i beta-glucani da orzo e avena), riducono il colesterolo in circolo: il fegato lo deve “sequestrare”, come base per la sintesi di nuovi acidi biliari.
Nell’intestino le fibre favoriscono, talvolta selettivamente, alcuni ceppi del microbiota (azione prebiotica), garantendo la proliferazione ottimale dei ceppi batterici favorevoli. Un microbiota in salute è, a sua volta, indispensabile per promuovere la fermentazione delle fibre, che produce metano, anidride carbonica e acidi grassi a catena corta (butirrico, acetico e propionico).
È così che il pH del lume intestinale si abbassa: l’ambiente più acido è indispensabile per contrastare la proliferazione di batteri patogeni e il rilascio di metaboliti tossici. Da ultimo, ma non per importanza, le fibre viscose sono utili in caso di diarrea perché, assorbendo acqua, aumentano la consistenza delle feci.
Fibre e prevenzione: i dati della ricerca
Le fibre non godono ancora di tutto il favore che dovrebbero avere tra i consumatori. I livelli di assunzione sono infatti, a tutte le età, inferiori alle raccomandazioni. Nemmeno i professionisti della salute conoscono e riconoscono alle fibre i loro reali benefici.
Eppure, come ribadisce una review del 2016, a cura della British Nutrition Foundation, le evidenze emerse dai molti studi prospettici di coorte (condotti seguendo cioè per molti anni abitudini e salute di un gruppo di individui) ne dimostrano i benefici preventivi.
Gli autori del rapporto britannico concludono che ogni aumento di 7 g dell’apporto di fibre si associa a una riduzione del rischio relativo di malattie cardiovascolari del 9%, di eventi coronarici del 9%, di ictus del 7%, di diabete di tipo 2 del 6% e di tumore del colon-retto dell’8%. La segnalazione più recente arriva però da una ricerca presentata durante il Congresso congiunto 2017 dell’American Heart Association/ American Stroke Association.
Confrontando nel tempo (4 anni) due gruppi di soggetti cardiologicamente sani, i primi con una dieta standard, i secondi con un’alimentazione prevalentemente (ma non esclusivamente) vegetale, è emersa una riduzione del rischio di insufficienza cardiaca del 42% nei secondi rispetto ai primi.
Lo studio non ha potuto stabilire un rapporto di causa-effetto tra livelli di consumo di fibre e protezione, ma l’osservazione merita approfondimenti. Se dimostrata, aggiungerebbe un tassello non indifferente ai già dimostrati vantaggi cardiovascolari dell’assunzione di fibre. È probabile, per esempio, che a ridurre il rischio di eventi cardio e cerebrovascolari concorra anche il controllo pressorio.
Nel settembre di quest’anno, infatti, una robusta metanalisi di 43 studi aveva dimostrato che il consumo quotidiano di fibre solubili ad alta viscosità (in particolare beta-glucani di orzo e avena e psillio), in dosi adeguate (la mediana era qui di 8,7 g/die, ma in alcuni studi il consumo quotidiano era pari a 30 g/die) è in grado di contribuire alla riduzione del rischio di ipertensione nei normotesi, ma anche al controllo dei valori pressori negli ipertesi.
L’intreccio dei fattori di rischio tra le aree cardiovascolare e metabolica è notoriamente stretto. Le fibre alimentari entrano in gioco, infatti, anche su sovrappeso/obesità e glicemia/insulinemia, denominatori comuni nelle cardiovasculopatie e nel diabete di tipo 2.
A questo proposito vale la pena di sottolineare la review pubblicata recentemente sull’American Journal of Clinical Nutrition, in cui si rileva la buona prova delle fibre in soggetti sovrappeso o obesi, ma altrimenti sani: in questi soggetti, in assenza di particolari restrizioni caloriche, l’aggiunta di una fibra solubile a bassa viscosità, ma molto fermentabile, come il glucomannano (3 g/die) ha promosso, nell’arco di 3 mesi, una perdita ponderale di 2,5 kg (media rispetto a placebo). È noto che ogni kg perso riduce il rischio di diabete di tipo 2; a fronte di una diminuzione ponderale del 2-5%, la glicemia a digiuno e i livelli di emoglobina glicata migliorano.
Il risultato citato è stato ottenuto con la sola aggiunta di fibre alimentari all’alimentazione: è un’opzione che non segue strettamente le linee guida, che caldeggiano invece il consumo della maggior varietà di alimenti vegetali, per assicurare tutto il panel di fibre disponibili; d’altro canto, l’obesità è associata a un aumento del rischio tale da guardare con favore anche a proposte di supplementazione con fibre, a basso costo e prive di controindicazioni.
Le fibre da cereali, frutta, verdura, legumi e semi sono risultate protettive anche nei confronti della sindrome metabolica. Una metanalisi di studi osservazionali condotti in tutto il mondo, pubblicata su Clinical Nutrition, ha concluso infatti che, al crescere dell’apporto di fibre con l’alimentazione, si riduce anche il rischio di sviluppare sindrome metabolica, in cui sono compresenti obesità viscerale, ipertensione, insulino-resistenza: si va da -15% per 10 g/die di fibre, a -24% per 20 g/die, fino a -27% per 30 g/die. Oltre i 30 g/die, però, l’efficacia non aumenta. Tali dati favorevoli emergono da studi condotti sugli adulti, ma hanno trovato
Le fibre in sintesi
In base alle evidenze attuali, si può affermare che:
- L’aumento dei livelli di assunzione di fibre alimentari totali, fornite soprattutto da cereali e da prodotti integrali, ma anche da frutta e verdura è associato con una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche e di tumore del colon retto.
- Le fibre alimentari totali, le fibre da cereali integrali e alcune fibre solubili influenzano la massa fecale e modulano il transito intestinale. Le fibre dei legumi, invece, sembrano influire sul peso delle feci.
- Claim specifici in relazione al benessere intestinale sono stati autorizzati per le fibre da cereali (orzo, avena, frumento, segale), da barbabietola da zucchero e per un particolare prodotto a base di insulina estratta da cicoria, con caratteristiche ben definite.
- I beta-glucani da orzo e avena svolgono un ruolo riconosciuto nel controllo dei livelli colesterolo totale e LDL e, in concentrazioni più elevate riducono la glicemia postprandiale.
- Altre fibre che contribuiscono al mantenimento della colesterolemia sono le pectine e la gomma di guar (a livelli di assunzione ben più elevati) e il glucomannano (che in un’alimentazione ipocalorica contribuisce alla perdita di peso).
- L’assunzione nell’ambito del pasto di pectine e arabinoxilano (prodotto dall’endosperma del frumento) si associa alla riduzione dell’aumento del glucosio ematico post-prandiale.
CONTINUA NEL LINK ORIGINALE:
https://www.pacinimedicina.it/che-cosa-sono-le-fibre-e-quali-sono-le-loro-caratteristiche/