Le prime descrizioni di casi di sclerosi multipla
(SM) risalgono al 1830 (Cruveilhier, Carswell), ma oltre 160 anni non
sono stati sufficienti per chiarire l'eziopatogenesi e quindi definire
un protocollo terapeutico decisamente efficace per modificare
l'andamento della malattia. Negli ultimi 10 anni si sono compiuti
notevoli progressi sulla conoscenza della SM, in base ai quali sono
stati approntati trials terapeutici sperimentali al fine di ridurre
l'evolutività della malattia.
Benché sia una malattia relativamente a bassa
incidenza, la SM è una delle maggiori, se non la principale causa di
disabilità neurologica giovanile e della media età e l'INPS è chiamato
in causa per il riconoscimento delle prestazioni previdenziali, che
hanno una parte considerevole del costo sociale complessivo della
malattia stessa.
EPIDEMIOLOGIA
L'epidemiologia osservazionale valuta il "peso" della
malattia nella popolazione, la sua distribuzione per età, sesso,
località, i fattori di rischio e prognostici.
L'entità di una malattia viene identificata mediante i
tassi di mortalità, incidenza e prevalenza per 100.000 abitanti. Così, i
tassi di mortalità per SM variano da 0,1 per 100.000/anno in Asia ed
Africa, fino a 3 nella Scozia e nell'Irlanda del Nord; l'incidenza da
0,4 per 100.000 nuovi casi/anno nei nativi in Sudafrica, fino a 9,3
nelle isole Orkney della Scozia; la prevalenza infine va dai 4 casi per
100.000 dell'isola di Malta fino ai 309 casi delle isole Orkney (1).
In Italia è stata riscontrata una prevalenza
variabile tra 7 e 27 per 100.000 abitanti in larghe popolazioni e tra 30
e 44 in piccole popolazioni. Nella provincia di Trento nel 1978 fu
riscontrata una prevalenza di 27 per l'intera popolazione e di 45
nell'U.S.L. Bassa Valsugana (2, 3). A 9 anni di distanza, nel 1987 la
prevalenza nell'U.S.L. Vallagarina è risultata di 57 (4), ma non è
chiaro se l'aumentata prevalenza sia stata determinata da un aumento del
rischio e quindi dell'incidenza, da un affinamento diagnostico, da una
più accurata raccolta dei dati o da un prolungamento della vita media
degli ammalati.
Già nel 1950, nelle conclusioni di uno studio
epidemiologico negli U.S.A., fu avanzata l'ipotesi di un aumento della
frequenza con la distanza dall'equatore (5).
Tale ipotesi è stata successivamente confermata anche
da una metanalisi di numerosi studi in letteratura (6, 7) che ha
indicato un effettivo aumento della prevalenza in base all'aumento della
latitudine. Sono state individuate delle fasce geografiche ad alto
rischio di malattia (più di 30 casi per 100.000 ab.), come Europa
Occidentale sopra il 43° parallelo, Canada, Nord degli U.S.A., Australia
del Sud; a medio rischio di malattia (5-25 casi): Europa Orientale,
U.S.A. Centrale, Australia Centrale e Settentrionale; a basso rischio di
malattia (meno di 5 casi): Asia ed Africa.
Tale mappatura va ad identificare regioni
prevalentemente abitate da caucasici e suggerisce l'esistenza di una
predisposizione genetica alla SM. Tuttavia, se nordeuropei migrati in
Sudafrica e nordamericani migrati alle Haway hanno mantenuto il rischio
del Paese originario, i soggetti emigrati prima del quindicesimo anno
d'età tendono invece ad assumere il rischio del Paese ospite (1). La
malattia quindi sembra in parte condizionata da un fattore esogeno che
comincia ad agire prima dei 15 anni, per dare la forma manifesta dopo
una latenza di oltre un ventennio.
PREVALENZA |
1960
|
1970
|
1980
|
Scozia |
-
|
106
|
145
|
Turku (Finlandia) |
30
|
-
|
93
|
Hordaland (Norvegia) |
20
|
-
|
60
|
Ferrara |
10
|
27
|
46
|
Tabella 1. Andamento temporale della prevalenza della sclerosi multipla in varie località europee.
|
Negli anni, la prevalenza e l'incidenza della
malattia (Tabelle 1 e 2) possono essere stabili, come a Rochester
(Minnesota) ed a Ferrara (Italia), diminuire come a Rostock (Germania) e
nelle isole Orkney (Scozia), aumentare sensibilmente come nella
provincia canadese di Newfoundland e Labrador, nella contea norvegese di
Hordaland nella regione tedesca della Bassa Sassonia ed in alcune
località della Sardegna (1).
INCIDENZA |
1950
|
1960
|
1970
|
1980
|
Isole Orkney (Scozia) |
10,3
|
10,1
|
7
|
2,2
|
Bassa Sassonia |
2,6
|
4,6
|
||
Sassari |
2
|
2,6
|
5
|
|
Ferrara |
2,1
|
2,1
|
2,4
|
|
Rostock (Germania) |
4,5
|
1,8
|
3,7
|
1,8
|
Tabella 2. Andamento temporale della incidenza della sclerosi multipla in varie località europee.
|
Le caratteristiche climatiche connesse alla latitudine ed all'altitudine, come la temperatura media annuale, le ore di sole giornaliere, le radiazioni cosmiche e le precipitazioni sembrano non influire sull'andamento della SM (8), così come i traumatismi (9) ed il tipo di allattamento (10).
E' stata ipotizzata una relazione fra SM e frequenti
viaggi (11), come meccanismo di aumentata esposizione a fattori causali;
Amaducci (12) ha segnalato un'associazione fra SM ed esposizione a
solventi organici, che altererebbero la barriera ematoencefalica con
attivazione del sistema immunitario in soggetti geneticamente
predisposti.
IPOTESI EZIOPATOGENETICHE
Le ricerche si sono sviluppate in tre direzioni
principali: studi genetici, studi virologici e studi immunologici.
Nessuna di esse ha dato dei risultati tali da consentire la definizione
di veri fattori eziologici.
Ipotesi genetica
Si è visto come la SM presenti una particolare
distribuzione geografica, legata a fattori ambientali condizionati dalla
latitudine. A volte però, a parità di latitudine, l'incidenza varia;
così è maggiore in Sicilia rispetto a Malta e nei bianchi americani
rispetto ai negri. Studi sugli immigrati hanno però rivalutato
l'importanza della distribuzione razziale, e quindi dell'influenza in
questa malattia di un fattore genetico (1).
E' stato ipotizzato che i geni della suscettibilità
alla SM abbiano avuto origine fra i popoli della Scandinavia e della
Germania, si siano distribuiti in Europa con le invasioni dei Vichinghi,
dei Goti e dei Vandali, e nel Mondo con la colonizzazione da parte
degli europei (13, 14); si sarebbero così isolati dei "cluster spaziali"
ad altissima incidenza, come nelle isole Orkney del Nord della Scozia.
Molto suggestiva è la distribuzione della malattia
fra i vari ceppi razziali del Sudafrica, che, confermata recentemente
(15), vede una prevalenza di 57.5 per gli immigrati inglesi, 14.1 per
gli inglesi nati in Sudafrica, 10.9 per gli afrikaaners e 3 per la
popolazione di colore.
Gli studi sui familiari dei pazienti hanno
evidenziato un rischio di oltre 20 volte, rispetto a quello della
popolazione generale, per i fratelli; tale rischio cala poi
massicciamente fra genitore e figlio e fra cugini (16).
I principali studi sui gemelli finora pubblicati
hanno rilevato che risulta concordante il 20-25% delle coppie di gemelli
monozigoti ed il 5-9% di quelle dizigoti, indicando chiaramente un
ruolo di fattori genetici (1).
In molti gruppi etnici la SM è significativamente
associata ad antigeni della regione HLA del cromosoma C6: l'associazione
più forte è risultata quella con gli antigeni DR2 e DQw1 delle
popolazioni caucasiche (17), ma significativa è anche l'associazione con
gli antigeni A3 e B7 nelle popolazioni dell'Europa Occidentale,
Centro-Settentrionale e del Canada (18). Dall'altra parte popolazioni
con elevata presenza di HLA DR2 possono avere bassa prevalenza di SM, o,
viceversa, può essere più stretta l'associazione con il DR4, come per
esempio in Sardegna. Ancora, negli studi condotti su casi familiari di
SM, non è stata riscontrata una concordanza per il sistema HLA tra i
parenti affetti dalla malattia. Tutto questo rende improbabile un
coinvolgimento diretto del sistema HLA. E' forse più plausibile un
linkage disequilibrium con degli ipotetici geni di suscettibilità, quali
quelli del C4 del complemento (19), del Tumor Necrosis Factor o dei
geni che codificano per proteine coinvolte nella processazione
dell'antigene oppure per il recettore per l'antigene dei linfociti T (T
cell receptor: TCR) (20, 21), tutti geni del braccio corto del cromosoma
6.
In alternativa, è anche possibile che geni correlati
con il sistema HLA e preposti al controllo della risposta immunitaria,
conferiscano alle membrane di particolari popolazioni cellulari una
configurazione strutturale tale da agire come entità recettoriale per
alcuni virus.
Anche il rapporto 3:2 o 2:1 fra femmine e maschi
nella frequenza della malattia (22, 23) è in contrasto con l'ipotesi
genetica e propone verosimilmente una interazione fra fattori endocrini e
sistema immunitario, in analogia a quanto ipotizzato per altre
patologie autoimmuni.
Rimane comunque ancora da definire numero e locazione
dei geni che condizionano la suscettibilità segnalata, e ciò sarà
possibile, forse, partendo dalla sequenza aminoacidica delle proteine
che costituiscono la membrana mielinica.
Ipotesi virale
E' stata formulata già nel 1884 da Pierre Marie;
l' isolamento di frammenti virali da tessuti ed il riscontro di
anticorpi antivirali nel liquor di pazienti affetti da SM, anche se mai
verificato in modo costante, hanno contribuito ad alimentare tale
ipotesi.
I pazienti con SM sembrano presentare anticorpi
antimorbillo a livelli più elevati rispetto ai controlli (24) ed il
morbillo è in grado di causare anche un'encefalite acuta e la
panencefalite sclerosante subacuta, che si sviluppa a distanza di
diversi anni dall'episodio esantematico. Tuttavia l'aumento di anticorpi
antimorbillo si riscontra anche in altre malattie come il LES e
l'epatite cronica, per cui risulta un fenomeno aspecifico; inoltre non
vi è correlazione fra aumento di anticorpi e bande oligoclonali del
liquor ed, infine, la vaccinazione antimorbillosa non sembra abbia
influenzato l'andamento della malattia (15).
Alcuni autori hanno poi segnalato una correlazione
fra SM ed epidemie di cimurro, che, come è noto, è causato da un
paramixovirus come il morbillo. Altri hanno chiamato in causa gli Herpes
virus, in particolare quello di Epstein-Barr, anche se la prevalenza di
sieropositivi per tali infezioni è talmente elevata nella popolazione
generale da rendere difficile una interpretazione del dato come elemento
eziopatogenetico (1).
In uno studio, successivamente non suffragato da
altre segnalazioni, erano stati riscontrati anticorpi anti virus della
scimmia di tipo 5 addirittura nel 56% dei pazienti con SM (25). In
passato aveva suscitato particolare interesse anche la segnalazione che 4
dei 7 componenti di un'equipes di ricerca sullo "swayback", una
malattia demielinizzante degli agnelli, avevano successivamente
sviluppato una SM (26).
Un notevole fermento si è recentemente acceso intorno
allo studio dei retrovirus: l'HIV determina nei soggetti con AIDS
un'encefalopatia subacuta ed una mielopatia vacuolare, quest'ultima con
aspetti simili alla SM (27); l'HTLV-I ha un sicuro neurotropismo e
provoca la paraparesi spastica tropicale che si manifesta a distanza di
molti anni dall'infezione, ma soltanto in 1 caso su 300 (28), forse per
una variabilità della risposta immunologica legata ad una interazione
fra virus ed ospite (29).
Vi sono segnalazioni sia pro che contro il riscontro
di anticorpi specifici o particelle virali nel siero e nel liquor (15); è
recente la segnalazione dell'isolamento di un retrovirus dai leucociti
di sangue periferico di pazienti con SM (30).
L'insieme dei dati attualmente disponibili fa
propendere per l'ipotesi che non sia implicato un singolo virus nella
genesi della malattia, ma che più virus interagiscano dando come
risultato ultimo la SM. Potrebbero effettivamente essere in causa gli
stessi virus delle comuni malattie infettive, soprattutto se contratte
dopo l'adolescenza, virus che dimostrano uno spiccato neurotropismo e
sono forse alla base della diversa incidenza della malattia a seconda
dell'età di emigrazione da un Paese ad alta ad uno a bassa prevalenza.
La patogenesi virale potrebbe realizzarsi o con la
persistenza cronica del virus, consentita da una particolare interazione
immunologica con l'ospite, o per l'immunità crociata fra antigeni
virali e costituenti della mielina, con l'eventuale comparsa di fenomeni
di sensibilizzazione, favoriti questi ultimi da variazioni della
barriera emato-encefalica (BEE) post-traumatiche o tossiche.
Recentemente (31) è stata proposta anche l'ipotesi
che la SM sia in realtà una malattia tossi-infettiva da difetto di
barriera muco-ciliare. Sarebbero implicate le tossine delle Bordetelle
(tossine-BB) che costituiscono il più potente attivatore policlonale
aspecifico timo-indipendente, di tutte le cellule immunocompetenti, con
autotossicità dei linfociti T e dei macrofagi. Le tossine-BB, a causa di
un difetto individuale della barriera muco-ciliare (per esempio da
deficit congenito di IgA-secretorie o da infiammazioni croniche delle
vie respiratorie), passerebbero in modo abnorme nel sangue e
determinerebbero le lesioni tipiche della SM con lo stesso meccanismo
con cui determinano l'encefalopatia pertussica nel neonato,
fisiologicamente privo di IgA-secretorie. Se tale ipotesi fosse
verificata, le ripercussioni terapeutiche sarebbero eccezionali, potendo
la patologia essere adeguatamente trattata con farmaci di uso comune
(antibioticoterapia associata a somministrazione a lungo termine di
antistaminici).
Ipotesi immunologica
La sregolazione del sistema immunitario gioca
senz'altro un ruolo fondamentale nella eziopatogenesi della SM, benché
non si sappia contro quale antigene sia diretta la risposta immunitaria,
nè che cosa, eventualmente, abbia portato a tale sregolazione (15).
Nel sangue si riscontra una riduzione dei CD8+
(soppressori) e dei 2H4+, una sottopopolazione dei CD4 che stimola i
CD8; sono spesso aumentati i linfociti circolanti e quelli che esprimono
markers di attivazione, come il recettore per l'interleuchina-2.
Nel liquor si riscontra una modesta pleiocitosi (5-50
cell./mm3), i linfociti T ed i CD4+ sono aumentati, così come la
sintesi intratecale di IgG con 4-5 bande oligoclonali all'elettroforesi.
Una piccolissima frazione di questi anticorpi sono diretti contro la
proteina basica della mielina (PBM), che però si trova nel liquor anche
in altre malattie.
Le esacerbazioni e le fasi di progressione si
accompagnano ad un aumento degli anticorpi e della PBM sia in forma
libera (soprattutto nelle fasi acute), che in forma legata (soprattutto
nelle fasi croniche) (32-34).
Nella genesi della SM potrebbe inserirsi, in soggetti
geneticamente predisposti, una anomala attivazione di cellule T e
macrofagi (35), normalmente addetti alla sorveglianza del sistema
nervoso. Tale anomala attivazione si verificherebbe in risposta ad un
fattore esogeno, forse virale, acquisito tra l'infanzia e l'adolescenza
(1). La conseguente liberazione di linfochine ed enzimi lisosomiali
altererebbe la permeabilità della BEE e la conduzione nervosa, mentre
gli anticorpi ed il complemento sarebbero responsabili del danno alle
membrane cellulari e alla mielina in particolare (36).
MANIFESTAZIONI CLINICHE
SINTOMI D'ESORDIO | SM STABILIZZATA |
Piramidali | Piramidali |
Tronco-encefalici | Cerebellari |
Sensitivi | Tronco-encefalici |
Visivi | Sensitivi |
Cerebellari | Psico-intellettivi |
Urinari | Facile affaticabilità |
Tabella 3. Sintomi più frequenti nella sclerosi multipla.
|
Come risulta dalla tabella 3, la SM può simulare praticamente tutte le sindromi neurologiche (37).
a) Disturbi motori: nel 32-41% dei casi
l'interessamento piramidale rappresenta l'esordio della malattia ed è
presente nel 62% dei pazienti con SM cronico-progressiva. Gli arti
inferiori sono coinvolti più frequentemente di quelli superiori,
soprattutto all'esordio; la compromissione va da una semplice asimmetria
dei riflessi osteotendinei a gravi quadri di paraparesi spastica, è
causata soprattutto da demielinizzazione della sostanza bianca del
midollo spinale, associata frequentemente a coinvolgimento delle
piramidi bulbari, del ponte, dei peduncoli cerebrali e della sostanza
bianca dei centri semiovali.
b) Disturbi sensitivi: rappresentano l'esordio della
malattia nel 21-55% dei casi e sono presenti nel 52-70% dei pazienti
durante l'intero decorso.
All'esordio possono manifestarsi esclusivamente
sintomi iperestesici (parestesie, disestesie, dolore), a distribuzione
irregolare, successivamente compaiono quadri ipoestesici.
Un tipico sintomo è il segno di Lhermitte: con la
flessione del capo si scatena una sensazione di scossa elettrica lungo
il dorso e gli arti.
Tali sintomi dipendono più da un coinvolgimento delle
fibre mieliniche dei cordoni posteriori del midollo che da
interessamento delle vie spino-talamiche.
c) Sintomi tronco-encefalici: il nistagmo,
generalmente orizzontale, è presente nel 40-70% dei casi, può essere
asintomatico o manifestarsi con episodi di offuscamento della visione o
diplopia. L'oftalmoplegia internucleare mono e bilaterale per
interessamento del fascicolo longitudinale mediale è estremamente
frequente e sintomo quasi patognomonico nei pazienti più giovani. Altre
anomalie della motilità oculare estrinseca sono la paralisi dello
sguardo orizzontale e verticale da deficit di singoli nervi oculomotori
che determinano diplopia.
La disartria sia di tipo pseudobulbare che
cerebellare è estremamente frequente soprattutto nei pazienti più
disabili e con malattia di più lunga durata.
Disturbi vertiginosi si manifestano soprattutto
durante le riacutizzazioni. Rare sono le paralisi complete del VII, VIII
e IX nervo cranico.
d) Sintomi visivi: la neurite ottica (NO) è un
sintomo d'esordio nel 14-23% dei casi. Si manifesta con un calo del
visus, fotofobia e dolore a carico di un occhio; solo nelle fasi più
avanzate l'interessamento è bilaterale, ma la cecità è rara e talvolta
il rilievo è solo strumentale, senza sintomi visivi.
Obiettivamente si può evidenziare un calo del visus
con eventuali scotomi; il FOO può risultare nella norma (NO
retrobulbare) o evidenziare edema della papilla con emorragie ed
essudati che possono evolvere fino all'atrofia ottica.
e) Sintomi cerebellari: l'atassia dinamica
rappresenta l'esordio della SM nel 13% dei casi, colpisce il 50% dei
pazienti in fase cronica e può essere il principale fattore di
disabilità.
f) Disturbi psico-intellettivi: interessano il 54-65%
dei pazienti e sono inquadrabili come disfunzioni cognitive di tipo
sottocorticale con alterazioni delle capacità mnesiche e del
ragionamento concettuale ed astratto; sono correlati con l'entità delle
anomalie encefaliche evidenziate alla risonanza magnetica, nelle forme
di più lunga durata e di maggiore disabilità.
Dal punto di vista psichiatrico, turbe debressivo-euforiche sono riscontrabili nel 75% dei casi.
g) Affaticabilità: è uno dei sintomi maggiormente invalidanti, presente nel 78% dei casi.
h) Sintomi genito-urinari e sfinterici: sono
riscontrabili nel 78% dei pazienti, rappresentati da pollachiuria,
minzione imperiosa ed incontinenza, stipsi, talvolta urgenza a defecare o
vera incontinenza fecale. Possibile è la dissinergia vescico-uretrale
che determina ristagno vescicale, reflusso vescico-ureterale ed
infezioni ricorrenti delle vie urinarie superiori.
Associata ai disturbi della minzione è relativamente frequente l'impotenza sessuale nel maschio.
i) Sintomi parossistici: il più frequente è la
nevralgia del trigemino, spesso bilaterale; seguono la disartria
parossistica e le crisi epilettiche generalmente parziali (tipicamente a
carico dell'arto superiore).
DECORSO
All'inizio (figura 1) la SM è caratterizzata da un
andamento a ricadute e remissioni più o meno complete. Il primo attacco
solitamente si risolve completamente o quasi, mentre le ricadute durano
alcune ore o alcuni giorni ed il recupero richiede settimane o mesi; il
tasso di ricadute è stato valutato tra 0.1 e 0.85 attacchi/anno.
Figura 1. Schematizzazione del decorso della SM. |
La fase cronico-progressiva caratterizza l'esordio della malattia nel 9-37% dei casi, oppure rappresenta l'evoluzione della forma remittente. Consiste in un lento e progressivo aggravamento della condizione clinica con riacutizzazioni (forma mista) o senza; comporta un accumulo di disabilità da 0,3 a 1,5 punti alla scala di Kurtzke in 5 anni, a seconda della disabilità iniziale (vedi allegato 1).
L'andamento benigno è caratterizzato da 1 o 2 episodi
acuti, seguiti da una remissione praticamente completa che dura
indefinitivamente; nella forma maligna, viceversa, già il primo episodio
determina dei danni neurologici gravissimi e praticamente
irreversibili.
Complessivamente l'11-34% dei pazienti non è più in
grado di lavorare dopo 15 anni dall'esordio (38, 39), il tasso di
sopravvivenza a 25 anni è pari al 75%, rispetto ad un tasso atteso pari
all'86%.
Sembra che l'andamento nei primi 5 anni sia
indicativo anche dell'andamento successivo (40). La prognosi è migliore
nel sesso femminile, ad insorgenza in età giovanile, con inizio acuto
seguito da remissione e con sintomi iniziali di tipo sensitivo; è
peggiore nel sesso maschile, ad insorgenza dopo i 35-40 anni, a decorso
cronico-progressivo, con sintomi iniziali piramidali o cerebellari.
E' un fattore di aggravamento l'innalzamento della
temperatura corporea da stati febbrili, esercizio fisico, bagni caldi,
esposizione solare: è tipico il "fenomeno di Uhthoff", cioè
l'annebbiamento visivo da blocco di conduzione in assoni parzialmente
demielinizzati. La gravidanza sembra avere un ruolo protettivo, ma il
successivo puerperio è un sicuro fattore di aggravamento. Le infezioni
virali facilitano la comparsa di ricadute, mentre ciò non è dimostrato
per i traumi, gli stresses psico-fisici, gli interventi chirurgici e
l'anestesia.
DIAGNOSI
Dopo lo schema proposto da Charcot nella prima
descrizione della malattia (41), la classificazione diagnostica più
utilizzata a livello internazionale è stata quella proposta da Shumacher
e al. (42) che considerando i dati anamnestici e l'obiettività
neurologica, classificava la SM come definita, probabile e possibile a
seconda di quanti dei seguenti criteri venivano soddisfatti:
1. età di esordio tra i 10 ed i 50 anni;
2. presenza di segni neurologici obiettivabili;
3. sintomi e segni neurologici compatibili con sofferenza della sostanza bianca del S.N.C.;
4. disseminazione temporale:
a) due o più attacchi della malattia (> 24 ore) separati da un intervallo di almeno un mese;
b) progressione di sintomi e segni per almeno 6 mesi;
5. disseminazione spaziale: coinvolgimento di due o più aree contigue;
6. nessuna spiegazione alternativa.
Su analoghi elementi è basata la classificazione di
McDonald e Halliday del 1977 (43) che suddivide la SM in tre livelli di
certezza diagnostica: definita, probabile e sospetta.
La diagnosi differenziale va posta con le malattie
che provocano lesioni multiple del S.N.C., quali LES, m. di Sjöegren, m.
di Lyme, eredoatassia, leucodistrofia, tumori (gliomi) del tronco
encefalico, linfomi primitivi del S.N.C., malformazioni artero-venose,
cisti aracnoidee.
Dal punto di vista diagnostico, il primo salto di
qualità è stato fornito dall'introduzione in campo diagnostico della
tomografia assiale computerizzata (TAC), in grado di evidenziare aree di
ipodensità soprattutto nelle regioni periventricolari, corrispondenti
istologicamente a placche di demielinizzazione, oppure un franco quadro
di atrofia cerebrale nelle forme di più lunga durata.
La TAC con mezzo di contrasto ha permesso poi di
dimostrare aree di accumulo, espressione di danno della BEE, presenti
soprattutto durante le fasi di attività della malattia e che tendono a
scomparire dopo trattamento steroideo.
L'introduzione della tecnica dei potenziali evocati
prima e della risonanza magnetica nucleare poi, ha ulteriormente
affinato la capacità diagnostica strumentale.
Risonanza magnetica nucleare (RMN).
Introdotto nel 1973, si è dimostrato l'esame
strumentale più utile per la diagnosi di SM, sostituendo completamente
la TAC (44). Le alterazioni rilevabili alla RMN sono espressione di un
modificato contenuto idrico, quindi aspecifiche, ma rilevabili nel
95-98% delle forme clinicamente definite di SM, con minor frequenza
nelle forme probabili e sospette della malattia (80% e 50%
rispettivamente); corrispondono alle placche di demielinizzazione,
tipiche della malattia.
Le aree di alterato segnale sono preferenzialmente
distribuite intorno ai ventricoli, nel corpo calloso e nel ponte, sono
prevalentemente multiple, talvolta confluenti.
La RMN consente di dimostrare una disseminazione
spaziale delle lesioni, anche nei casi non sospettabili clinicamente
(45), oppure nelle forme sospette per SM, come la NO isolata (46) o la
mielopatia ad eziologia ignota (47). La diagnosi di SM definita va posta
comunque solo dopo uno studio clinico/strumentale longitudinale che
dimostri anche la disseminazione nel tempo delle lesioni (46,48).
Nella maggior parte dei pazienti, spesso in fase
clinica silente, compaiono delle nuove aree di lesione, mentre altre
rimangono invariate, si ampliano, si riducono o addirittura scompaiono,
sia nella forma remittente, che in quella cronica progressiva.
La comparsa di nuove lesioni è dieci volte più frequente delle ricadute cliniche.
Le nuove lesioni aumentano di volume in 2-4 settimane
e si riducono per 3-6 settimane. Non è raro osservare comportamenti
opposti contemporanei nello stesso paziente, a suggerire che le
riacutizzazioni non sono necessariamente scatenate da cause esterne o
interne, ma che anche fattori locali influenzano l'evoluzione delle
lesioni (37).
La RMN dopo somministrazione endovena di un mezzo di
contrasto paramagnetico, l'Acido gadolinio-dietilentriamino pentacetico
(Gd-DTPA), permette di evidenziare lesioni indicative di una alterazione
locale della BEE, che possono precedere di 1-2 settimane la comparsa di
aree di alterato segnale alla RMN convenzionale ed i segni clinici di
riacutizzazione (49-51).
La captazione di Gd-DTPA si verifica sia in nuove che
in vecchie lesioni in fase di riaccensione, dura solo 3-8 settimane, e
rappresenta un indubbio segno di attività di malattia.
L'uso del Gd-DTPA non migliora la scarsa sensibilità
della RMN per lesioni del midollo spinale (52), ma permette di
evidenziare lesioni a livello del nervo ottico; con questa tecnica è
stato possibile dimostrare che le aree di accumulo sono notevolmente
inferiori di frequenza nelle SM cronico-progressive primarie, rispetto a
quelle secondarie ad una prima fase remittente, quasi che le due forme
avessero elementi patogenetici differenti (53,54).
Periodi di follow-up con valutazioni mensili o
bimensili delle placche con RMN e Gd-DTPA danno risultati estremamente
più attendibili sull'efficacia della terapia steroidea o
immunosoppressiva, rispetto ai trials clinici che si pongono come
end-point la frequenza delle poussées cliniche (37).
Potenziali evocati (PE)
La base fisiopatologica delle alterazioni
riscontrate con i PE nella SM è la demielinizzazione, che determina un
rallentamento della conduzione degli impulsi lungo le vie sensoriali
testate, comporta un aumento di latenza delle risposte evocate o, nei
casi più gravi, una disgregazione morfologica o addirittura l'assenza
del potenziale stesso.
Introdotta nei laboratori di neurofisiologia verso la
fine degli anni '60, questa metodica rimane ancora uno strumento
insostituibile per la valutazione dei pazienti con la SM in quanto:
1) fornisce informazioni sulla funzionalità di
specifiche vie nervose non ottenibili con altri mezzi (la RMN
tradizionale non è in grado di differenziare l'edema dalla
demielinizzazione e dalla gliosi, che hanno effetti diversi sulla
conduzione nervosa);
2) studiano anche aree del S.N.C. ancora mal visualizzabili con la RMN, quali il nervo ottico ed il midollo spinale;
3) talvolta risultano alterati anche in pazienti con RMN negativa o con lesioni singole.
Nelle forme di SM definita, l'uso combinato di tutti i
PE (visivi-PEV, somatosensoriali-PESS, acustici del tronco
encefalico-PEA), permette di rilevare alterazioni con frequenze di poco
inferiori alla RMN; nel 30-50% dei pazienti sono presenti anche in fase
subclinica (55).
La recente introduzione delle metodiche di stimolazione corticale permette di indagare neurofisiologicamente anche le vie motorie
centrali. In uno studio (56) i PE motori (PEM) sono risultati alterati
nel 94% delle forme di SM definita e nel 44% delle sospette. I PEV,
tuttavia, appaiono più sensibili dei PEM nel riconoscere alterazioni
subcliniche delle vie di conduzione.
I PE sono risultati utili per aumentare il livello di
certezza diagnostica delle forme sospette o iniziali o per predire il
successivo decorso clinico (alto rischio di aggravamento con PE
alterati), anche se con risultati inferiori rispetto alla RMN (37).
Una volta alterati i PE tendono a rimanere tali; la
mancata comparsa di modificazioni a distanza di tempo viene in genere
ascritta all'efficacia della terapia, per cui sono stati utilizzati nel
follow-up di trattamenti con azatioprina, globulina antilinfocitaria e
steroidi con risultati positivi. Il loro utilizzo nel monitoraggio della
terapia steroidea ad alte dosi nelle fasi di acuzie ha invece
conseguito solo risultati negativi.
Liquido cefalorachidiano (LCR)
La dimostrazione di particolari alterazioni del LCR
consente di porre diagnosi di SM definita "laboratory supported" (56),
analoga, dal punto di vista diagnostico, alla SM clinicamente definita.
Le incostanti alterazioni delle cellule liquorali
sono risultate di scarsa utilità clinica; viceversa particolarmente
utili si sono rivelate le cosiddette bande oligoclonali, l'IgG index e
la proteina basica della mielina (PBM).
- Bande oligoclonali: l'incremento assoluto e/o
relativo (rispetto all'albumina) delle IgG liquorali, si associa a
modificazioni qualitative che danno luogo alla separazione
elettroforetica in bande oligoclonali; sembra derivino dall'attivazione
anomala di determinati cloni linfocitari, probabilmente implicati
nell'autoaggressione della mielina, anche se al momento attuale non è
stato possibile evidenziare una loro specifica attività anticorpale.
- IgG index: è determinato dal confronto fra il
rapporto IgG / albumuna nel LCR e nel siero; se risulta superiore a 0,7 è
espressione di un'aumentata sintesi liquorale di IgG.
Tali reperti non hanno un chiaro significato
prognostico nelle forme definite di malattia, ma aumentano la certezza
diagnostica delle forme sospette e costituiscono un indice di rischio di
sviluppare ulteriori episodi neurologici. Analogo significato riveste
il riscontro di BO costituite da IgM (57), mentre l'aumentata sintesi
intratecale di IgD sembra correlarsi all'attività di malattia nella SM a
episodi remittenti (58).
Altre alterazioni qualitative sono ancora in fase di
studio come l'incremento del rapporto delle catene leggere kappa/lambda e
la dimostrazione di catene leggere kappa libere.
- PBM: viene rilasciata nel LCR a seguito di
demielinizzazione acuta, costituisce un marker di attività di malattia e
sembra correlarsi con il successivo decorso della SM e con gli effetti
terapeutici da trattamento steroideo od immunosoppressivo.
Eziopatogenesi delle lesioni
Qualunque sia la causa scatenante, l'alterazione
più precoce è rappresentata da un aumento della permeabilità della BEE,
che può precedere l'insorgenza dei sintomi, ma non l'alterazione dei PE
probabilmente legata alla demielinizzazione. Segue l'edema, quindi il
ripristino in circa un mese della normale permeabilità della BEE e la
risoluzione dell'edema che lascia una piccola cicatrice residua. Il
processo può ripetersi ai margini delle lesioni più grandi che si
espandono in modo centrifugo (59).
I sintomi ed i segni della fase acuta si verificano
durante la fase dell'infiammazione, che pare dunque svolgere un ruolo
importante nella fisiopatologia della malattia attraverso la mediazione
delle citochine, che hanno un notevole effetto sull'eccitabilità di
membrana. La riduzione delle citochine al termine della fase
infiammatoria permetterebbe il ripristino della conduzione pur
permanendo la demielinizzazione, a meno che un'importante reazione
gliale o la perdita assonale non abbiano condotto a deficit neurologici
TERAPIA
L'ipotesi eziopatogenetica che considera la SM
scatenata da un processo infettivo contratto in giovane età ed in
soggetti geneticamente predisposti, su cui si innesta una reazione
immunitaria rivolta forse contro la mielina è alla base della ratio di
terapie immunosoppressive, desensibilizzanti, immunomodulatrici ed
antivirali.
Utilizzate singolarmente o in associazione, è ben
noto come nessuna abbia a tutt'oggi dato risultati soddisfacenti a
distanza (60). Inoltre nei trials terapeutici meno recenti la
variabilità clinica della SM e la mancanza di un metodo univoco per
valutare lo stato di attività della malattia sono stati i principali
fattori di confondimento per una corretta interpretazione dei risultati.
L'applicazione delle attuali metodiche strumentali e
di laboratorio hanno permesso e permetteranno in futuro il reclutamento
di malati omogenei ed in fasi più precoci di malattia per una maggiore
certezza dei risultati terapeutici.
Allo stato attuale l'ACTH e i corticosteroidi
rappresentano l'unica terapia universalmente accettata, per brevi
periodi di tempo, al fine di ridurre la durata e la gravità delle
singole ricadute, senza peraltro modificare né il grado di recupero né
l'andamento della malattia (37).
Risultati contrastanti, parziali o del tutto
deludenti, ancorché gravati da tutt'altro che irrilevanti effetti
collaterali, hanno dato la Ciclofosfamide, l'Azatioprina, la
Ciclosporina A, l'irradiazione linfoide totale, la terapia
desensibilizzante, gli immunomodulatori, la plasmaferesi,
l'ossigenazione iperbarica, gli acidi linoleico e linolenico.
L'attenzione attuale è rivolta a trials a lungo
termine con l'uso di interferoni, noti antivirali che possono ridurre le
esacerbazioni della SM (60, 61).
Speranze di nuovi orizzonti terapeutici vengono da
tecniche immunologiche sofisticate, come l'uso di anticorpi anti
molecole di adesione, che impediscono alle cellule leucocitarie di
superare la BEE e di danneggiare la mielina e si sono dimostrati
efficaci nella prevenzione della encefalomielite allergica (62).
RIABILITAZIONE NELLA SM
In assenza di una terapia causale, la riabilitazione
ha assunto nell'ambito della SM un ruolo fondamentale nel consentire al
paziente il grado massimo di autonomia possibile, opponendosi allo
sviluppo e alla progressione di severe complicanze, fortemente
inabilitanti, come per esempio la spasticità (63, 64).
La terapia riabilitativa deve essere
multidisciplinare, non limitandosi cioè ai soli aspetti fisici, ma anche
psichici, sociali, relazionali ed occupazionali. Deve coinvolgere non
solo i livelli neurologici spinali e troncoencefalici, ma anche le più
alte funzioni cerebrali.
Per quanto attiene la fisioterapia, la stessa va
personalizzata sia all'individuo che alla forma e fase clinica della
malattia. A titolo esemplificativo, durante gli episodi acuti sono
utili, per mantenere la mobilizzazione e ridurre la spasticità, gli
esercizi fisici passivi che vanno poi sostituiti con la partecipazione
attiva del paziente nelle fasi di recupero. La mobilizzazione deve
essere comunque sempre personalizzata, sotto la supervisione del
fisiatra e del fisioterapista, evitando la pratica di esercizi fisici
pesanti che possono invece peggiorare il senso di debolezza muscolare
(60).
Nonostante alcuni autori sostengano tuttora che nelle
fasi iniziali sia sufficiente un supporto rieducativo solo dopo le
esacerbazioni, nella situazione ideale la riabilitazione andrebbe
inserita come una normale abitudine quotidiana del paziente, sin
dall'esordio della malattia stessa (64).
Per incrementare il grado di autonomia del paziente
può essere utile anche addestrarlo all'uso di ausili ortopedici o alla
pratica dell'autocateterismo vescicale.
CONSIDERAZIONI MEDICO.. CONCLUSIVE
Benché il medico legale si trovi ad operare in
differenti situazioni valutative, alla base di ciascuna di esse esiste
un fattore comune rappresentato dal danno biologico, inteso
esclusivamente come alterazione dell'integrità psicofisica del soggetto
(danno evento). Esso prescinde dalle ripercussioni che il danno stesso
ha sull'ambiente relazionale, sociale, occupazionale, produttivo del
singolo individuo e che meglio sono inquadrabili nel "danno conseguenza"
rappresentato dal danno alla salute. E' evidente come il "danno evento"
costituisce l'unica effettiva base comune ad ogni tipo di valutazione
medico-legale e che, come tale, può trovare una concordanza valutativa
universale esprimibile anche in percentuali rigorosamente tabellate. Non
altrettanto si può dire del "danno conseguenza" che, invece, proprio
per sua definizione, richiede una valutazione personalizzata e quindi
non tabellabile.
Partendo da questi presupposti e riferendoli alla SM,
esistono delle peculiarità insite nella malattia che debbono essere
tenute presenti dal medico legale, in qualsiasi ambito valutativo si
trovi ad operare:
1) Incertezza diagnostica: singoli episodi di NO,
encefalite o mielite, soprattutto se a lesione unica, non sono
necessariamente espressione di SM; una valutazione effettuata in fase
molto precoce di malattia, annulla un importante criterio diagnostico
della SM che è rappresentato dalla disseminazione temporale; le stesse
definizioni di "leucoencefalomielite" o "leucodistrofia", talvolta usate
per non rivelare l'esatta natura della patologia al paziente, in altre
occasioni sottintendono un'incertezza diagnostica o addirittura una
diagnosi completamente diversa dalla SM.
2) Certezza diagnostica con esiti neurologici in
evoluzione: in caso di SM definita o probabile, il quadro neurologico
che risulta dalla cartella clinica, può essere anche completamente
reversibile nell'arco di pochi mesi e pertanto: a) è indispensabile la
visita dell'interessato, evitando la definizione agli atti; b) i deficit
neurologici rilevati non hanno ancora il requisito della permanenza,
per cui ogni conclusione andrebbe rimandata di alcuni mesi.
3) Certezza diagnostica con esiti neurologici
stabilizzati: è la situazione in cui la valutazione del danno biologico
risulta più agevole, almeno negli ambiti valutativi previdenziali ed
assistenziali in cui, anche ogni eventuale successivo aggravamento può
trovare il suo giusto riconoscimento valutativo.
Avendo ben chiari questi elementi, è dunque possibile
affrontare il problema della valutazione percentuale del danno
biologico da SM. La scala funzionale e di invalidità di Kurtzke e la
scala di invalidità espansa EDSS (allegati 1, 2, 3), pur nate con
finalità essenzialmente di tipo clinico e riabilitativo e quindi con i
limiti di dover poggiare, anche se molto marginalmente, su dati
soggettivi riferiti e che risentono comunque del vissuto psichico del
paziente, risultano di particolare utilità anche per un uniforme
inquadramento medico legale delle disabilità legate alla malattia.
Su questa base, è possibile individuare cinque gruppi
di pazienti. Le valutazioni sono riferite, ovviamente, ai casi di
diagnosi certa, perciò, anche a fronte di deficit neurologici
completamente regrediti, la valutazione medico legale non può ignorare
il problema dei fattori prognostici legati all'evoluzione della malattia
stessa: da qui l'assenza, in questa proposta, della valutazione 0 in
merito al danno biologico da SM. Nell'ambito dei primi due gruppi
individuati, il "peso" di questi fattori prognostici non deve, comunque,
meramente tradursi in una maggiorazione valutativa aprioristica che
ricorderebbe assai dappresso l'antica quota di solidarietà "etica"; può,
invece, far oscillare di qualche punto la valutazione, sempre
all'interno del range proposto, qualora siano ravvisabili alcuni
elementi individuati sulla base di ampi studi epidemiologici. E' pur
vero che questi non consentono di predire con certezza l'andamento della
malattia nel singolo paziente, ma va ricordato che (37) l'evoluzione
della SM nei primi 5 anni è ritenuta estremamente indicativa
dell'andamento successivo, così come il tipo di sistema funzionale
interessato all'esordio (prognosi favorevole per un esordio con sintomi
sensitivi, sfavorevole se piramidali o cerebellari) e l'età d'insorgenza
(evoluzione più rapida dopo i 40 anni).
GRADO
EDSS
|
DANNO BIOLOGICO
|
MOTIVAZIONI
|
0.0 / 2.5
|
10 £ 20 %
|
Soggetti senza deficit neuromotori o con minima disabilità coinvolgente uno o più sistemi funzionali (FS).
|
3.0 / 4.0
|
> 20 £ 40 %
|
Soggetti
autonomi ed autosufficienti, ma con disabilità che coinvolgono uno o
più FS in misura variabile da moderata a relativamente marcata.
|
4.5 / 5.0
|
> 40 £ 60 %
|
Soggetti
che presentano compromissioni funzionali da relativamente gravi a
gravi, ancora capaci di deambulare autonomamente, ma per tratti
limitati.
|
5.5 / 6.0
|
> 60 £ 80 %
|
Soggetti che necessitano di supporti per deambulare o che hanno un' autonomia locomotoria molto limitata.
|
6.5 / 9.5
|
> 80 %
|
Soggetti non autosufficienti, con vari gradi di grave limitazione sino all'allettamento e alla totale dipendenza da altri.
Come ormai
pressoché unanimemente accettato, il danno biologico del 100%
corrisponde alla morte del paziente (grado 10.0 della scala EDSS).
|
Rimanendo sempre in tema di valutazione del danno, ma
passando all' ambito valutativo INPS, è ben vero che il danno qui
tutelato non è quello biologico, ma questo costituisce il presupposto
omogeneizzabile e la base su cui si fonda la successiva definizione
valutativa del "danno conseguenza", nel caso di specie rappresentato
dalla riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti.
Tenendo quindi presenti i presupposti del danno biologico da SM, si può
orientativamente (e non certo tassativamente vista la necessità di
personalizzare il danno conseguenza) individuare la fascia di invalidità
pensionabile (Art. 1 L.222/84) dal grado 4 al grado 5 della scala EDSS
che corrispondono ad un danno biologico da noi valutato tra il 40 ed il
60%. Occorre comunque sempre valutare attentamente la compatibilità
degli esiti neurologici con l'attività lavorativa confacente, stante
anche l'importanza della terapia occupazionale, sia per superare
l'inevitabile ripercussione psichica, sia per mantenere quanto più
possibile l'inserimento sociale del malato. A nessuno può sfuggire come
l'integrazione delle competenze medico legali previdenziali ed
assistenziali consentirebbe ( per esempio nel caso di non raggiungimento
dei requisiti previsti dall'art.1) l'immediata pronuncia in merito ad
una percentuale di invalidità utile, ad esempio, per un collocamento
lavorativo protetto, senza costringere l'interessato a presentare nuove
domande, ad affrontare nuovi e talora lunghi iter amministrativi, a
sottoporsi a nuovi accertamenti medici.
Quando la disabilità raggiunge o supera il grado 5.5
della scala EDSS (danno biologico >60%), l'assicurato è da
considerarsi inabile (Art. 2 L.222/84).
Con una disabilità pari o superiore al grado 6.5
EDSS, il paziente necessita di assistenza continuativa (danno biologico
>80%).
RIASSUNTO
La sclerosi multipla è una malattia, a probabile
genesi autoimmunitaria, della sostanza bianca del S.N.C., che comporta
fenomeni di edema, infiammazione e gliosi a carico dell'encefalo, del
midollo spinale e del nervo ottico, responsabili dell'estrema
variabilità delle manifestazioni d'esordio, delle riacutizzazioni e del
decorso della malattia.
Da tale variabilità è dipeso, soprattutto nel
passato, l'estrema incertezza diagnostica alle prime fasi della
malattia, superata in parte attualmente da sofisticate metodiche
d'indagine.
Anche l'efficacia delle terapie sperimentate è di
difficile interpretazione per il decorso irregolare degli episodi nei
singoli pazienti.
E' una malattia praticamente ubiquitaria nel mondo,
sebbene a diversa prevalenza; ha una preferenza per il sesso femminile e
colpisce soggetti di età medio-giovane, portando nella maggioranza dei
casi ad una disabilità rilevante ed interessando quindi l'Istituto
Nazionale di Previdenza Sociale per il riconoscimento delle dovute
prestazioni.