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Il Testo dell' Intervento di Maurizio Scibilia All' Incontro AIC del 4 Marzo 2012pg 1
La SM mi è stata diagnosticata l’1 Settembre del 2009, al
Policlinico Gemelli di Roma, dall’equipe della professoressa
Batocchi, 19 giorni prima che compissi 40 anni e 7 giorni prima
che il professor Zamboni annunciasse al mondo la propria
scoperta. Mi è parso subito chiaro cosa fosse preferibile tra un
guasto del mio sistema immunitario inguaribile e una
spiegazione per quel guasto (che guasto quindi non era più)
che tra le altre cose era in qualche modo curabile. Questo solo
per dire che la scelta di campo tra CCSVI e SM è una scelta di
pancia prima che di testa, o almeno lo è stata per me.
Cosicché, quando al termine del protocollo di esami previsto
in situazioni del genere, circa a metà Novembre, la neurologa
mi suggerì di iniziare un trattamento a base di Copaxone
(nonostante uno degli effetti collaterali del Copaxone fossero
le vertigini e il mio primo e principale sintomo era stato ed era
proprio uno stato vertiginoso), io risposi: no, grazie.
Io risposi “no, grazie”, perché c’è questa nuova faccenda della
CCSVI, e vorrei sapere se davvero le vene del mio collo hanno
qualcosa che non va, prima di iniziare a bombardare il sistema
immunitario. Volevo sapere se era davvero lui il responsabile
della mia malattia o meno e, anche a distanza di tempo, mi
pare si trattasse di una legittima curiosità. Lei mi guardò e mi
rispose, e non posso negare che la risposta che mi ha dato ha
marcato in maniera forse irreparabile il mio rapporto
fiduciario con lei e probabilmente con tutta la categoria dei
neurologi, mi rispose dicevo: mah, io non ci credo.
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Aggiunse anche qualcosa sul fatto che le bande oligoclonali
mostravano chiaramente come vi fosse una risposta
immunitaria e bla bla bla, ma devo ammettere che da
quell’istante in poi io sostanzialmente non la stavo ascoltando
più; e non la stavo ascoltando più per due ragioni. La prima
ragione era che non le avevo chiesto un’opinione basata sulla
fede: trovavo che il crederci, o il non crederci, fosse del tutto
irrilevante. La seconda ragione era che quella dottoressa, il cui
studio era pieno di persone affette da quella terribile malattia,
che in qualche maniera costituiva il referente principale e
unico di tutti loro, che quindi aveva un mandato “morale” nei
confronti di quelle giovani (e meno giovani) persone
sofferenti, ne sapeva meno di me, che non ero certamente un
esperto di CCSVI. Non aveva avuto nemmeno un po’ di
curiosità, e questo mi aveva trasmesso una sensazione di
profonda sciatteria. Me ne sono andato da quel posto
promettendole che le avrei fatto sapere non appena avessi
avuto modo di verificare lo stato delle mie vene, ma
promettendo a me stesso che non ci sarei più tornato, e di
fatto, col senno del poi, tenendo fede solo alla seconda, di
promessa.
A Dicembre del 2009, pochi giorni prima di Natale, ho avuto il
modo e la fortuna di ricevere il mio primo ECD, a Ferrara,
durante una dimostrazione sull’uso dell’apparecchio ESAOTE
che il professor Zamboni effettuava a beneficio di alcuni
giovani medici dell’equipe del prof. Centonze del Tor Vergata
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di Roma (segnatevi questo nome). In quella circostanza
appresi un paio di cose.
La prima, che l’ECD è un esame operatore-dipendente. Quei
medici giocherellarono con l’apparecchio e col mio collo per
tre quarti d’ora circa, senza cavarne alcuna risposta certa, fino
al momento nel quale il professor Zamboni entrò in quella
stanza, e in non più di un paio di minuti, senza che nemmeno
lo maneggiasse lui l’apparecchio, io ebbi la mia diagnosi.
La seconda cosa che appresi, e che mi fece felice, era che la
CCSVI io ce l’avevo. Il professore vide una restrizione a sinistra
e un deflusso a carico dei collaterali per una dinamica che non
esitò a definire “mostruosa” a destra, che, come ebbi modo di
scoprire in flebografia mesi dopo, è stato probabilmente
quello che mi ha protetto da danni peggiori.
A Gennaio ho ripetuto l’esame a Roma, al Tor Vergata, con i
medici che mi avevano già visionato a Ferrara, con esiti simili,
ovvero continuando loro a capirci poco e niente.
A Luglio invece l’ho effettuato al Cannizzaro, dal Dottor
Cacciaguerra qui presente, che mi confermò la diagnosi di
Zamboni, comunicandomi al contempo il fatto che aveva
messo su un’equipe e che aveva intenzione di effettuare
qualche PTA, suggerendomi di parlare con il Dottor Patanè,
radiologo interventista che mi avrebbe potuto dare
delucidazioni sulla procedura in questione. Il Dottor Patanè mi
confermò che quell’intervento non era nulla di rivoluzionario
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per loro, che ne avevano già effettuati, nello specifico, se non
ricordo male, su pazienti dializzati; quindi dopo qualche giorno
di riflessione decisi di procedere; il 17 Agosto 2010 mi
ricoverai ed il 18 effettuai la mia prima PTA.
Sugli effetti dell’intervento oramai c’è un’ampia casistica, e
l’unica cosa che io posso fare è di confermare che non è un
problema di effetto placebo, che alcune cose cambiano, e
radicalmente, si spera per sempre. Al di là della scomparsa
della cosiddetta “brain fog”, della notevole diminuzione per
non dire scomparsa anche in questo caso della stanchezza, nel
mio caso specifico del migliorato equilibrio, dell’azzeramento
delle vertigini, dei mutamenti per quello che riguarda umore e
lucidità mentale, che anche persone che non sanno della tua
malattia sono in grado di vedere, c’è più in generale il fatto
che stai riscontrando il primo miglioramento dopo anni di
sostanziali peggioramenti.
Ho ripetuto la procedura una seconda volta, a Luglio del 2011,
causa una valvola sfuggita alla prima flebografia, che bloccava
il deflusso a sinistra. Attualmente le mie vene sono aperte (e si
spera lo rimangano).
Mentre noi ci troviamo per parlare di queste cose, e di altre
molto più dotte e mediche, c’è un pezzo di mondo, un
segmento “malato” di questa malattia, immerso negli umori
tossici di questo destino del quale paiono non volersi scrollare,
che si divide tra tre interessanti quando non esoteriche, teorie
sulla CCSVI e sul suo rapporto con la SM.
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La prima teoria è quella che io definisco “negazionista”, che ha
come padre spirituale il mitico professor Baracchini di Padova
(vera e propria icona rock di ogni socio AISM che si rispetti), e
come padre putativo il professor Comi del San Raffaele di
Milano. La teoria, in sé, nega in prima battuta la stessa
esistenza della CCSVI (quindi agendo a un livello che
potremmo definire “ontologico”), poi mettendo in dubbio la
sua correlazione con la SM. Abbiamo da poco avuto modo di
sapere, mi pare proprio per bocca del professor Comi, di come
lo studio COSMO abbia scoperto (sta scoprendo sarebbe il
caso di dire, dato che la sperimentazione è ancora in essere)
che tale correlazione è circa del 10%; quindi, parole sue, non
c’è correlazione. Ora chiunque ha studiato un po’ di
matematica sa che un 10% di correlazione è comunque
correlazione. Che se anche una sola persona su 10 tra i malati
di SM soffrisse di quell’altra patologia varrebbe di certo la
pena di scoprire chi siano e di verificare quali siano gli effetti
dell’apertura delle loro vene sulla loro SM. Tanto per dirne
una, un ciclo di chemio, di quelli che come si dice salva la vita,
può spostare di un 6% circa la probabilità di una recidiva, ma
nessun medico vi dirà mai che non serve a niente.
E comunque noi sappiamo che non è del 10% la correlazione
tra CCSVI e SM. I dati, provenienti da tutto il mondo, narrano
di un’altra storia.
La seconda teoria, persino più suggestiva è quella che io
chiamo dell’ “uovo e la gallina”, ovvero che ammette
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l’esistenza della CCSVI e anche la sua correlazione con la SM,
ma la vede come conseguenza, e non tra le cause, della SM.
Addirittura il prof. Centonze arriva a dire qualcosa in più:
ovvero che probabilmente la CCSVI, questa pletora di
malformazioni, torsioni, valvole piazzate dove non ci
dovrebbero stare, vene sottili come capelli, sia una
“protezione” messa in atto dal nostro organismo, chissà come,
contro la SM, che il nostro organismo, ripeto chissà come,
invece di cercare di limitare i cadaveri che il sistema
immunitario sta ammonticchiando sul terreno dell’encefalo si
mette a bloccare, o comunque rallentare in modo consistente,
il deflusso del sangue esausto, carico di sostanze cataboliche,
che come si sa è un vero toccasana per il nostro cervello. in
sostanza secondo Centonze la CCSVI è una benedizione che
ogni malato di SM dovrebbe guardarsi bene dal rimuovere,
una sorta di ultima barriera contro le devastazioni della
malattia, una protezione della quale sarebbe il caso che non
facessimo a meno. Geniale!
La terza teoria, che a pensarci bene, non è nemmeno una
teoria ma il buon vecchio “babau”, chiede con fare mellifluo:
davvero sicuro di volere aprire le tue vene? C’è stato il morto.
Punto, non dicono altro. Il morto è l’ultima barriera per
cercare di convincere i malati a non operarsi e a scoprire che
una semplice operazione vi farà comunque stare meglio di
costosissimi farmaci.
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Chi se ne sarà fregato di queste voci, e sarà tra i fortunati che
hanno superato la vigilanza di questo Cerbero messo a guardia
degli interessi delle multinazionali del farmaco, scoprirà che la
CCSVI è semplicemente una risposta, dettata dalla capacità di
un medico colpito negli affetti e desideroso di recare un
qualche conforto alla persona a lui più cara, precipitata
nell’assenza di risposte. Non spiega tutto, ma suona
abbastanza convincente da guardare con un certo sospetto
farmaci sulla cui efficacia è lecito nutrire qualche dubbio.
Perché da che mondo e mondo, il 33% di efficacia di un
farmaco, significa che quel farmaco ne cura uno su tre, non
che blocca una recidiva su tre (e non puoi nemmeno sapere
quale), come se questo fosse ciò che i malati chiedono. Non
fingo di ignorare gli studi che dimostrano come la malattia
proceda alla stessa maniera, e con lo stesso ritmo, interferone
o non interferone.
Se si trattasse di un banale raffreddore, lo comprereste un
medicinale che blocca uno starnuto su tre in cambio di un
bombardamento al sistema immunitario?
Io non so dire quanto la PTA risolva. C’è stato un accumulo di
sostanze di scarto nel mio cervello e mi piacerebbe rilevarne
l’ammontare. Mi piacerebbe che si parli seriamente di una
chelazione in grado di attraversare la barriera ematoencefalica
e adorerei se qualcuno iniziasse a fornire delle risposte su
come si possano curare i danni lasciati dalla malattia. Queste
sono le “risposte” che vorrei sentire, e con me immagino molti
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altri malati. Questo è il dibattito cui mi piacerebbe di assistere.
Questa è la Medicina della quale mi piacerebbe tornare a
fidarmi. E invece ci tocca udire i Centonze, e i Comi, e le loro
panzane, mentre la malattia procede nel suo percorso di
sofferenza e disabilità.
Mi piacerebbero tutte queste risposte ma non posso averle,
perché la Medicina ufficiale si è arroccata in questa battaglia
di retroguardia indifferente a quanto capita nel mondo reale.
Dalle tesi di Copernico abbiamo dovuto attendere quasi un
secolo e mezzo prima di sapere, ufficialmente, tramite
Newton, che era la terra a girare intorno al sole e non il vice
versa. La brutta notizia è che un secolo e mezzo noi,
purtroppo, non ce l’abbiamo. Quella buona è che oggi, grazie a
internet, possiamo stravolgere le nostre idee e quelle degli
altri in un tempo incredibilmente minore.
Che possiamo cambiare questa dannata malattia, prima che
questa malattia cambi noi!
di Maurizio Scibilia