Le informazioni qui riportate Hanno solo un fine illustrativo: NON costituiscono e NON provengono né da prescrizione né da consiglio medico, rivolgersi SEMPRE e comunque al PROPRIO MEDICO NB: L'ADMI ritiene i propri lettori persone ragionevoli e dotate di senso della misura. I vostri commenti VERRANNO INSERITI dopo controllo, in caso Si riserva la facoltà di cancellare commenti di CATTIVO GUSTO e/o OFFENSIVI
CONTATORE PERSONE
30/07/12
Piemonte, 123 casi di Sla tra agricoltori: Guariniello indaga - TORINO OGGI NOTIZIE
Piemonte, 123 casi di Sla tra agricoltori: Guariniello indaga - TORINO OGGI NOTIZIE
Torino - In Piemonte nel 2011 sono stati diagnosticati 123 casi di sclerosi laterale amiotrofica tra gli agricoltori. Questo il dato che emerge da un fascicolo aperto dalla Procura di Torino e che preoccupa in quanto si tratta di un'incidenza di gran lunga superiore alla media.
I casi di Sla sono stati scoperti dalla magistratura mentre venivano incrociati i dati delle schede di dimissione ospedaliera con quelli in possesso dell'Inps.
Al momento l'ipotesi del pm Raffaele Guariniello è che la sclerosi laterale amiotrofica, patologia fortemente invalidante, sia dovuta al contatto con pesticidi.
Torino - In Piemonte nel 2011 sono stati diagnosticati 123 casi di sclerosi laterale amiotrofica tra gli agricoltori. Questo il dato che emerge da un fascicolo aperto dalla Procura di Torino e che preoccupa in quanto si tratta di un'incidenza di gran lunga superiore alla media.
I casi di Sla sono stati scoperti dalla magistratura mentre venivano incrociati i dati delle schede di dimissione ospedaliera con quelli in possesso dell'Inps.
Al momento l'ipotesi del pm Raffaele Guariniello è che la sclerosi laterale amiotrofica, patologia fortemente invalidante, sia dovuta al contatto con pesticidi.
Morbo Huntington, terapia con impianto al cervello - OGGI NOTIZIE
Morbo Huntington, terapia con impianto al cervello - OGGI NOTIZIE
Salute - Uno studio danese ha sperimentato con successo l'innesto di fattori neurotrofici per il trattamento del morbo di Huntington, una grave malattia neurodegenerativa che causa movimenti ipercinetici.
I ricercatori dell'NsGene A/S di Ballerup, in Danimarca, hanno impiantato un piccolo dispositivo da utilizzare come veicolo per l'innesto di fattori neurotrofici in alcune cavie da laboratorio. I medici, guidati da Jens Torna, hanno ottenuto dei risultati interessanti grazie all'Encapsulated Cell (CE) biodelivery, uno strumento che utilizza le normali procedure neurochirurgiche mini-invasive per indirizzare le strutture cerebrali profonde attraverso le proteine terapeutiche.
Il ricercatore ha dichiarato: “il nostro studio fornisce un grande apporto alle sempre crescenti scoperte nell'ambito della preclinica e della clinica dei dati, proponendo il biodelivery CE come un promettente metodo terapeutico. Il CE unisce i vantaggi della terapia genica con la consolidata sicurezza di un impianto recuperabile''.
NOTA INFOFRMATIVA SU QS PATOLOGIA
La Malattia di Huntington o MH, nome scientifico Còrea Maior, è una malattia degenerativa del sistema extrapiramidale che rientra nel capitolo delle sindromi ipercinetiche. La malattia è stata descritta nel 1872 da George Huntington. Tale patologia si presenta con caratteristiche quali ereditarietà, disturbi del movimento, fra cui còrea (dal greco, danza), disturbi cognitivi e del comportamento. L'età d'esordio si colloca attorno ai 40-50 anni.
È una malattia rara, con prevalenza di circa 3 - 7 casi per 100.000 abitanti con discendenza europea occidentale e 1 per 1.000.000 con discendenza asiatica, trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza completa[1].
Questo significa che chi è figlio di una persona affetta da malattia di Huntington ha una probabilità del 50% di sviluppare la malattia, anche se l'ereditarietà è complicata da possibili mutazioni nel numero di ripetizioni della sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG
La distruzione di una parte specifica dei nuclei della base (soprattutto la distruzione del nucleo caudato) significa anche la distruzione di neuroni GABA-ergici i quali sono neuroni inibitori causando così movimenti ipercinetici, dovuti in generale al venire meno delle funzioni di controllo motorio dei nuclei della base. Dal punto di vista genetico è stato individuato il gene sul braccio corto di cromosoma 4 in posizione 16.3 (4p16.3) per la proteina denominata "huntingtina" (Htt) la cui funzione è stata recentemente identificata. In un lavoro del 2004 pubblicato su Cell, gli studi condotti hanno mostrato un importante coinvolgimento della Htt nel meccanismo di trasporto vescicolare assonico. Essa fungerebbe da acceleratore del complesso della Dineina, e la sua mutazione va a limitare se non annullare questo effetto propulsivo, sebbene non sia stato possibile comprendere a fondo come l'elevato numero di Glutammine incida su questa deficienza. Ciò che invece sembra certo è il composto proteico maggiormente incisivo sulla neurodegenerazione, ossia il BDNF (Brain Derived Neuronic Factor). Questo, prodotto dalla corteccia cerebrale, è un composto che mantiene in vita i neuroni evitandone l'apoptosi. Il suo trasferimento dalla corteccia alla zona dello striatum per esempio, non può che avvenire tramite il trasporto assonico, perciò se intercorre una mutazione dell'Htt, tale fattore non arriva a destinazione e causa in breve tempo accumulo di materiale proteico con conseguente morte cellulare.
Tutti i pazienti affetti dalla malattia di Huntington presentano una mutazione del gene per l'Htt, situato come detto sul braccio corto del cromosoma 4. Il gene normale presenta una sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG ripetuta da 11 a 35 volte. Il numero delle ripetizioni negli affetti è aumentato (36 o più) e la malattia è tanto più precoce quanto maggiore è il numero delle ripetizioni. L'amplificazione della mutazione si verifica durante la spermatogenesi ed è all'origine del fenomeno dell'anticipazione della malattia se trasmessa da parte paterna, in tale patologia si assiste ad una mutazione dinamica in quanto vi è un'espansione significativa delle triplette, ciò è da imputare ad un meccanismo di mutazione per slippage. L'insorgenza di nuove mutazioni è improbabile. Non si sa con certezza quali siano esattamente gli effetti dannosi di questa espansione delle triplette. Sia la perdita di funzioni protettive della huntingtina, sia l'acquisizione di nuove funzioni tossiche sono state descritte. La malattia è caratterizzata dalla formazione di inclusioni intranucleari ed aggregazione proteica, l'impatto degli aggregati sulla patologia non è ancora stato chiarificato. Gli aggregati potrebbero essere in un primo tempo protettivi in quanto sequestrerebbero la huntingtina mutata. Ma con l'avanzare della malattia questi aggregati potrebbero diventare nocivi in quanto impedirebbero il traffico intracellulare.
L'esordio in genere è tra i 40 e 50 anni, spesso con sintomi poco specifici e non di rado di natura psichiatrica (alterazioni della personalità, irrequietezza, stati depressivi). Esiste la possibilità di un'insorgenza precoce (attorno ai 20 anni), nel qual caso si parla di Malattia di Huntington giovanile.
In seguito, si verifica una progressiva compromissione dei sistemi motori con movimenti involontari rapidi della muscolatura facciale, degli arti, dapprima brevi e distali, poi sempre più duraturi e diffusi tanto da dare luogo ad una strana "danza". L'andatura si fa barcollante, torsioni del tronco. Anche la fonazione è modificata con voce monotona o a volte parola esplosiva.
Precocemente è compromessa anche la motilità oculare con rallentamento delle saccadi e proseguono di pari grado con apatia, irritabilità, turbe della memoria, idee deliranti a carattere persecutorio sino a stati demenziali conclamati. La durata media di malattia è 15-25 anni, e il decesso avviene per cause intercorrenti (soprattutto complicanze polmonari).
È prima di tutto clinica e si avvale della ricerca dell'espansione delle triplette. Le neuroimmagini possono mostrare atrofia corticale e dello striato con la dilatazione ventricolare.
Esistono solo farmaci sintomatici che non possono modificare l'evoluzione della malattia. Nel novembre del 2007, è stato registrato in Italia il farmaco tetrabenazina (un bloccante del recettore dopaminergico), con l'indicazione terapeutica proprio relativa a tale malattia. La sua fornitura, in presenza di prescrizione specialistica, è a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Per le discinesie si usano antagonisti della dopamina (es. aloperidolo), nelle forme giovanili dominate da rigidità può essere utile la terapia con farmaci antiparkinsoniani. Invece, nei pazienti anziani, sono da considerare come farmaci "di prima scelta" i sali dell'acido valproico.
Salute - Uno studio danese ha sperimentato con successo l'innesto di fattori neurotrofici per il trattamento del morbo di Huntington, una grave malattia neurodegenerativa che causa movimenti ipercinetici.
I ricercatori dell'NsGene A/S di Ballerup, in Danimarca, hanno impiantato un piccolo dispositivo da utilizzare come veicolo per l'innesto di fattori neurotrofici in alcune cavie da laboratorio. I medici, guidati da Jens Torna, hanno ottenuto dei risultati interessanti grazie all'Encapsulated Cell (CE) biodelivery, uno strumento che utilizza le normali procedure neurochirurgiche mini-invasive per indirizzare le strutture cerebrali profonde attraverso le proteine terapeutiche.
Il ricercatore ha dichiarato: “il nostro studio fornisce un grande apporto alle sempre crescenti scoperte nell'ambito della preclinica e della clinica dei dati, proponendo il biodelivery CE come un promettente metodo terapeutico. Il CE unisce i vantaggi della terapia genica con la consolidata sicurezza di un impianto recuperabile''.
NOTA INFOFRMATIVA SU QS PATOLOGIA
La Malattia di Huntington o MH, nome scientifico Còrea Maior, è una malattia degenerativa del sistema extrapiramidale che rientra nel capitolo delle sindromi ipercinetiche. La malattia è stata descritta nel 1872 da George Huntington. Tale patologia si presenta con caratteristiche quali ereditarietà, disturbi del movimento, fra cui còrea (dal greco, danza), disturbi cognitivi e del comportamento. L'età d'esordio si colloca attorno ai 40-50 anni.
È una malattia rara, con prevalenza di circa 3 - 7 casi per 100.000 abitanti con discendenza europea occidentale e 1 per 1.000.000 con discendenza asiatica, trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza completa[1].
Questo significa che chi è figlio di una persona affetta da malattia di Huntington ha una probabilità del 50% di sviluppare la malattia, anche se l'ereditarietà è complicata da possibili mutazioni nel numero di ripetizioni della sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG
La distruzione di una parte specifica dei nuclei della base (soprattutto la distruzione del nucleo caudato) significa anche la distruzione di neuroni GABA-ergici i quali sono neuroni inibitori causando così movimenti ipercinetici, dovuti in generale al venire meno delle funzioni di controllo motorio dei nuclei della base. Dal punto di vista genetico è stato individuato il gene sul braccio corto di cromosoma 4 in posizione 16.3 (4p16.3) per la proteina denominata "huntingtina" (Htt) la cui funzione è stata recentemente identificata. In un lavoro del 2004 pubblicato su Cell, gli studi condotti hanno mostrato un importante coinvolgimento della Htt nel meccanismo di trasporto vescicolare assonico. Essa fungerebbe da acceleratore del complesso della Dineina, e la sua mutazione va a limitare se non annullare questo effetto propulsivo, sebbene non sia stato possibile comprendere a fondo come l'elevato numero di Glutammine incida su questa deficienza. Ciò che invece sembra certo è il composto proteico maggiormente incisivo sulla neurodegenerazione, ossia il BDNF (Brain Derived Neuronic Factor). Questo, prodotto dalla corteccia cerebrale, è un composto che mantiene in vita i neuroni evitandone l'apoptosi. Il suo trasferimento dalla corteccia alla zona dello striatum per esempio, non può che avvenire tramite il trasporto assonico, perciò se intercorre una mutazione dell'Htt, tale fattore non arriva a destinazione e causa in breve tempo accumulo di materiale proteico con conseguente morte cellulare.
Tutti i pazienti affetti dalla malattia di Huntington presentano una mutazione del gene per l'Htt, situato come detto sul braccio corto del cromosoma 4. Il gene normale presenta una sequenza trinucleotidica ripetitiva CAG ripetuta da 11 a 35 volte. Il numero delle ripetizioni negli affetti è aumentato (36 o più) e la malattia è tanto più precoce quanto maggiore è il numero delle ripetizioni. L'amplificazione della mutazione si verifica durante la spermatogenesi ed è all'origine del fenomeno dell'anticipazione della malattia se trasmessa da parte paterna, in tale patologia si assiste ad una mutazione dinamica in quanto vi è un'espansione significativa delle triplette, ciò è da imputare ad un meccanismo di mutazione per slippage. L'insorgenza di nuove mutazioni è improbabile. Non si sa con certezza quali siano esattamente gli effetti dannosi di questa espansione delle triplette. Sia la perdita di funzioni protettive della huntingtina, sia l'acquisizione di nuove funzioni tossiche sono state descritte. La malattia è caratterizzata dalla formazione di inclusioni intranucleari ed aggregazione proteica, l'impatto degli aggregati sulla patologia non è ancora stato chiarificato. Gli aggregati potrebbero essere in un primo tempo protettivi in quanto sequestrerebbero la huntingtina mutata. Ma con l'avanzare della malattia questi aggregati potrebbero diventare nocivi in quanto impedirebbero il traffico intracellulare.
L'esordio in genere è tra i 40 e 50 anni, spesso con sintomi poco specifici e non di rado di natura psichiatrica (alterazioni della personalità, irrequietezza, stati depressivi). Esiste la possibilità di un'insorgenza precoce (attorno ai 20 anni), nel qual caso si parla di Malattia di Huntington giovanile.
In seguito, si verifica una progressiva compromissione dei sistemi motori con movimenti involontari rapidi della muscolatura facciale, degli arti, dapprima brevi e distali, poi sempre più duraturi e diffusi tanto da dare luogo ad una strana "danza". L'andatura si fa barcollante, torsioni del tronco. Anche la fonazione è modificata con voce monotona o a volte parola esplosiva.
Precocemente è compromessa anche la motilità oculare con rallentamento delle saccadi e proseguono di pari grado con apatia, irritabilità, turbe della memoria, idee deliranti a carattere persecutorio sino a stati demenziali conclamati. La durata media di malattia è 15-25 anni, e il decesso avviene per cause intercorrenti (soprattutto complicanze polmonari).
È prima di tutto clinica e si avvale della ricerca dell'espansione delle triplette. Le neuroimmagini possono mostrare atrofia corticale e dello striato con la dilatazione ventricolare.
Esistono solo farmaci sintomatici che non possono modificare l'evoluzione della malattia. Nel novembre del 2007, è stato registrato in Italia il farmaco tetrabenazina (un bloccante del recettore dopaminergico), con l'indicazione terapeutica proprio relativa a tale malattia. La sua fornitura, in presenza di prescrizione specialistica, è a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Per le discinesie si usano antagonisti della dopamina (es. aloperidolo), nelle forme giovanili dominate da rigidità può essere utile la terapia con farmaci antiparkinsoniani. Invece, nei pazienti anziani, sono da considerare come farmaci "di prima scelta" i sali dell'acido valproico.
Salute - Una pillola contro Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla
Salute - Una pillola contro Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla
Al momento sono in corso i primi test sugli esseri umani (che seguono un'incoraggiante sperimentazione sugli animali) di un nuovo farmaco messo a punto nei laboratori della Northwestwern University di Chicago, i cui ricercatori hanno brevettato due principi attivi denominati MW151 e MW189. Il farmaco funziona bloccando le citochine proinfiammatorie (proteine che svolgono un ruolo importante per la difesa immunitaria e che contribuiscono al processo di proliferazione di alcune cellule coinvolte nei processi infiammatori e immunitari dell'organismo) e potrebbe essere efficace nel trattamento di patologie come il morbo di Parkinson, l'Alzheimer, la sclerosi multipla, le malattie dei motoneuroni, la demenza fronto-temporale e le complicazioni susseguentia una lesione cerebrale. Secondo i suoi ideatori la nuova medicina segue un approccio completamente diverso rispetto agli altri farmaci attualmente allo studio che si occupano prevalentemente di ridurre l'accumulo delle proteine beta-amiloidi. Le citochine proinfiammatorie infatti danneggiano le sinapsi neuronali (i collegamenti tra le cellule nervose) causando disordini mentali e la morte dei neuroni. Inoltre, per quanto riguarda l'Alzheimer, i ricercatori statunitensi sostengono che se il farmaco venisse somministrato all'insorgere dei primi sintomi della malattia sarebbe in grado di bloccarne completamente l'evoluzione.
Al momento sono in corso i primi test sugli esseri umani (che seguono un'incoraggiante sperimentazione sugli animali) di un nuovo farmaco messo a punto nei laboratori della Northwestwern University di Chicago, i cui ricercatori hanno brevettato due principi attivi denominati MW151 e MW189. Il farmaco funziona bloccando le citochine proinfiammatorie (proteine che svolgono un ruolo importante per la difesa immunitaria e che contribuiscono al processo di proliferazione di alcune cellule coinvolte nei processi infiammatori e immunitari dell'organismo) e potrebbe essere efficace nel trattamento di patologie come il morbo di Parkinson, l'Alzheimer, la sclerosi multipla, le malattie dei motoneuroni, la demenza fronto-temporale e le complicazioni susseguentia una lesione cerebrale. Secondo i suoi ideatori la nuova medicina segue un approccio completamente diverso rispetto agli altri farmaci attualmente allo studio che si occupano prevalentemente di ridurre l'accumulo delle proteine beta-amiloidi. Le citochine proinfiammatorie infatti danneggiano le sinapsi neuronali (i collegamenti tra le cellule nervose) causando disordini mentali e la morte dei neuroni. Inoltre, per quanto riguarda l'Alzheimer, i ricercatori statunitensi sostengono che se il farmaco venisse somministrato all'insorgere dei primi sintomi della malattia sarebbe in grado di bloccarne completamente l'evoluzione.
Cannizzaro di Catania- sperimentazione sta dunque per cominciare
Comincerà nei prossimi giorni e sarà
eseguita in venti centri d’Italia, tra cui l’ospedale Cannizzaro di
Catania, la sperimentazione “Brave Dreams”, lo studio che dovrà valutare
efficacia e sicurezza dell’intervento di disostruzione delle vene
extracraniche nei pazienti con sclerosi multipla e diagnosi di
“Insufficienza Venosa Cronica Cerebrospinale” (CCSVI). Promotore e
principale ricercatore dello studio è il prof. Paolo Zamboni, il medico
che per la prima volta nel mondo ha ipotizzato un legame fra sclerosi
multipla e CCSVI mettendo a punto il metodo ormai conosciuto con il suo
nome.
In inglese, “Brave Dreams” significa
letteralmente “sogni coraggiosi”: il nome deriva dall’abbreviazione di
BRAin VEnous DRainage Exploited Against Multiple Sclerosis, ovvero
“sfruttare il drenaggio venoso contro la sclerosi multipla”. Grazie al
possesso dei requisiti richiesti, relativi alle competenze neurologica,
di diagnostica vascolare non invasiva, di radiologia interventistica, di
chirurgia endovascolare e in area psicometrico-funzionale,
l’Azienda Cannizzaro di Catania è stata tra le prime ad essere
accreditata per questo trial multicentrico, che prevede un impegno
complessivo di circa due anni delle seguenti unità: Radiologia
interventistica, Centro neurologico per la Sclerosi Multipla, Medicina
fisica e riabilitativa, Chirurgia vascolare.
La sperimentazione sta dunque per
cominciare, con l’arruolamento dei pazienti nei primi Centri
sperimentatori dell’Emilia-Romagna (l’ospedale di Ferrara dove lavora
Zamboni, Centro coordinatore a livello nazionale, e l’Ausl di Bologna), e
proseguirà proprio presso l’ospedale Cannizzaro e di seguito negli
altri Centri sperimentatori (14 su 20) che hanno già il via libera dei
propri Comitati etici sul protocollo di ricerca, messo a punto da un
Comitato scientifico di esperti italiani e coordinato dall’Agenzia
sanitaria e sociale dell’ Emilia-Romagna.
L’avvio del reclutamento è stato
possibile grazie al parere non ostativo del Ministero della Salute
all’utilizzo di dispositivi medici. Il protocollo di ricerca “Brave
Dreams”, infatti, prevede l’uso di palloncini da angioplastica e, per
l’inizio della sperimentazione clinica, il Ministero aveva richiesto di
attendere la preventiva autorizzazione. Lo studio, promosso dall’Azienda
ospedaliero-universitaria di Ferrara, è finanziato dalla Regione
Emilia-Romagna con quasi tre milioni di euro
info di: http://www.cannizzarosalute.it/?p=609 .
info di: http://www.cannizzarosalute.it/?p=609 .
...
ora possiamo volare, verso i cancelli del
tempo, dove il tutto ci sta aspettando..DOVE IL NOSTRO SOGNO...E' LI AD
ATTENDERCI..non facciamolo attendere, perche' un sogno non e' soltanto
un sogno, il sogno e' quello che ti permette di VIVERE..che ti permette
di spezzare le tue catene.
Quante volte abbiamo cercato la strada giusta?!
fino ad arrivare a comprendere che tutto era finito...che ogni passo, terapia cura..speranza non e' servito a nulla...in quel momento capiamo che tutto cambia...ed è ora di rinascere...e' ora di iniziare nuovamente a sorridere..e le nostre impronte dove prima si son cancellate..adesso riaffiorano..le nostre emozioni riemergono dal basso verso l'alto e la VITA RITORNA nelle nostre mani..ora si che ogni cosa ha un senso, e capiamo che ogni dolore è servito per arrivare a comprendere..che siamo AMORE PURO..CHE SIAMO ANIME NATE PER ESSERE LUCE..E NELLA LUCE NOI VOLEREMO CON QUELLE ALI CHE DA TEMPO NON SENTIVAMO PIU'..e inizieremo a vedere quello che oggi abbiamo solamente guardato....aprite il vostro cuore...e iniziate ad amare la vita assaporandala ogni giorno..ogni secondo ...ALLONTANANDO da noi stessi quella tristezza a quella disperazione..
by SaM
Quante volte abbiamo cercato la strada giusta?!
fino ad arrivare a comprendere che tutto era finito...che ogni passo, terapia cura..speranza non e' servito a nulla...in quel momento capiamo che tutto cambia...ed è ora di rinascere...e' ora di iniziare nuovamente a sorridere..e le nostre impronte dove prima si son cancellate..adesso riaffiorano..le nostre emozioni riemergono dal basso verso l'alto e la VITA RITORNA nelle nostre mani..ora si che ogni cosa ha un senso, e capiamo che ogni dolore è servito per arrivare a comprendere..che siamo AMORE PURO..CHE SIAMO ANIME NATE PER ESSERE LUCE..E NELLA LUCE NOI VOLEREMO CON QUELLE ALI CHE DA TEMPO NON SENTIVAMO PIU'..e inizieremo a vedere quello che oggi abbiamo solamente guardato....aprite il vostro cuore...e iniziate ad amare la vita assaporandala ogni giorno..ogni secondo ...ALLONTANANDO da noi stessi quella tristezza a quella disperazione..
by SaM
Biologa e con la sclerosi multipla: “Ecco perché dico no alla vivisezione”
“Mi chiamo Susanna Penco, ho 49 anni, vivo a Genova e da
16 anni sono affetta da sclerosi multipla. Sono biologa e lavoro come
ricercatrice all’Università di Genova. Da sempre sono obiettrice di
coscienza verso la sperimentazione animale per due motivi: perché non ho
alcuna fiducia scientifica in tale pratica, e perché provo un grande
senso di pietà nei confronti di tutti gli animali, umani e non umani”. Comincia così la testimonianza di Susy
(che lei, come leggerete, non vuole sia definita straordinaria, ma che a
tutti gli effetti lo è), che ha fatto il giro del web suscitando una
valanga di commenti/assensi (l’originale completo si trova a pagina 6 della rivista Orizzonti).
Una testimonianza da leggere anche perché malgrado gli sforzi, la passione, la chiarezza dell’obiettivo e la fattibilità di ciò che propone – che si sperimenti sugli umani che, come lei, volontariamente si offrono alla scienza oppure sui cadaveri – Susanna Penco non ha ancora ottenuto una sola risposta ufficiale.
Dice Susy: Sappiamo tutto delle mummie egizie. Sappiamo che cosa ha mangiato Otzi poco prima di esalare l’ultimo respiro, tra risonanze e tac sanno tutto anche dell’ultima cellula rimastagli, e allora perché non analizzare l’organismo di coloro che sono deceduti per o con la malattia di cui soffro anch’io?
Ma ecco la testimonianza:
“La mia esperienza professionale inizia tanti anni fa, quando decisi, ancor prima di laurearmi, di dedicarmi alle colture cellulari come alternativa a una ricerca da me ritenuta cruenta ed inutile. Ebbi la fortuna di incontrare le persone giuste e fu così che divenni brava a coltivare cellule esclusivamente “in vitro” e poi, da anni, esclusivamente umane.
Qualcosa si fa, ovviamente. Ma è poco, e sapete perché? Perché la parte del leone, per i fondi stanziati o “raggranellati”attraverso varie vie, anche molto nobili, dalla beneficenza, alle donazioni in tv, ai premi, ecc, la fanno le ricerche sui topi. Insomma, si riesce a far tornare quasi normali i topi, fatti ammalare artificialmente (nessun animale al mondo, a parte l’uomo, si ammala di sclerosi multipla!) con varie terapie, che poi si rivelano, il più delle volte, o inutili per la nostra specie, oppure ci scappa addirittura il morto, come del resto per altri farmaci, altre malattie, ma stessi metodi di ricerca (animali).
Sappiamo che per ammalarsi di sclerosi multipla ci vuole, consentitemi il paragone un po’ strano, una sorta di “fedina penale sporca”: è il Dna. Dunque, verosimilmente, tutte le persone che hanno la sclerosi multipla hanno una “predisposizione”, scritta nei geni, che, quando malauguratamente si combina con altri fattori ambientali ancora sconosciuti, dà la manifestazione della malattia. Questa predisposizione è condizionata dal famoso Mhc (Major Histocompatibility Complex), che è una specie di “codice fiscale” naturale che ciascuno di noi ha, e che, come un codice fiscale burocratico, è diverso da persona a persona. Ma qualcosa in comune c’è. O non esisterebbero i trapianti, le somiglianze tra parenti, l’identità dei gemelli “veri”, ecc. Ebbene, a tutt’oggi io, e coloro che mi curano, ignoriamo il mio Mhc.
Perché, se è così importante? Perché identificare l’Mhc comporta un esame del sangue costoso… Ma perbacco, costerà sempre meno delle migliaia di ricerche su migliaia di topi che conducono al quasi nulla: i topi si rimettono dalla malattia indotta (sono state usate anche le scimmie, a dire il vero, senza risvolti utili!) eppure i risultati, incoraggianti su altre specie, non sono trasferibili all’homo sapiens sapiens.
Ecco che mi piacerebbe essere utile a me stessa e ai posteri, futuri malati di sclerosi multipla: sarebbe opportuno identificare il mio “codice fiscale biologico” (l’Mhc), propormi di sottoporre a monitoraggio, continuo nel tempo, il mio stile di vita: ad esempio, abitudini alimentari, attività fisica, farmaci assunti, e cento altre cose, sottopormi con regolarità ad esami innocui (diagnostica per immagini, dalle risonanze agli ecocolordoppler, a prelievi di sangue ed eventualmente di liquor, ad esempio). Non solo non mi peserebbe prestarmi a seguire certe regole, monitorare me stessa e “accudirmi”, magari con un accurato “diario di bordo”- né peserebbe a molti altri pazienti, lo so – ma mi sentirei utile a me stessa e agli altri. Nessuna follia, dunque. Solo buona ed etica ricerca medica sui malati, i veri protagonisti. Io degli studi sugli animali mica mi fido.
Esistono già ricerche cliniche su pazienti umani, ma, a mio modesto avviso, ancora poco coordinate, poco gestite, frammentarie, ritenute secondarie alla ricerca su animali - che comporta, a dirla tutta, una grande produzione scientifica di lavori su prestigiose riviste e… aiuta la carriera dei ricercatori. E poi, ditemi, perché nessuno mi “usa”, se sono attenta, lucidamente consenziente, diligente ed affidabile e per di più con competenze scientifiche?
Delusa dal disinteresse nei confronti di Susy viva, ho cercato di consolarmi pensando al futuro (spero lontano): quando di me resterà la salma. Sì, avete inteso bene: ho deciso, molto tempo fa, di donare il mio cadavere all’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) affinché il mio sistema nervoso centrale difettoso (ma anche altri organi) sia indagato, studiato, osservato, analizzato, in rapporto anche con quello dei miei parenti stretti che, persuasi della bontà del gesto, hanno seguito il mio esempio, generoso verso i miei simili e pietoso verso chi non c’entra nulla (gli animali, topi, cani, gatti o scimmie che siano). Naturalmente il tutto, come un testamento, è revocabile in qualsiasi momento, se si cambiasse idea. A me non capiterà!
È su animali vivi che si pratica la sperimentazione animale. Si fanno nascere apposta. Fate caso al linguaggio comune giornalistico e televisivo: gesti, avvenimenti, fatti e persone è tutto “straordinario”. Un aggettivo inflazionato. Ebbene, io desidero qualcosa di assolutamente ordinario! Nulla trovo di eroico, strano, eccezionale o straordinario nel mio auspicio, nei miei propositi. Sono alla ricerca di qualcosa di buono, che sia buono, che produca risultati buoni. Per tutti. Senza vittime.
l'articolo completo lo trovate : www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/27/biologa-e-con-sclerosi-multipla-ecco-perche-dico-no-alla-vivisezione/308269/
Una testimonianza da leggere anche perché malgrado gli sforzi, la passione, la chiarezza dell’obiettivo e la fattibilità di ciò che propone – che si sperimenti sugli umani che, come lei, volontariamente si offrono alla scienza oppure sui cadaveri – Susanna Penco non ha ancora ottenuto una sola risposta ufficiale.
Dice Susy: Sappiamo tutto delle mummie egizie. Sappiamo che cosa ha mangiato Otzi poco prima di esalare l’ultimo respiro, tra risonanze e tac sanno tutto anche dell’ultima cellula rimastagli, e allora perché non analizzare l’organismo di coloro che sono deceduti per o con la malattia di cui soffro anch’io?
Ma ecco la testimonianza:
“La mia esperienza professionale inizia tanti anni fa, quando decisi, ancor prima di laurearmi, di dedicarmi alle colture cellulari come alternativa a una ricerca da me ritenuta cruenta ed inutile. Ebbi la fortuna di incontrare le persone giuste e fu così che divenni brava a coltivare cellule esclusivamente “in vitro” e poi, da anni, esclusivamente umane.
Con l’avvento di attrezzature
avanguardistiche e se la ricerca in vitro fosse finanziata come
dovrebbe, si potrebbero ottenere grandi risultati applicabili all’uomo.
Ma qui non voglio parlare delle ricerche “in vitro”, voglio parlare
di quelle “in vivo”. In vivo su chi? Ma sull’uomo, certamente, ovviamente, naturalmente. E chi, sennò?!
Mi
spiego, vorrei proporre ricerche che potrebbero essere immediatamente
disponibili ed applicabili al vero “bersaglio” della ricerca: la nostra
specie. Ecco perché ho premesso di essere vittima di una precisa
malattia. Io sono assolutamente disponibile a fare da cavia:
no, non sono una visionaria fanatica pronta al sacrificio della vita
per un ideale che, tra l’altro, sarebbe ritenuto ridicolo e assurdo dai
più. La mia malattia è “mia”, io ne sono affetta, ma certamente c’è
qualcosa in comune tra me e tutti gli altri malati: qualcosa che
dovrebbe essere indagato tramite, naturalmente, accuratissime
anamnesi, banche dati, analisi statistiche ed epidemiologiche, ed altro.Qualcosa si fa, ovviamente. Ma è poco, e sapete perché? Perché la parte del leone, per i fondi stanziati o “raggranellati”attraverso varie vie, anche molto nobili, dalla beneficenza, alle donazioni in tv, ai premi, ecc, la fanno le ricerche sui topi. Insomma, si riesce a far tornare quasi normali i topi, fatti ammalare artificialmente (nessun animale al mondo, a parte l’uomo, si ammala di sclerosi multipla!) con varie terapie, che poi si rivelano, il più delle volte, o inutili per la nostra specie, oppure ci scappa addirittura il morto, come del resto per altri farmaci, altre malattie, ma stessi metodi di ricerca (animali).
Sappiamo che per ammalarsi di sclerosi multipla ci vuole, consentitemi il paragone un po’ strano, una sorta di “fedina penale sporca”: è il Dna. Dunque, verosimilmente, tutte le persone che hanno la sclerosi multipla hanno una “predisposizione”, scritta nei geni, che, quando malauguratamente si combina con altri fattori ambientali ancora sconosciuti, dà la manifestazione della malattia. Questa predisposizione è condizionata dal famoso Mhc (Major Histocompatibility Complex), che è una specie di “codice fiscale” naturale che ciascuno di noi ha, e che, come un codice fiscale burocratico, è diverso da persona a persona. Ma qualcosa in comune c’è. O non esisterebbero i trapianti, le somiglianze tra parenti, l’identità dei gemelli “veri”, ecc. Ebbene, a tutt’oggi io, e coloro che mi curano, ignoriamo il mio Mhc.
Perché, se è così importante? Perché identificare l’Mhc comporta un esame del sangue costoso… Ma perbacco, costerà sempre meno delle migliaia di ricerche su migliaia di topi che conducono al quasi nulla: i topi si rimettono dalla malattia indotta (sono state usate anche le scimmie, a dire il vero, senza risvolti utili!) eppure i risultati, incoraggianti su altre specie, non sono trasferibili all’homo sapiens sapiens.
Ecco che mi piacerebbe essere utile a me stessa e ai posteri, futuri malati di sclerosi multipla: sarebbe opportuno identificare il mio “codice fiscale biologico” (l’Mhc), propormi di sottoporre a monitoraggio, continuo nel tempo, il mio stile di vita: ad esempio, abitudini alimentari, attività fisica, farmaci assunti, e cento altre cose, sottopormi con regolarità ad esami innocui (diagnostica per immagini, dalle risonanze agli ecocolordoppler, a prelievi di sangue ed eventualmente di liquor, ad esempio). Non solo non mi peserebbe prestarmi a seguire certe regole, monitorare me stessa e “accudirmi”, magari con un accurato “diario di bordo”- né peserebbe a molti altri pazienti, lo so – ma mi sentirei utile a me stessa e agli altri. Nessuna follia, dunque. Solo buona ed etica ricerca medica sui malati, i veri protagonisti. Io degli studi sugli animali mica mi fido.
Esistono già ricerche cliniche su pazienti umani, ma, a mio modesto avviso, ancora poco coordinate, poco gestite, frammentarie, ritenute secondarie alla ricerca su animali - che comporta, a dirla tutta, una grande produzione scientifica di lavori su prestigiose riviste e… aiuta la carriera dei ricercatori. E poi, ditemi, perché nessuno mi “usa”, se sono attenta, lucidamente consenziente, diligente ed affidabile e per di più con competenze scientifiche?
Delusa dal disinteresse nei confronti di Susy viva, ho cercato di consolarmi pensando al futuro (spero lontano): quando di me resterà la salma. Sì, avete inteso bene: ho deciso, molto tempo fa, di donare il mio cadavere all’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) affinché il mio sistema nervoso centrale difettoso (ma anche altri organi) sia indagato, studiato, osservato, analizzato, in rapporto anche con quello dei miei parenti stretti che, persuasi della bontà del gesto, hanno seguito il mio esempio, generoso verso i miei simili e pietoso verso chi non c’entra nulla (gli animali, topi, cani, gatti o scimmie che siano). Naturalmente il tutto, come un testamento, è revocabile in qualsiasi momento, se si cambiasse idea. A me non capiterà!
È su animali vivi che si pratica la sperimentazione animale. Si fanno nascere apposta. Fate caso al linguaggio comune giornalistico e televisivo: gesti, avvenimenti, fatti e persone è tutto “straordinario”. Un aggettivo inflazionato. Ebbene, io desidero qualcosa di assolutamente ordinario! Nulla trovo di eroico, strano, eccezionale o straordinario nel mio auspicio, nei miei propositi. Sono alla ricerca di qualcosa di buono, che sia buono, che produca risultati buoni. Per tutti. Senza vittime.
l'articolo completo lo trovate : www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/27/biologa-e-con-sclerosi-multipla-ecco-perche-dico-no-alla-vivisezione/308269/
La verità su menopausa e osteoporosi
Menopausa e Osteoporosi: leggi la storia che le accomuna (ovviamente sulla pelle delle ignare pazienti).....
UNA NUOVA MALATTIA
PER UNA NUOVA OPPORTUNITA’ DI MERCATO
PER UNA NUOVA OPPORTUNITA’ DI MERCATO
Negli ultimi 2 decenni varie campagne di informazione
dei media o bollettini informativi nelle sale d’attesa dei medici o
nelle farmacie hanno avvertito insistentemente sui rischi conseguenti la
riduzione della massa ossea.
Le donne, in particolare, sono bombardate dal messaggio che la guerra all’osteoporosi va combattuta:
Le donne, in particolare, sono bombardate dal messaggio che la guerra all’osteoporosi va combattuta:
a) con la terapia sostitutiva, cioè con gli ormoni
b) con l’aiuto di altri farmaci a base di fosfati che ricostruirebbero le ossa
c) con l’assunzione di integratori di calcio
d) con l’aumento del consumo di latte e latticini
In tal modo, una donna dovrebbe sentirsi al sicuro,
anche perchè – recitava l’ingannevole pubblicità – oltre a non dover
temere l’osteoporosi, non dovrà temere neanche per i rischi legati alle
malattie cardiovascolari.
Sfortunatamente le cose non stanno così, in quanto...
a) gli ormoni sintetici sono medicinali notoriamente cancerogeni
b) gli integratori di calcio non solo sono inefficaci nella ricostruzione ossea ma possono portare a deficienze di altri minerali, a rallentare la tiroide, a calcificare le arterie e a formare calcoli renali o biliari;
c) infine, è provato che i latticini costituiscono una causa determinante della perdita di massa ossea:
infatti, le nazioni con più elevato tasso di osteoporosi (Stati Uniti,
Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Danimarca, ecc.) sono le stesse nazioni
in cui il consumo di latte, latticini e integratori di calcio è più
elevato: basti pensare che solo negli Stati Uniti esistono oltre 20
milioni di persone affette da osteoporosi!
Inoltre, se noi chiedessimo ad un gruppo di donne
anziane affette da grave osteoporosi, finanche con fratture spontanee,
se nella loro vita non abbiano spesso utilizzato l’acqua del rubinetto
(notoriamente ricca di calcio) o non si siano costantemente nutrite con
latte, stracchino, mozzarella, parmigiano e altri vari latticini, tutte
quante risponderebbero affermativamente, e cioè che hanno sempre fatto
uso di latte e latticini.
E’ evidente, a questo punto, che il calcio non ha
nulla a che fare con l’osteoporosi anzi, per rafforzare ancora di più
questa consapevolezza, basti pensare che il vecchio motto "essere forte
come un toro" riguarda un animale che si nutre esclusivamente di erba!
Inoltre, nell’ultimo decennio è stato dimostrato che
l’eccesso di calcio rallenta significativamente la produzione di un
ormone tiroideo, la tiroxina; in altri termini, l’eccesso di calcio, con
il suo forte effetto anabolizzante, rallenta fortemente tiroide e
metabolismo.
E a chi si cerca di propinarlo?
Proprio a quelle donne che già sono in un periodo
della loro vita in cui il metabolismo diminuisce per conto suo e si
tende più facilmente ad ingrassare!
E oltre ai latticini e agli integratori, pure gli ormoni: una bella accoppiata, non c’è che dire!
E oltre ai latticini e agli integratori, pure gli ormoni: una bella accoppiata, non c’è che dire!
ESTROGENI: LE RADICI DELL’INGANNO
Sconfessata la prima bugia dell’industria
dell’osteoporosi sul latte e sul calcio, passiamo a sconfessare la
seconda e cioè che l’osteoporosi dipenda dalla carenza di ormoni
estrogeni.
Le radici di questo inganno risalgono agli anni ’60-’70, quando le statistiche iniziarono a dimostrare la pericolosità di questi ormoni: basti pensare alla pubblicazione nel 1975 di uno studio apparso sul prestigioso "New England Journal of Medicine" che dimostrò come il rischio di cancro dell’utero aumentava di 6-7 volte nelle donne che assumevano estrogeni e, anzi, le donne che li avevano utilizzati per più di 7 anni erano 14 volte più a rischio di cancro rispetto a quelle che non li usavano.
Nello stesso mese le cifre del California Cancer Registry confermavano le scoperte: fra le donne bianche sopra i 50 anni si era registrato tra il 1969 e il 1974 un incremento dell’80% del cancro dell’utero.
Le radici di questo inganno risalgono agli anni ’60-’70, quando le statistiche iniziarono a dimostrare la pericolosità di questi ormoni: basti pensare alla pubblicazione nel 1975 di uno studio apparso sul prestigioso "New England Journal of Medicine" che dimostrò come il rischio di cancro dell’utero aumentava di 6-7 volte nelle donne che assumevano estrogeni e, anzi, le donne che li avevano utilizzati per più di 7 anni erano 14 volte più a rischio di cancro rispetto a quelle che non li usavano.
Nello stesso mese le cifre del California Cancer Registry confermavano le scoperte: fra le donne bianche sopra i 50 anni si era registrato tra il 1969 e il 1974 un incremento dell’80% del cancro dell’utero.
LA MANIPOLAZIONE DEI DATI DA PARTE DELLE AZIENDE FARMACEUTICHE
Poichè, però, questo allarme aveva causato un forte
calo nelle vendite del farmaco, si doveva fare qualcosa per salvare un
mercato così redditizio.
Per questo, le aziende farmaceutiche, riconoscendo il
loro errore nel prescrivere gli estrogeni a donne con l’utero sano,
tentarono di rimediare aggiungendo agli estrogeni un progestinico
sintetico, sostenendo che in tal modo l’utero sarebbe stato protetto
dagli effetti cancerogeni degli estrogeni: nacque così l’attuale terapia
sostitutiva, sebbene non fossero stati condotti studi a lungo termine
per provare la sicurezza dell’accoppiata estrogeni-progestinico.
Però le donne continuavano a dubitare seriamente
dell’uso di ormoni sintetici e così le aziende farmaceutiche furono
costrette a trovare una strategia vincente per rendere allettanti gli
ormoni e questa strategia fu rappresentata dall’osteoporosi, malattia
che, all’epoca, quasi l’80% delle donne non aveva mai sentito nominare.
In tal modo si cercò di convincere le donne che
l’osteoporosi rappresentava una grave minaccia per la loro salute e se
ne additò la menopausa quale causa principale.
La pubblicità delle case farmaceutiche fu così forte
che le donne furono convinte che il rischio di cancro fosse
insignificante se paragonato ai benefici della terapia sostitutiva (che,
però, come vedremo non esistono, se si eccettuano le "caldane").
Infine, per poter giustificare ancora di più
l’osteoporosi quale malattia delle donne dovuta a carenza di estrogeni, i
maschi furono intenzionalmente trascurati, benché non certamente immuni
dall’osteoporosi stessa, semplicemente perché una loro implicazione nel
problema avrebbe sconfessato la definizione (o bugia) di base
dell’osteoporosi stessa, cioè di malattia legata alla menopausa e tutto
il castello economico creato ad arte dalle case farmaceutiche sarebbe
crollato.
Sfortunatamente per le donne, invece, la terapia
sostitutiva ha preso piede con tutti i rischi connessi poichè i fatti
dimostrano che tutto il protocollo terapeutico previsto è non solo
inutile ma anche dannoso.
Oltretutto chiunque abbia un minimo di intelligenza
può porsi le seguenti domande: innanzitutto, se fosse vero che
l’osteoporosi dipende dalla menopausa e relativa carenza di estrogeni,
tutte le donne di una certa età dovrebbero esserne affette!
E allora come mai tante di esse non hanno l’osteoporosi?
E, inoltre, come è possibile che oggi si ammalino di osteoporosi anche persone sotto i 30 anni?
Qualcuno potrebbe rispondere che è un fatto genetico (e vedremo che anche questo non è esatto), ma, anche se fosse, sarebbe un ottimo motivo in più per scartare la menopausa quale responsabile dell'osteoporosi.
E allora come mai tante di esse non hanno l’osteoporosi?
E, inoltre, come è possibile che oggi si ammalino di osteoporosi anche persone sotto i 30 anni?
Qualcuno potrebbe rispondere che è un fatto genetico (e vedremo che anche questo non è esatto), ma, anche se fosse, sarebbe un ottimo motivo in più per scartare la menopausa quale responsabile dell'osteoporosi.
LA VERITA’ SULL’OSTEOPOROSI
A questo punto chi legge sarà curioso di sapere quali
sono i motivi che provocano l’osteoporosi, visto che si dimostra che
non ha nulla a che vedere né con la menopausa, né con il calcio.
PERCHE' VIENE L'OSTEOPOROSI ?
Diamo dunque la spiegazione cercando di usare termini
semplici e comprensibili per tutti: il sangue degli esseri umani ha uno
specifico pH (il pH è il parametro con cui si misura il grado di
acidità o di basicità di una soluzione).
Il pH va da 0 a 14: sotto 7 diremo che la soluzione è acida, sopra i 7 diremo che è alcalina o basica.
Il pH del sangue è circa 7.30-7.40, quindi è
leggermente alcalino e non può spostarsi da questi valori nel modo più
assoluto (in medicina moderna la capacità di mantenere una condizione
stabile si chiama omeostasi).
Ma mettiamo che un soggetto in un giorno ingerisca un
bolo alimentare molto acido (ad es., pasta al pomodoro + carne +
insalata di pomodori + un dolce); questi alimenti acidi verranno
assimilati e potrebbero, almeno in teoria, abbassare il pH del sangue:
abbiamo però visto che ciò non è possibile perché il sangue deve avere
sempre un pH di 7.30-7.40.
Ci chiediamo allora quali meccanismi di difesa
intervengano nella salvaguardia dell’omeostasi sanguigna: ebbene,
l’organismo è dotato di riserve di sali minerali, detti "sistemi
tampone" costituiti principalmente dai sali di sodio, che costituiscono
la naturale riserva per tamponare l’eventuale eccesso di acidi.
Ma ammettiamo che quel soggetto fosse solito nutrirsi
giornalmente con alimenti a forte valenza acida: in tal caso, le
riserve di sali prima o poi potrebbero rivelarsi insufficienti a
tamponare l’acidità e allora cosa accade?
Purtroppo accade che l’organismo, essendo a corto di
riserve tampone e cioè di sali, sia costretto a procacciarsi queste
riserve anti-acide nell’unico posto rimasto: le ossa, ed ecco la
comparsa dell’osteoporosi!!!
info tratta da: www.broussais.it/sezione-26-sottosezione-105-id-127-in-costruzione.htm
info tratta da: www.broussais.it/sezione-26-sottosezione-105-id-127-in-costruzione.htm
Osteoporosi: screening
La valutazione della qualità dell’osso può essere effettuata misurando la densità ossea. Ciò può essre attuato con varie metodiche denominate Mineralometria Ossea Computerizzata (M.O.C.) o Densitometria Ossea.Tale valutazione si può fare con diverse tecniche. Esiste una densitometria eseguita mediante raggi X (chiamata anche DEXA) e più recentemente esiste la possibilità di eseguire la densitometria mediante ultrasuoni. La Densitometria ossea ad ultrasuoni, a differenza di altre metodiche, permette di valutare anche la qualità dell’osso (le altre tecniche misurano solo la quantità) e presenta il vantaggio di non utilizzare radiazioni, e quindi non comporta nessun rischio per il paziente.
Gli ultrasuoni sono delle onde sonore, del tutto innocue, già impiegate in altri settori della Medicina (ad esem-pio in gravidanza). Con la mineralometria ossea ad ultrasuoni si misura la velocità con cui un fascio di ultrasuoni attraversa l’osso. La sede di misurazione è il calcagno (tallone), in quanto si tratta di un osso con struttura analoga a quella delle vertebre, e che, come le vertebre, viene colpito per primo da un eventuale processo osteoporotico. Con tale esame si valuta se la densità ossea è normale, oppure se è lievemente ridotta (osteopenia), oppure se è francamente ridotta (osteoporosi). Tali informazioni sono fondamentali per impostare una terapia efficace (farmaci, alimentazione, stile di vita).
La densitometria ad ultrasuoni, considerata l’assoluta innocuità (assenza di radiazioni), la semplicità di esecu-zione e il basso costo, può essere raccomandata come indagine di screening di primo livello.
Ionorisonanza: La nuova Terapia nelle Malattie Neurologiche
La terapia di “IONORISONANZA SEQEX” è la sintesi dei più avanzati studi di biofisica effettuati negli ultimi decenni...
Per darne un’idea faremo un paio di esempi: pensiamo innanzitutto agli studi effettuati dalla NASA sugli astronauti che effettuavano voli nello spazio.
Si era notato che questi astronauti, al rientro dallo spazio, manifestavano una condizione di salute psico-fisica nettamente peggiore rispetto a quando erano
partiti.
Bisogna considerare, infatti, che gli astronauti, al momento della partenza sono perfettamente sani da tutti i punti di vista; uno dei grandi squilibri che si è visto, ad esempio, è stato il forte stato di “stress ossidativo” che essi manifestavano al loro ritorno; in altre parole essi partivano con bassi livelli di radicali liberi nel sangue e tornavano con livelli elevatissimi, in condizioni, appunto, di forte “STRESS OSSIDATIVO”.
Per questo furono intrapresi studi per capire il perché di tali fenomeni.
Gli studi si sono ben presto concentrati sull'elettromagnetismo in quanto le astronavi ne erano prive; in altre parole gli astronauti erano temporaneamente sottratti all'influsso del magnetismo terrestre e ciò poteva durare anche mesi.
Per capire l’importanza di questo concetto bisogna ricordare che la Terra possiede 2 poli magnetici (polo nord e polo sud) e che tra questi 2 poli esiste, ovviamente, un campo magnetico che avvolge tutta la Terra ( basta pensare alla bussola ); questo campo magnetico è di fondamentale importanza per tutte le forme di vita esistenti.
Per capire ancora meglio l'importanza dell'elettromagnetismo terrestre sugli organismi viventi basta pensare ad un esperimento effettuato anni fa da alcuni scienziati: sono state prese 30 cavie e messe in una stanza dotata di ogni confort (luce, cibo, acqua, temperatura ideali); altre 30 cavie sono state messe in un'altra stanza dotata degli stessi confort: l’unica differenza consisteva nel fatto che la seconda stanza era schermata, cioè era stata fatta diventare quella che in gergo biofisico si chiama "gabbia di Faraday".
In altre parole era stata esclusa dal campo elettromagnetico terrestre.
Ebbene, dopo alcuni mesi le 30 cavie messe in una stanza normale godevano tutte di ottima salute, mentre delle 30 cavie messe nella "gabbia di Faraday" alcune erano morte, mentre altre si erano ammalate di invecchiamento precoce o di tumore.
Questo esperimento dimostra inequivocabilmente quanto il campo elettromagnetico sia importante per la salute degli esseri viventi.
A questo punto è lecito porsi una domanda: quali sono gli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi biologici, cioè sull'organismo umano?
La risposta è ovvia: tutte le cellule del nostro organismo sono soggette a campi elettromagnetici che ne determinano lo stato di salute o di malattia: l’esempio delle cavie dimostra come le cellule possano ammalarsi o, al contrario, guarire in base ai campi elettromagnetici in cui esse vivono costantemente.
COS'E' IL SEQEX
La ionorisonanza ciclotronica endogena, chiamata seqex, si basa sui più moderni concetti di biofisica.
Il seqex, mediante debolissimi e precisi codici elettromagnetici, favorisce lo scambio ionico, inducendo il processo di ripolarizzazione delle membrane cellulari.
I campi magnetici pulsati influenzano positivamente molti sistemi enzimatici intracellulari e di membrana, modificandone la permeabilità e quindi migliorando lo scambio ionico ai due lati della membrana stessa.
Inoltre è dimostrato che i campi magnetici pulsati influenzano positivamente l'azione del sistema immunitario.
La terapia seqex viene effettuata, scegliendo tra i vari programmi a disposizione, in varie patologie, soprattutto nelle malattie neurologiche e in quelle croniche e degenerative.
I campi di applicazione ideali riguardano l'ambito de:
-le malattie dell'apparato osteo-mio-articolare (lombalgia, artrite, artrosi, sciatalgia, osteoporosi, discopatie vertebrali, fibromialgie, periartrite, coxartrosi, ecc.),
-le malattie neurologiche (sclerosi multipla, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, ecc.),
-le patologie vascolari (problemi circolatori, claudicatio intermittens, ecc.).
-le patologie degenerative
La terapia seqex, oltre a non avere alcun effetto collaterale, è la terapia ideale in tutte le patologie caratterizzate da scarsa energia e blocchi della reattività cellulare e immunologica.
COME SI EFFETTUA
Il “SEQEX” è una tecnica rivoluzionaria in quanto chi decide quale sia la terapia ideale è l’organismo stesso.
Infatti nel corso della prima visita il seqex invia al paziente (che è tranquillamente disteso su una stuoia elettromagnetica ) una serie di onde armoniche aventi varie frequenze e varie intensità.
Dopo l’erogazione di ciascuna onda, viene rilevata e visualizzata la risposta dell’organismo, cioè se l’organismo “gradisce” o meno quel segnale.
In ogni caso il seqex, dopo l’erogazione di ogni singola onda e dopo aver registrato il tipo di risposta dell’organismo stesso, cancella dal corpo quella informazione mediante il principio dell’inversione d’onda (o controfase).
Alla fine della prima visita il seqex avrà selezionato le frequenze migliori per quell’organismo che vengono poi memorizzate in una card che successivamente servirà ad erogare la terapia stessa.
Un ciclo di terapia seqex va dalle 10 alle 20 sedute, con frequenza bi o trisettimanale e, in base al tipo di patologia che si sta affrontando e ai risultati, la card potrà essere ritarata periodicamente.
Come si potrà facilmente capire, la ionorisonanza seqex, oltre ad essere basata sui più moderni principi della fisica, è anche scelta dall’organismo stesso e quindi rappresenta il tipo di terapia ideale in ogni tipo di patologia.
Nella sclerosi multipla, ovviamente, entra a far parte del METODO KOUSMINE INTEGRATO, rendendolo ancora più completo ed efficace.
CURARSI A CASA
Un’altra caratteristica innovativa del “seqex” è rappresentata dal fatto di potersi curare a casa, semplicemente noleggiando un lettore “seqex” per uso domestico.
Il “seqex fam” consente, infatti, grandissimi vantaggi: innanzitutto evita di doversi spostare 2–3 volte a settimana, specie a chi abita lontano dal Centro Medico di riferimento oppure non può spostarsi facilmente; l’altro grande vantaggio è che può essere effettuata tutti i giorni o anche 2 volte al giorno...
Infine consente un grande risparmio, specie se utilizzata da altri componenti della famiglia.
Infatti il “seqex familiare” è in grado di leggere fino a 4 card, per cui, nel periodo di noleggio, possono curarsi più persone della stessa famiglia al solo costo della programmazione della card.
Il set del lettore familiare comprende una valigetta con lettore e stuoia magnetica: in sede di prima visita viene memorizzata la card e poi trasferita direttamente sul lettore, in modo tale che a casa, ogni volta che si vorrà utilizzare, basterà solo premere “start”.
La terapia si effettua vestiti, tranquillamente distesi sulla stuoia magnetica.
E’ importante, infine, dire che esiste anche la possibilità di acquistare il lettore familiare e, ogni volta che dovesse servire, basterà programmare la card presso il Centro Medico di riferimento.
info di: www.kousmine.it/articolo.php?id=7
Per darne un’idea faremo un paio di esempi: pensiamo innanzitutto agli studi effettuati dalla NASA sugli astronauti che effettuavano voli nello spazio.
Si era notato che questi astronauti, al rientro dallo spazio, manifestavano una condizione di salute psico-fisica nettamente peggiore rispetto a quando erano
partiti.
Bisogna considerare, infatti, che gli astronauti, al momento della partenza sono perfettamente sani da tutti i punti di vista; uno dei grandi squilibri che si è visto, ad esempio, è stato il forte stato di “stress ossidativo” che essi manifestavano al loro ritorno; in altre parole essi partivano con bassi livelli di radicali liberi nel sangue e tornavano con livelli elevatissimi, in condizioni, appunto, di forte “STRESS OSSIDATIVO”.
Per questo furono intrapresi studi per capire il perché di tali fenomeni.
Gli studi si sono ben presto concentrati sull'elettromagnetismo in quanto le astronavi ne erano prive; in altre parole gli astronauti erano temporaneamente sottratti all'influsso del magnetismo terrestre e ciò poteva durare anche mesi.
Per capire l’importanza di questo concetto bisogna ricordare che la Terra possiede 2 poli magnetici (polo nord e polo sud) e che tra questi 2 poli esiste, ovviamente, un campo magnetico che avvolge tutta la Terra ( basta pensare alla bussola ); questo campo magnetico è di fondamentale importanza per tutte le forme di vita esistenti.
Per capire ancora meglio l'importanza dell'elettromagnetismo terrestre sugli organismi viventi basta pensare ad un esperimento effettuato anni fa da alcuni scienziati: sono state prese 30 cavie e messe in una stanza dotata di ogni confort (luce, cibo, acqua, temperatura ideali); altre 30 cavie sono state messe in un'altra stanza dotata degli stessi confort: l’unica differenza consisteva nel fatto che la seconda stanza era schermata, cioè era stata fatta diventare quella che in gergo biofisico si chiama "gabbia di Faraday".
In altre parole era stata esclusa dal campo elettromagnetico terrestre.
Ebbene, dopo alcuni mesi le 30 cavie messe in una stanza normale godevano tutte di ottima salute, mentre delle 30 cavie messe nella "gabbia di Faraday" alcune erano morte, mentre altre si erano ammalate di invecchiamento precoce o di tumore.
Questo esperimento dimostra inequivocabilmente quanto il campo elettromagnetico sia importante per la salute degli esseri viventi.
A questo punto è lecito porsi una domanda: quali sono gli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi biologici, cioè sull'organismo umano?
La risposta è ovvia: tutte le cellule del nostro organismo sono soggette a campi elettromagnetici che ne determinano lo stato di salute o di malattia: l’esempio delle cavie dimostra come le cellule possano ammalarsi o, al contrario, guarire in base ai campi elettromagnetici in cui esse vivono costantemente.
COS'E' IL SEQEX
La ionorisonanza ciclotronica endogena, chiamata seqex, si basa sui più moderni concetti di biofisica.
Il seqex, mediante debolissimi e precisi codici elettromagnetici, favorisce lo scambio ionico, inducendo il processo di ripolarizzazione delle membrane cellulari.
I campi magnetici pulsati influenzano positivamente molti sistemi enzimatici intracellulari e di membrana, modificandone la permeabilità e quindi migliorando lo scambio ionico ai due lati della membrana stessa.
Inoltre è dimostrato che i campi magnetici pulsati influenzano positivamente l'azione del sistema immunitario.
La terapia seqex viene effettuata, scegliendo tra i vari programmi a disposizione, in varie patologie, soprattutto nelle malattie neurologiche e in quelle croniche e degenerative.
I campi di applicazione ideali riguardano l'ambito de:
-le malattie dell'apparato osteo-mio-articolare (lombalgia, artrite, artrosi, sciatalgia, osteoporosi, discopatie vertebrali, fibromialgie, periartrite, coxartrosi, ecc.),
-le malattie neurologiche (sclerosi multipla, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, ecc.),
-le patologie vascolari (problemi circolatori, claudicatio intermittens, ecc.).
-le patologie degenerative
La terapia seqex, oltre a non avere alcun effetto collaterale, è la terapia ideale in tutte le patologie caratterizzate da scarsa energia e blocchi della reattività cellulare e immunologica.
COME SI EFFETTUA
Il “SEQEX” è una tecnica rivoluzionaria in quanto chi decide quale sia la terapia ideale è l’organismo stesso.
Infatti nel corso della prima visita il seqex invia al paziente (che è tranquillamente disteso su una stuoia elettromagnetica ) una serie di onde armoniche aventi varie frequenze e varie intensità.
Dopo l’erogazione di ciascuna onda, viene rilevata e visualizzata la risposta dell’organismo, cioè se l’organismo “gradisce” o meno quel segnale.
In ogni caso il seqex, dopo l’erogazione di ogni singola onda e dopo aver registrato il tipo di risposta dell’organismo stesso, cancella dal corpo quella informazione mediante il principio dell’inversione d’onda (o controfase).
Alla fine della prima visita il seqex avrà selezionato le frequenze migliori per quell’organismo che vengono poi memorizzate in una card che successivamente servirà ad erogare la terapia stessa.
Un ciclo di terapia seqex va dalle 10 alle 20 sedute, con frequenza bi o trisettimanale e, in base al tipo di patologia che si sta affrontando e ai risultati, la card potrà essere ritarata periodicamente.
Come si potrà facilmente capire, la ionorisonanza seqex, oltre ad essere basata sui più moderni principi della fisica, è anche scelta dall’organismo stesso e quindi rappresenta il tipo di terapia ideale in ogni tipo di patologia.
Nella sclerosi multipla, ovviamente, entra a far parte del METODO KOUSMINE INTEGRATO, rendendolo ancora più completo ed efficace.
CURARSI A CASA
Un’altra caratteristica innovativa del “seqex” è rappresentata dal fatto di potersi curare a casa, semplicemente noleggiando un lettore “seqex” per uso domestico.
Il “seqex fam” consente, infatti, grandissimi vantaggi: innanzitutto evita di doversi spostare 2–3 volte a settimana, specie a chi abita lontano dal Centro Medico di riferimento oppure non può spostarsi facilmente; l’altro grande vantaggio è che può essere effettuata tutti i giorni o anche 2 volte al giorno...
Infine consente un grande risparmio, specie se utilizzata da altri componenti della famiglia.
Infatti il “seqex familiare” è in grado di leggere fino a 4 card, per cui, nel periodo di noleggio, possono curarsi più persone della stessa famiglia al solo costo della programmazione della card.
Il set del lettore familiare comprende una valigetta con lettore e stuoia magnetica: in sede di prima visita viene memorizzata la card e poi trasferita direttamente sul lettore, in modo tale che a casa, ogni volta che si vorrà utilizzare, basterà solo premere “start”.
La terapia si effettua vestiti, tranquillamente distesi sulla stuoia magnetica.
E’ importante, infine, dire che esiste anche la possibilità di acquistare il lettore familiare e, ogni volta che dovesse servire, basterà programmare la card presso il Centro Medico di riferimento.
info di: www.kousmine.it/articolo.php?id=7
29/07/12
18 Dec 2011 - Monitoring MS Progression Using Powerful MRI To Track Iron Levels In The Brain
Monitoring MS Progression Using Powerful MRI To Track Iron Levels In The Brain
traduzione Google
Monitoraggio della Progressione SM Utilizzando la risonanza magnetica Potente Per tracciare i livelli di ferro nel cervello
I ricercatori medici dell'Università di Alberta hanno scoperto un nuovo modo di monitorare la progressione della sclerosi multipla (SM) in coloro che vivono con la malattia, utilizzando una potente forza tripla risonanza magnetica per rilevare traccia dei crescenti livelli di ferro nel tessuto cerebrale.
I ricercatori hanno scoperto che i livelli di ferro nei pazienti affetti da SM sono in aumento nelle aree di materia grigia del cervello che sono responsabili nella trasmissione dei messaggi. Elevati livelli di ferro in una specifica "area relè" sono stati osservati nei pazienti che hanno disabilità fisiche associate alla SM. Il ferro è molto importante per il normale funzionamento del cervello e la quantità di ferro è un sistema strettamente controllata dal tessuto cerebrale. La scoperta suggerisce che ci sia un problema con il sistema di controllo. Troppo ferro può essere tossico per le cellule cerebrali e alti livelli di ferro nel cervello sono stati associati a diverse malattie neurodegenerative. Ma ad oggi, nessun test sono stati in grado di quantificare o misurare ferro nel cervello vivente.
Alan Wilman e Blevins Gregg, co-principal investigatori presso la Facoltà di Medicina e Odontoiatria, ha utilizzato un nuovo metodo di risonanza magnetica per misurare quantitativamente ferro nel cervello per acquisire una migliore comprensione di ciò che la malattia sta facendo nel cervello di coloro che sono stati di recente diagnosi con SM. Ventidue persone con SM hanno preso parte allo studio, insieme a 22 persone che non hanno avuto la condizione.
"Nella SM, c'è un reale desiderio e la necessità di avere una buona idea dello stato e la progressione della malattia", dice Blevins, che è sia un neurologo praticante e un ricercatore della Divisione di Neurologia.
"Quando i pazienti con MS attualmente ottenere una risonanza magnetica, le misure tipiche guardiamo non può darci una buona idea della natura e lo stato della SM. Utilizzando questo nuovo metodo di risonanza magnetica i medici darebbe un nuovo modo di misurare l'efficacia di nuovi trattamenti per pazienti affetti da SM guardando l'impatto sui livelli di ferro. Questo apre l'idea di avere un nuovo biomarcatore, un nuovo modo di guardare alla malattia nel tempo, a guardare la malattia, vedere la progressione o la mancanza di progressione della malattia, un nuovo modo per tenere traccia esso. "
Wilman, ricercatore e fisico presso il Dipartimento di Ingegneria Biomedica, dice il nuovo metodo di RM può essere un indicatore migliore per la progressione della malattia rispetto strettamente guardando numero e la frequenza delle recidive.
"Questo è un nuovo indicatore quantitativo che ci dà un quadro più chiaro in MS. Possiamo capire meglio da dove i pazienti sono a. In termini di sintomi clinici, possono andare bene per un bel po ', poi hanno una ricaduta, allora si' re bene per un bel po '. Bene, il momento in cui essi sono effettivamente belle, essi non possono essere effettivamente bene.
"La malattia può progredire, ma non c'è proprio nessun marcatore in questo momento che dimostra che. Pensiamo che il biomarcatore che abbiamo scoperto potrebbe essere una risposta. Popolo della comunità di ricerca medica sono molto entusiasti di questa scoperta, perché potrebbe essere un nuovo modo di vedere la malattia. "
Il nuovo metodo risonanza magnetica, che utilizza una macchina che è 90.000 volte la forza del campo magnetico terrestre, i medici daranno maggiori dettagli e informazioni circa l'impatto della sclerosi multipla sul cervello, l'intuizione che i medici e ricercatori non avevano prima.
"Questo potrebbe essere un marker precoce della sclerosi multipla. Vorremmo vedere questo nuovo metodo utilizzato con tutti i pazienti che hanno la SM. In definitiva, questa scoperta è un grande esempio di ricerca traslazionale".
I ricercatori sperano di vedere questo nuovo metodo di risonanza magnetica utilizzata negli studi clinici per i pazienti con sclerosi multipla entro i prossimi 1-2 anni, poi a essere utilizzati regolarmente dai medici in cinque anni.
Blevins e Wilman sia di credito che i pazienti con sclerosi multipla che hanno preso parte allo studio. "Se i pazienti non erano così disposti ad aiutare, non abbiamo potuto fare niente di tutto questo", detto da Wilman.
******Medical researchers at the University of Alberta have discovered a new way to track the progression of multiple sclerosis (MS) in those living with the disease, by using a powerful, triple strength MRI to track increasing levels of iron found in brain tissue.
The researchers discovered that iron levels in MS patients are increasing in grey matter areas of the brain that are responsible for relaying messages. High iron levels in a specific "relay area" were noted in patients who had physical disabilities associated with MS. Iron is very important for normal function of the brain and the amount of iron is a tightly controlled system by the brain tissue. The discovery suggests there is a problem with the control system. Too much iron can be toxic to brain cells and high levels of iron in the brain have been associated with various neurodegenerative diseases. But to date, no tests have been able to quantify or measure iron in living brain.
Alan Wilman and Gregg Blevins, co-principal investigators from the Faculty of Medicine & Dentistry, used a new MRI method to quantitatively measure iron in the brain to gain a better understanding of what the disease is doing in the brains of those who were recently diagnosed with MS. Twenty-two people with MS took part in the study, along with 22 people who did not have the condition.
"In MS, there is a real desire and need to get a good idea of the state and progression of the disease," says Blevins, who is both a practising neurologist and a researcher from the Division of Neurology.
"When patients with MS currently get an MRI, the typical measures we look at may not give us a good idea of the nature and state of MS. Using this new MRI method would give physicians a new way to measure the effectiveness of new treatments for patients with MS by watching the impact on iron levels. This opens up the idea of having a new biomarker, a new way of looking at the disease over time, watching the disease, seeing the progression or lack of progression of the disease, a new way to track it."
Wilman, a researcher and physicist in the Department of Biomedical Engineering, says the new MRI method may be a better gauge for disease progression than strictly looking at number and frequency of relapses.
"This is a new quantitative marker that gives us more insight into MS. We can get a better handle on where patients are at. In terms of clinical symptoms, they may be fine for quite awhile, then they have a relapse, then they're fine for quite awhile. Well, the time when they are actually fine, they may not actually be alright.
"The disease may be progressing, but there is just no marker right now that shows that. We think the biomarker we have discovered could be an answer. People in the medical research community are very excited about this discovery, because it could be a new way of looking at the disease."
The new MRI method, which uses a machine that is 90,000 times the strength of the earth's magnetic field, will give physicians more detail and information about the impact of MS on the brain, insight that doctors and researchers didn't have before.
"This could be a very early marker of MS. We'd like to see this new method used with all patients who have MS. Ultimately, this discovery is a great example of translational research."
The researchers hope to see this new MRI method used in clinical trials for patients with MS within the next one to two years, then to be regularly used by physicians within five years.
Blevins and Wilman both credit the MS patients who took part in the study. "If patients weren't so willing to help, we couldn't do any of this," said Wilman.
**************
18 Dec 2011
traduzione Google
Monitoraggio della Progressione SM Utilizzando la risonanza magnetica Potente Per tracciare i livelli di ferro nel cervello
I ricercatori medici dell'Università di Alberta hanno scoperto un nuovo modo di monitorare la progressione della sclerosi multipla (SM) in coloro che vivono con la malattia, utilizzando una potente forza tripla risonanza magnetica per rilevare traccia dei crescenti livelli di ferro nel tessuto cerebrale.
I ricercatori hanno scoperto che i livelli di ferro nei pazienti affetti da SM sono in aumento nelle aree di materia grigia del cervello che sono responsabili nella trasmissione dei messaggi. Elevati livelli di ferro in una specifica "area relè" sono stati osservati nei pazienti che hanno disabilità fisiche associate alla SM. Il ferro è molto importante per il normale funzionamento del cervello e la quantità di ferro è un sistema strettamente controllata dal tessuto cerebrale. La scoperta suggerisce che ci sia un problema con il sistema di controllo. Troppo ferro può essere tossico per le cellule cerebrali e alti livelli di ferro nel cervello sono stati associati a diverse malattie neurodegenerative. Ma ad oggi, nessun test sono stati in grado di quantificare o misurare ferro nel cervello vivente.
Alan Wilman e Blevins Gregg, co-principal investigatori presso la Facoltà di Medicina e Odontoiatria, ha utilizzato un nuovo metodo di risonanza magnetica per misurare quantitativamente ferro nel cervello per acquisire una migliore comprensione di ciò che la malattia sta facendo nel cervello di coloro che sono stati di recente diagnosi con SM. Ventidue persone con SM hanno preso parte allo studio, insieme a 22 persone che non hanno avuto la condizione.
"Nella SM, c'è un reale desiderio e la necessità di avere una buona idea dello stato e la progressione della malattia", dice Blevins, che è sia un neurologo praticante e un ricercatore della Divisione di Neurologia.
"Quando i pazienti con MS attualmente ottenere una risonanza magnetica, le misure tipiche guardiamo non può darci una buona idea della natura e lo stato della SM. Utilizzando questo nuovo metodo di risonanza magnetica i medici darebbe un nuovo modo di misurare l'efficacia di nuovi trattamenti per pazienti affetti da SM guardando l'impatto sui livelli di ferro. Questo apre l'idea di avere un nuovo biomarcatore, un nuovo modo di guardare alla malattia nel tempo, a guardare la malattia, vedere la progressione o la mancanza di progressione della malattia, un nuovo modo per tenere traccia esso. "
Wilman, ricercatore e fisico presso il Dipartimento di Ingegneria Biomedica, dice il nuovo metodo di RM può essere un indicatore migliore per la progressione della malattia rispetto strettamente guardando numero e la frequenza delle recidive.
"Questo è un nuovo indicatore quantitativo che ci dà un quadro più chiaro in MS. Possiamo capire meglio da dove i pazienti sono a. In termini di sintomi clinici, possono andare bene per un bel po ', poi hanno una ricaduta, allora si' re bene per un bel po '. Bene, il momento in cui essi sono effettivamente belle, essi non possono essere effettivamente bene.
"La malattia può progredire, ma non c'è proprio nessun marcatore in questo momento che dimostra che. Pensiamo che il biomarcatore che abbiamo scoperto potrebbe essere una risposta. Popolo della comunità di ricerca medica sono molto entusiasti di questa scoperta, perché potrebbe essere un nuovo modo di vedere la malattia. "
Il nuovo metodo risonanza magnetica, che utilizza una macchina che è 90.000 volte la forza del campo magnetico terrestre, i medici daranno maggiori dettagli e informazioni circa l'impatto della sclerosi multipla sul cervello, l'intuizione che i medici e ricercatori non avevano prima.
"Questo potrebbe essere un marker precoce della sclerosi multipla. Vorremmo vedere questo nuovo metodo utilizzato con tutti i pazienti che hanno la SM. In definitiva, questa scoperta è un grande esempio di ricerca traslazionale".
I ricercatori sperano di vedere questo nuovo metodo di risonanza magnetica utilizzata negli studi clinici per i pazienti con sclerosi multipla entro i prossimi 1-2 anni, poi a essere utilizzati regolarmente dai medici in cinque anni.
Blevins e Wilman sia di credito che i pazienti con sclerosi multipla che hanno preso parte allo studio. "Se i pazienti non erano così disposti ad aiutare, non abbiamo potuto fare niente di tutto questo", detto da Wilman.
******Medical researchers at the University of Alberta have discovered a new way to track the progression of multiple sclerosis (MS) in those living with the disease, by using a powerful, triple strength MRI to track increasing levels of iron found in brain tissue.
The researchers discovered that iron levels in MS patients are increasing in grey matter areas of the brain that are responsible for relaying messages. High iron levels in a specific "relay area" were noted in patients who had physical disabilities associated with MS. Iron is very important for normal function of the brain and the amount of iron is a tightly controlled system by the brain tissue. The discovery suggests there is a problem with the control system. Too much iron can be toxic to brain cells and high levels of iron in the brain have been associated with various neurodegenerative diseases. But to date, no tests have been able to quantify or measure iron in living brain.
Alan Wilman and Gregg Blevins, co-principal investigators from the Faculty of Medicine & Dentistry, used a new MRI method to quantitatively measure iron in the brain to gain a better understanding of what the disease is doing in the brains of those who were recently diagnosed with MS. Twenty-two people with MS took part in the study, along with 22 people who did not have the condition.
"In MS, there is a real desire and need to get a good idea of the state and progression of the disease," says Blevins, who is both a practising neurologist and a researcher from the Division of Neurology.
"When patients with MS currently get an MRI, the typical measures we look at may not give us a good idea of the nature and state of MS. Using this new MRI method would give physicians a new way to measure the effectiveness of new treatments for patients with MS by watching the impact on iron levels. This opens up the idea of having a new biomarker, a new way of looking at the disease over time, watching the disease, seeing the progression or lack of progression of the disease, a new way to track it."
Wilman, a researcher and physicist in the Department of Biomedical Engineering, says the new MRI method may be a better gauge for disease progression than strictly looking at number and frequency of relapses.
"This is a new quantitative marker that gives us more insight into MS. We can get a better handle on where patients are at. In terms of clinical symptoms, they may be fine for quite awhile, then they have a relapse, then they're fine for quite awhile. Well, the time when they are actually fine, they may not actually be alright.
"The disease may be progressing, but there is just no marker right now that shows that. We think the biomarker we have discovered could be an answer. People in the medical research community are very excited about this discovery, because it could be a new way of looking at the disease."
The new MRI method, which uses a machine that is 90,000 times the strength of the earth's magnetic field, will give physicians more detail and information about the impact of MS on the brain, insight that doctors and researchers didn't have before.
"This could be a very early marker of MS. We'd like to see this new method used with all patients who have MS. Ultimately, this discovery is a great example of translational research."
The researchers hope to see this new MRI method used in clinical trials for patients with MS within the next one to two years, then to be regularly used by physicians within five years.
Blevins and Wilman both credit the MS patients who took part in the study. "If patients weren't so willing to help, we couldn't do any of this," said Wilman.
**************
18 Dec 2011
Sclerosi multipla, al via la sperimentazione clinica del “metodo Zamboni” – Il Fatto Quotidiano
Sclerosi multipla, al via la sperimentazione clinica del “metodo Zamboni” – Il Fatto Quotidiano
Si parte con la sperimentazione clinica. Il progetto è quello che va sotto il nome di Brave Dreams (acronimo di Brain venous drainage exploited against multiple sclerosis) e, sotto il coordinamento del chirurgo vascolare Paolo Zamboni dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara, il suo scopo è quello di verificare gli effetti sulla sclerosi multipla intervenendo per rimuovere le ostruzioni sanguigne determinate dall’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (Ccsvi).
L’annuncio ufficiale è stato dato da Carlo Lusenti, assessore regionale alla salute, e con la selezione dei pazienti si partirà a metà della prossima settimana, iniziando nei centri dell’Emilia Romagna che hanno aderito alla sperimentazione, finanziata con 2 milioni e 900 mila dalla Regione stessa lo scorso febbraio. Tra i centri, oltre al presidio ferrarese dove opera il clinico che ha dato il nome alla tecnica di intervento, il “metodo Zamboni”, c’è l’Usl di Bologna. Dopodiché sarà la volta dell’azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania e delle 14 strutture su 20 che hanno già ricevuto il nulla osta dai comitati etici dopo l’esame del protocollo la cui stesura è stata coordinata dall’agenzia sanitaria e sociale dell’Emilia-Romagna.
Per quanto riguarda l’inizio della sperimentazione, che era attesa a settimane, l’ok definitivo è giunto dopo che il ministero della Salute si è pronunciato in senso positivo lo scorso 17 luglio. A dare il contributo finale affinché ciò avvenisse un precedente parere, quello della commissione unica dispositivi medici del dicastero, chiamata a esprimersi sull’uso dei palloncini da angioplastica previsti dal protocollo Brave Dreams. A questo punto, dunque, si passerà alla verifica dell’intuizione da cui era partito il professor Zamboni, quando aveva cominciato a studiare la malformazione che impedisce il deflusso del sangue dal cervello e che può portare a ristagni ematici all’interno del cranio con conseguente accumulo di tossine.
La patologia – è stato riscontrato poi anche in centri clinici diversi da quello di Ferrara (tra questi, la Fondazione Don Gnocchi di Milano, l’ospedale Sant’Antonio di Padova e il policlinico Vittorio Emanuele di Catania, oltre a ospedali stranieri) – può presentarsi indipendentemente dalla sclerosi multipla. Ma, sempre secondo i ricercatori che hanno seguito il metodo Zamboni fin dal training ad hoc a cui i medici vascolari vengono sottoposti, i pazienti affetti dalla malattia neurologica degenerativa avrebbero la Cssvi con una frequenza che va oltre il 90%.
Per il clinico ferrarese e per i colleghi che hanno adottato le sue tecniche sia diagnostiche (come l’ecocolor dopler e la flebografia) che terapeutiche (la rimozione delle ostruzioni), esisterebbe la possibilità di beneficiare di effetti positivi sulla sclerosi multipla adottando un approccio vascolare, oltre a quello tradizionale di tipo neurologico. In altre parole, correggendo i problemi di deflusso del sangue nelle vene che non inviano correttamente sangue a polmoni e cuore, si possono ottenere miglioramenti, tra cui miglior qualità di vita, recupero del tono muscolare e almeno parziale ripresa dell’attività fisica.
Una sessantina per centro medico il numero dei pazienti che entrerà nel programma di sperimentazione, che costerà circa 3.500 euro a paziente. La selezione verrà fatta in base alla storia clinica dei candidati, che non devono aver superato uno specifico livello di gravità nella progressione della sclerosi multipla. E ognuno di questi sarà trattato per un anno, al termine del quale si aprirà la fase – dai 18 ai 24 mesi – durante la quale i risultati saranno relazionati alla comunità scientifica.
Si tratta di un momento atteso anche da una onlus, la Ccsvi nella sclerosi multipla, che ha come presidente onorario Nicoletta Mantovani e che nel corso degli ultimi anni ha appoggiato le ricerche di Paolo Zamboni attivandosi sia presso le istituzioni che presso i privati per raccogliere pareri e finanziamenti. Ancora di recente Gisella Pandolfo, presidente nazionale dell’associazione, aveva chiesto che si partisse quanto prima con la sperimentazione per verificare le correlazioni tra le due malattie. E aveva aggiunto: “Noi questo affermiamo e vogliamo: che si prenda atto della ricerca internazionale fin qui compiuta e in continua evoluzione, in un confronto sereno e serio. Ricordiamo che i malati di sclerosi multipla sono oltre 60 mila in Italia e 2 milioni e mezzo nel mondo. Per la maggior parte giovani adulti, due su tre donne”.
Si parte con la sperimentazione clinica. Il progetto è quello che va sotto il nome di Brave Dreams (acronimo di Brain venous drainage exploited against multiple sclerosis) e, sotto il coordinamento del chirurgo vascolare Paolo Zamboni dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara, il suo scopo è quello di verificare gli effetti sulla sclerosi multipla intervenendo per rimuovere le ostruzioni sanguigne determinate dall’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (Ccsvi).
L’annuncio ufficiale è stato dato da Carlo Lusenti, assessore regionale alla salute, e con la selezione dei pazienti si partirà a metà della prossima settimana, iniziando nei centri dell’Emilia Romagna che hanno aderito alla sperimentazione, finanziata con 2 milioni e 900 mila dalla Regione stessa lo scorso febbraio. Tra i centri, oltre al presidio ferrarese dove opera il clinico che ha dato il nome alla tecnica di intervento, il “metodo Zamboni”, c’è l’Usl di Bologna. Dopodiché sarà la volta dell’azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania e delle 14 strutture su 20 che hanno già ricevuto il nulla osta dai comitati etici dopo l’esame del protocollo la cui stesura è stata coordinata dall’agenzia sanitaria e sociale dell’Emilia-Romagna.
Per quanto riguarda l’inizio della sperimentazione, che era attesa a settimane, l’ok definitivo è giunto dopo che il ministero della Salute si è pronunciato in senso positivo lo scorso 17 luglio. A dare il contributo finale affinché ciò avvenisse un precedente parere, quello della commissione unica dispositivi medici del dicastero, chiamata a esprimersi sull’uso dei palloncini da angioplastica previsti dal protocollo Brave Dreams. A questo punto, dunque, si passerà alla verifica dell’intuizione da cui era partito il professor Zamboni, quando aveva cominciato a studiare la malformazione che impedisce il deflusso del sangue dal cervello e che può portare a ristagni ematici all’interno del cranio con conseguente accumulo di tossine.
La patologia – è stato riscontrato poi anche in centri clinici diversi da quello di Ferrara (tra questi, la Fondazione Don Gnocchi di Milano, l’ospedale Sant’Antonio di Padova e il policlinico Vittorio Emanuele di Catania, oltre a ospedali stranieri) – può presentarsi indipendentemente dalla sclerosi multipla. Ma, sempre secondo i ricercatori che hanno seguito il metodo Zamboni fin dal training ad hoc a cui i medici vascolari vengono sottoposti, i pazienti affetti dalla malattia neurologica degenerativa avrebbero la Cssvi con una frequenza che va oltre il 90%.
Per il clinico ferrarese e per i colleghi che hanno adottato le sue tecniche sia diagnostiche (come l’ecocolor dopler e la flebografia) che terapeutiche (la rimozione delle ostruzioni), esisterebbe la possibilità di beneficiare di effetti positivi sulla sclerosi multipla adottando un approccio vascolare, oltre a quello tradizionale di tipo neurologico. In altre parole, correggendo i problemi di deflusso del sangue nelle vene che non inviano correttamente sangue a polmoni e cuore, si possono ottenere miglioramenti, tra cui miglior qualità di vita, recupero del tono muscolare e almeno parziale ripresa dell’attività fisica.
Una sessantina per centro medico il numero dei pazienti che entrerà nel programma di sperimentazione, che costerà circa 3.500 euro a paziente. La selezione verrà fatta in base alla storia clinica dei candidati, che non devono aver superato uno specifico livello di gravità nella progressione della sclerosi multipla. E ognuno di questi sarà trattato per un anno, al termine del quale si aprirà la fase – dai 18 ai 24 mesi – durante la quale i risultati saranno relazionati alla comunità scientifica.
Si tratta di un momento atteso anche da una onlus, la Ccsvi nella sclerosi multipla, che ha come presidente onorario Nicoletta Mantovani e che nel corso degli ultimi anni ha appoggiato le ricerche di Paolo Zamboni attivandosi sia presso le istituzioni che presso i privati per raccogliere pareri e finanziamenti. Ancora di recente Gisella Pandolfo, presidente nazionale dell’associazione, aveva chiesto che si partisse quanto prima con la sperimentazione per verificare le correlazioni tra le due malattie. E aveva aggiunto: “Noi questo affermiamo e vogliamo: che si prenda atto della ricerca internazionale fin qui compiuta e in continua evoluzione, in un confronto sereno e serio. Ricordiamo che i malati di sclerosi multipla sono oltre 60 mila in Italia e 2 milioni e mezzo nel mondo. Per la maggior parte giovani adulti, due su tre donne”.
Copaxone effetti indesiderati
In tutti gli studi clinici come reazioni avverse più frequenti sono
state osservate reazioni nella sede dell’iniezione che sono state
segnalate dalla maggior parte dei pazienti trattati con Copaxone. In
studi controllati la percentuale di pazienti che hanno riferito queste
reazioni, almeno una volta, era più elevata dopo trattamento con
Copaxone (82,5%) rispetto a quanto segnalato dopo iniezioni di un
placebo (48%). Le reazioni segnalate più di frequente nella sede
dell’iniezione erano: eritema, dolore, presenza di masse, prurito,
edema, infiammazione e ipersensibilità.
Come reazione immediata dopo l’iniezione è stata descritta una reazione associata ad almeno uno o più dei seguenti sintomi:
vasodilatazione,
dolore toracico,
dispnea,
palpitazione o tachicardia.
Questa reazione può verificarsi entro alcuni minuti dopo l’iniezione di Copaxone. Almeno un componente di questa reazione immediata dopo l’iniezione è stato segnalato almeno una volta dal 41% dei pazienti trattati con Copaxone rispetto al 20% del gruppo trattato con placebo.
Tutte le reazioni avverse segnalate con maggior frequenza nei pazienti trattati con Copaxone rispetto ai pazienti trattati con placebo vengono presentate nella tabella riportata qui di seguito. Q
uesti dati sono stati tratti da tre studi clinici-pivot, in doppio cieco, controllati con placebo, eseguiti in 269 pazienti affetti da SM trattati con Copaxone e in 271 pazienti affetti da SM trattati con placebo fino a 35 mesi.
**
Tuttavia, Copaxone non ha avuto effetti benefici sulla progressione dell’invalidità nei pazienti affetti da SM recidivante con remissione.
Non vi sono prove che il trattamento con Copaxone abbia un effetto sulla durata o sulla gravità delle recidive.
Come reazione immediata dopo l’iniezione è stata descritta una reazione associata ad almeno uno o più dei seguenti sintomi:
vasodilatazione,
dolore toracico,
dispnea,
palpitazione o tachicardia.
Questa reazione può verificarsi entro alcuni minuti dopo l’iniezione di Copaxone. Almeno un componente di questa reazione immediata dopo l’iniezione è stato segnalato almeno una volta dal 41% dei pazienti trattati con Copaxone rispetto al 20% del gruppo trattato con placebo.
Tutte le reazioni avverse segnalate con maggior frequenza nei pazienti trattati con Copaxone rispetto ai pazienti trattati con placebo vengono presentate nella tabella riportata qui di seguito. Q
uesti dati sono stati tratti da tre studi clinici-pivot, in doppio cieco, controllati con placebo, eseguiti in 269 pazienti affetti da SM trattati con Copaxone e in 271 pazienti affetti da SM trattati con placebo fino a 35 mesi.
**
Tuttavia, Copaxone non ha avuto effetti benefici sulla progressione dell’invalidità nei pazienti affetti da SM recidivante con remissione.
Non vi sono prove che il trattamento con Copaxone abbia un effetto sulla durata o sulla gravità delle recidive.
Attualmente non è stata dimostrata l’utilità di Copaxone in pazienti affetti dalla malattia progressiva primaria o secondaria.
***********
Vacanze Accessibili
L’associazione Di.Vo. è particolarmente attiva nell’ambito del turismo
accessibile, termine comunemente utilizzato per indicare l’insieme di
strutture, infrastrutture e sistemi organizzativi destinato a facilitare
l’attività turistica delle persone con esigenze particolari.
Purtroppo molte famiglie in cui sono presenti disabili e anziani devono
limitare la loro attività turistica per le notevoli barriere e
difficoltà da superare: prime fra tutte la scarsa conoscenza delle
opportunità offerte dal turismo accessibile, la mancanza di persone
competenti in materia e di strumenti informativi indispensabili alla
programmazione degli itinerari e dei soggiorni.
Dalla necessità
di dare una risposta positiva alle richieste di turismo più accessibile
a tutti, è nata l’idea per mettere la parola fine alle numerose
limitazioni e discriminazioni subite dai disabili per le loro vacanze.
Viaggi a Lourdes
Puntiamo a fornire una compagnia qualificata con la quale intraprendere
serenamente l’esperienza di un viaggio a Lourdes e poterne condividere
tutte le emozioni. Perché non poter soddisfare il desiderio di
partecipare alla vacanza dei sogni?
Punto di forza del servizio
è quello di non fornire il solito accompagnatore professionista ma un
amico qualificato, pronto anch’esso a divertirsi in compagnia. Soggiorni
per qualsiasi handicap psichico (come l’autismo) e motorio, anche in
carrozzina, con pulmino attrezzato, albergo accessibile e spiaggia con
attrezzature per disabili.
Vacanze estive: mare e montagna
Per chi è disabile o per chi ha un familiare disabile, la scelta del
luogo dove trascorrere la vacanza estiva si presenta tutt’altro che
semplice. Non si tratta solo di trovare la località che più interessa,
ma di cercare una soluzione compatibile con i problemi legati
all’handicap.
Per quanto riguarda il mare la località prescelta
è Cesenatico sulla Riviera romagnola. La sistemazione è in hotel 3
stelle in camere multiple (singole su richiesta secondo disponibilità)
con trattamento in pensione completa con bevande. Sono presenti camere
attrezzate con ausili per disabili, ascensore idoneo per carrozzelle e
ingressi e spazi interni tutti accessibili. Durante i soggiorni viene
organizzato un programma di attività all’aria aperta con sport ed
escursioni e momenti ricreativi serali. Nel caso di Cesenatico vengono
messi a disposizione anche un parco, una piscina, una palestra e una
spiaggia privata.
E’ possibile anche optare per un soggiorno in
campagna presso centri agrituristici in Toscana e in Umbria. In tutti i
casi è prevista la possibilità di disporre di assistenza
individualizzata con operatori di sostegno qualificati e assistenza
infermieristica.
www.associazionedivo.org/ attivita/vacanze-accessibili/
Fibrosi cistica, Ue approva ivacaftor
27 luglio 2012 |
La Commissione Europea ha approvato ivacaftor per i pazienti affetti da fibrosi cistica (FC) di età superiore ai 6 anni che presentano almeno una copia della mutazione G551D nel gene regolatore della conduttanza transmembrana della fibrosi cistica (CFTR). Questi pazienti costituiscono circa il 4-5% del totale. Sviluppato dall’americana Vertex (l’azienda del telaprevir) il farmaco sarà messo in commercio con il marchio Kalydeco.
Si stima che in Europa i pazienti con questa mutazione siano circa 1100. In Usa il loro numero è circa lo stesso, circa 1200, pari al 4% dei circa 30mila malati di fibrosi cistica. Circa 200 però hanno meno di 6 anni e per loro il farmaco non è attualmente indicato. In Usa il costo del farmaco è molto elevato: 294mila dollari l'anno. Vedremo se in Europa sarà più ridotto
L’approvazione di ivacaftor si basa sui risultati degli studi di fase III STRIVE e ENVISION in cui i pazienti con FC, aventi almeno una copia della mutazione G551D di CFTR, trattati con il farmaco, hanno mostrato un miglioramento rapido, significativo e sostenuto di alcune misure della patologia, inclusa la funzione polmonare. Gli eventi avversi più frequenti con il medicinale erano da lievi a moderati ma non gravi.
Ivacaftor è un farmaco attivo per via orale che va assunto due volte al giorno, disegnato per aumentare il tempo di apertura dei canali CFTR. Negli studi in vitro, la molecola si è dimostrata efficace nell’aumentare l'attività di trasporto del cloro della proteina CFTR con la mutazione G551D.
Il farmaco è stato sviluppato congiuntamente da Vertex Pharmaceuticals e dalla Cystic Fibrosis Foundation. Quest'ultima, che per lo sviluppo del farmaco ha investito circa 75 milioni di dollari, riceverà delle royalties sulle vendite del prodotto. si tratta di uno dei primi esempi di come un'associazione di pazienti possa avere un ruolo pro attivo per lo sviluppo di un farmaco, una forma di collaborazione nota come “venture philanthropy.”
Fibrosi cistica
La FC colpisce circa 70mila persone in tutto il mondo e causa una perdita progressiva della funzionalità polmonare. A oggi non esiste una cura e i trattamenti attualmente disponibili sono diretti contro gli effetti secondari della compromissione della funzionalità della proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator), un canale ionico deputato soprattutto a trasportare il cloro attraverso le membrane cellulari a livello della membrana apicale delle cellule epiteliali delle cellule di vie aeree, del pancreas, dell'intestino, delle ghiandole sudoripare, delle ghiandole salivari e dei vasi deferenti.
La fibrosi cistica è causata da mutazioni di questa proteina (se ne conoscono più di 1.000) che portano a uno squilibrio ionico legato a un'alterazione della secrezione da parte delle cellule epiteliali degli ioni cloro e, di conseguenza, a un maggior riassorbimento di sodio e acqua dalle pareti delle vie aeree.
In particolare, la mutazione missenso G551D influenza la funzione dei canali CFTR presenti sulla superficie cellulare ed è presente nel 4-5% dei pazienti con fibrosi cistica. Nei pazienti che hanno la mutazione G551D, l’aminoacido glicina è sostituito dall’acido aspartico.
Come conseguenza dell'alterazione genetica, le ghiandole coinvolte secernono un muco denso e vischioso e quindi poco scorrevole. Negli organi interessati, le secrezioni mucose, essendo anormalmente viscide, determinano un'ostruzione dei dotti principali, provocando l'insorgenza di gran parte delle manifestazioni cliniche tipiche della malattia, come la comparsa di infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza pancreatica, steatorrea, stati di malnutrizione, cirrosi epatica, ostruzione intestinale e infertilità maschile; è una malattia molto grave con un'aspettativa di vita di circa 37 anni (dati della Cystic Fibrosis Foundation).
INFO DI http://www.pharmastar.it/index.html?cat=3&id=8755
27/07/12
La sindrome di Habba
Si tratta di un'associazione tra un disfunzionale, cistifellea intatto e diarrea cronica. I pazienti con la sindrome presentano vari gradi di diarrea cronica (tre o più movimenti intestinali al giorno ). La diarrea è classicamente descritta come frequenza di diarrea acquosa e potrebbe essere esplosiva, a volte può anche essere associata con grande urgenza e persino incontinenza. La
diarrea è principalmente associata dopo i pasti .A causa di questa
urgenza, i pazienti di solito dovunque vadano sono costretti a cercare
un bagno .Questi sintomi sono di solito molto dolorosi e possono causare
imbarazzo sociale e delle interferenze con le attività quotidiane. Alcuni
pazienti sono addirittura costretti a restare rinchiusi in casa per
paura di imbarazzo sociale, possono perdere peso perché hanno paura di
mangiare per la diarrea.
La diarrea è raramente notturna, a meno che il paziente aveva un pasto in ritardo nei pressi di andare a dormire.
E non è associato con il sangue, a meno che non proviene da irritazione della zona rettale a seguito di movimenti intestinali frequenti. Dr. Habba ha scoperto che questo tipo di diarrea è associata a disfunzioni della colecisti.
La diarrea è raramente notturna, a meno che il paziente aveva un pasto in ritardo nei pressi di andare a dormire.
E non è associato con il sangue, a meno che non proviene da irritazione della zona rettale a seguito di movimenti intestinali frequenti. Dr. Habba ha scoperto che questo tipo di diarrea è associata a disfunzioni della colecisti.
C'è dolore associato a questa sindrome?
Il pazienti non avrebbero necessariamente dolore addominale correlati alla malattia della colecisti. Potrebbe essere completamente libero da ogni dolore addominale. La funzione della colecisti è solo determinata da un anomalo radio-test nucleare che studia la funzione della colecisti (HIDA / DISIDA scansione con iniezione CCK). Questo test non è invasivo e può essere eseguito in tutti i centri radiologici o ospedali ben attrezzati
Se l’ecografia della colecisti è normale, avrei potuto ancora avere la sindrome?
In realtà, la maggior parte dei pazienti con la sindrome hanno ecografia normale della cistifellea. Tuttavia, la presenza di calcoli biliari ecografia, non esclude la diagnosi della sindrome.
Il pazienti non avrebbero necessariamente dolore addominale correlati alla malattia della colecisti. Potrebbe essere completamente libero da ogni dolore addominale. La funzione della colecisti è solo determinata da un anomalo radio-test nucleare che studia la funzione della colecisti (HIDA / DISIDA scansione con iniezione CCK). Questo test non è invasivo e può essere eseguito in tutti i centri radiologici o ospedali ben attrezzati
Se l’ecografia della colecisti è normale, avrei potuto ancora avere la sindrome?
In realtà, la maggior parte dei pazienti con la sindrome hanno ecografia normale della cistifellea. Tuttavia, la presenza di calcoli biliari ecografia, non esclude la diagnosi della sindrome.
Quali sono i sintomi di questa sindrome?
1. Diarrea post-prandiale (che varia da urgenza semplice da incontinenza) e la paura di mangiare per evitare la diarrea
2. Cistifellea disfunzionale come determinato dal test radiologico
3. La mancata risposta alla terapia standard per "IBS"
4. Reazione favorevole agli agenti acidi biliari vincolante
Cosa si deve fare se avete questi sintomi?
Consultare il medico primario o gastroenterologo.
Un lavoro di base a dei sintomi deve essere fatto, come analisi delle feci, il lavoro di laboratorio, radiografie e colonscopia. Ulteriori test per escludere condizioni di malassorbimento (sprue celiaca, ecc), malattie infiammatorie intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn) e il cancro deve essere effettuata prima che la diagnosi di sindrome può essere confermata.
Questi test devono essere fatti per escludere tutte le altre condizioni trattabili prima di iniziare la terapia per la Sindrome Habba.
Qual è il trattamento per la sindrome?
Dal momento che la patologia di base della sindrome è inadeguato bile nel tratto gastrointestinale relative a una colecisti disfunzionale, la terapia serve a modificare la costituzione di acidi biliari per diminuire l'effetto diarroiche di questi acidi biliari.
Agenti che legano gli acidi biliari sono stati provati da molti anni e sono stati efficaci sui pazienti .
Questi farmaci dovrebbero essere usati ½ ora prima dei pasti per legare gli acidi biliari per diventare efficaci. Nella pubblicazione originale della sindrome, colestiramina è stato utilizzato con una risposta eccellente. Tuttavia, risultati simili possono essere ottenuti con altri agenti, come il colestipolo e Colesevelam.
1. Diarrea post-prandiale (che varia da urgenza semplice da incontinenza) e la paura di mangiare per evitare la diarrea
2. Cistifellea disfunzionale come determinato dal test radiologico
3. La mancata risposta alla terapia standard per "IBS"
4. Reazione favorevole agli agenti acidi biliari vincolante
Cosa si deve fare se avete questi sintomi?
Consultare il medico primario o gastroenterologo.
Un lavoro di base a dei sintomi deve essere fatto, come analisi delle feci, il lavoro di laboratorio, radiografie e colonscopia. Ulteriori test per escludere condizioni di malassorbimento (sprue celiaca, ecc), malattie infiammatorie intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn) e il cancro deve essere effettuata prima che la diagnosi di sindrome può essere confermata.
Questi test devono essere fatti per escludere tutte le altre condizioni trattabili prima di iniziare la terapia per la Sindrome Habba.
Qual è il trattamento per la sindrome?
Dal momento che la patologia di base della sindrome è inadeguato bile nel tratto gastrointestinale relative a una colecisti disfunzionale, la terapia serve a modificare la costituzione di acidi biliari per diminuire l'effetto diarroiche di questi acidi biliari.
Agenti che legano gli acidi biliari sono stati provati da molti anni e sono stati efficaci sui pazienti .
Questi farmaci dovrebbero essere usati ½ ora prima dei pasti per legare gli acidi biliari per diventare efficaci. Nella pubblicazione originale della sindrome, colestiramina è stato utilizzato con una risposta eccellente. Tuttavia, risultati simili possono essere ottenuti con altri agenti, come il colestipolo e Colesevelam.
Quanto tempo devo aspettare per un miglioramento?
I sintomi dovrebbero migliorare entro pochi giorni di terapia continua. Questi farmaci possono essere assunti anche per lungo tempo .IL Dosaggio può essere aumentato o diminuito quando i sintomi si stabilizzano
I sintomi dovrebbero migliorare entro pochi giorni di terapia continua. Questi farmaci possono essere assunti anche per lungo tempo .IL Dosaggio può essere aumentato o diminuito quando i sintomi si stabilizzano
La rimozione di una colecisti chirurgicamente e’ un modo accettato per la terapia?
Colecistectomia (asportazione della cistifellea) non deve influenzare l'esito dei sintomi. Infatti, circa il 10% dei pazienti ha sintomi simili dopo la rimozione della colecisti. Quindi, la rimozione chirurgica della cistifellea nel trattamento della diarrea cronica non è appropriato per questa condizione.
Quante persone soffrono di questa sindrome? Molto probabilmente milioni di persone diagnosticate con "IBS"(colon irritabile o colite spastica) possono avere la sindrome di Habba .Si stima che circa 45 milioni di americani soffrono di "IBS" o condizioni simili. Secondo lo studio il Dott. Habba, il 41% dei pazienti ha avuto la sindrome di Habba.
La maggior parte delle persone accettano diarrea cronica come una forma "normale" della vita e ad imparare a convivere con essa e le sue limitazioni, sociale o altro. Quindi, il problema è molto più grande di quello che possiamo apprezzare.
http://sindromedihabba.it/index_file/Page549.htm
Ipotermia terapeutica correlata alla riduzione della mortalità da arresto cardiaco
L'ipotermia terapeutica può aver ridotto significativamente la mortalità
in ospedale tra i pazienti con arresto cardiaco improvviso tra il 2001 e
il 2009.
Due studi cardine, pubblicati nel 2002, avevano dimostrato una diminuzione di mortalità e morbilità con l'uso di ipotermia terapeutica rispetto alle terapie tradizionali nei pazienti con arresto cardiaco improvviso in ambiente extra-ospedaliero.
Da allora, questo trattamento è stato sempre più utilizzato negli ospedali degli Stati Uniti.
Tuttavia, i tassi di mortalità basati sulla popolazione associati a un arresto cardiaco improvviso non sono stati valutati in questo periodo di tempo.
È stato, pertanto, impiegato il National Inpatient Sample per valutare il tasso di mortalità su 1.190.860 pazienti che sono stati ricoverati in ospedale a causa di un arresto cardiaco negli Stati Uniti tra il 2001 e il 2009.
Il tasso di mortalità è sceso dal 69.6% nel 2001 al 57.8% nel 2009.
Nel corso di 8 anni di studio, la mortalità ospedaliera è stata del 59.5% per i pazienti che avevano un’età inferiore ai 65 anni al momento dell'arresto cardiaco, rispetto al 64.3% nei soggetti di età tra 65 e 79 anni e al 74.6% in quelli con almeno 80 anni ( p inferiore a 0.0001 per tutti ). ( Xagena2012 )
Fonte: American Academy of Neurology, 2012
Cardio2012
Due studi cardine, pubblicati nel 2002, avevano dimostrato una diminuzione di mortalità e morbilità con l'uso di ipotermia terapeutica rispetto alle terapie tradizionali nei pazienti con arresto cardiaco improvviso in ambiente extra-ospedaliero.
Da allora, questo trattamento è stato sempre più utilizzato negli ospedali degli Stati Uniti.
Tuttavia, i tassi di mortalità basati sulla popolazione associati a un arresto cardiaco improvviso non sono stati valutati in questo periodo di tempo.
È stato, pertanto, impiegato il National Inpatient Sample per valutare il tasso di mortalità su 1.190.860 pazienti che sono stati ricoverati in ospedale a causa di un arresto cardiaco negli Stati Uniti tra il 2001 e il 2009.
Il tasso di mortalità è sceso dal 69.6% nel 2001 al 57.8% nel 2009.
Nel corso di 8 anni di studio, la mortalità ospedaliera è stata del 59.5% per i pazienti che avevano un’età inferiore ai 65 anni al momento dell'arresto cardiaco, rispetto al 64.3% nei soggetti di età tra 65 e 79 anni e al 74.6% in quelli con almeno 80 anni ( p inferiore a 0.0001 per tutti ). ( Xagena2012 )
Fonte: American Academy of Neurology, 2012
Cardio2012
Stent medicati associati a ridotta rivascolarizzazione del vaso target
Gli stent medicati sono associati a una significativa riduzione della
rivascolarizzazione del vaso target rispetto agli stent di metallo nudo.
Anche se non ci sono differenze complessive significative nella mortalità cumulativa, re-infarto, o trombosi dello stent, l'analisi ha rivelato che l'incidenza di reinfarto molto tardivo e la trombosi dello stent sono risultate significativamente aumentate con gli stent a rilascio di farmaco.
Ricercatori dell’Università degli Studi del Piemonte Orientalea Novara, hanno effettuato una meta-analisi dei dati di 11 studi che ha incluso 6.298 pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo ( procedura PCI ) per infarto miocardico con sopraslivellamento del segmento ST ( STEMI ).
Di questi, 3.980 ( 63.2% ) sono stati assegnati in modo casuale a ricevere l'impianto di stent a eluizione di farmaco e 2.318 ( 36.8% ) l'impianto di stent di metallo nudo.
Alla fine del follow-up a lungo termine ( in media 1201 giorni ), l'impianto di stent medicati ha significativamente ridotto l'incidenza di rivascolarizzazione del vaso target rispetto agli stent di metallo nudo ( 12.7 vs 20.1%, p inferiore a 0.001 ), senza alcuna differenza significativa in termini di mortalità, reinfarto, o trombosi dello stent.
Inoltre, i pazienti sottoposti a impianto di stent medicati avevano un rischio inferiore del 43% di rivascolarizzazione del vaso target rispetto a quelli sottoposti a impianto di stent di metallo nudo.
Tuttavia, un’ulteriore analisi, utilizzando un modello di Cox con coefficienti di regressione variabili nel tempo, ha mostrato che l'hazard ratio ( HR ) per il reinfarto e la trombosi dello stent è cambiato nel corso del tempo. Ciò ha suggerito che con un follow-up a lungo termine, i tassi di reinfarto e trombosi dello stent sono aumentati in modo significativo nel gruppo con stent medicato rispetto al gruppo con stent di metallo nudo, con hazard ratio di 2.06 e 2.81, rispettivamente ( p minore di 0.04 per entrambi ).
Nonostante questi risultati preoccupanti, questo studio ha mostrato che i benefici degli stent medicati per infarto STEMI superano i rischi potenziali.
La sostituzione di uno stent medicato con uno stent di metallo nudo in 100 pazienti con infarto STEMI non provoca differenze di mortalità, ma è associato a circa 5 interventi di rivascolarizzazione ripetuta in meno.
Di contro esiste l’eventualità di un reinfarto in fase tardiva, con la possibilità che il rischio vero possa essere significativamente più alto. ( Xagena2012 )
Fonte: Archives of Internal Medicine, 2012
Cardio2012
FDA: Azitromicina e rischio di mortalità cardiovascolare
L'FDA ( Food and Drug Administration ) è a conoscenza dello studio
pubblicato su The New England Journal of Medicine, che ha confrontato i
rischi di morte cardiovascolare nei pazienti trattati con Azitromicina (
Zithromax; in Italia: Zitromax ), Amoxicillina ( in Italia: Zimox ),
Ciprofloxacina ( Cipro; in Italia: Ciproxin ), Levofloxacina ( Levaquin;
in Italia: Tavanic ), e nessun farmaco antibatterico.
Lo studio ha riportato un lieve aumento delle morti cardiovascolari, e il rischio di morte per qualsiasi causa, nei soggetti trattati per 5 giorni con Azitromicina, rispetto ai soggetti trattati con Amoxicillina, Ciprofloxacina o nessun farmaco.
I rischi di decesso per cause cardiovascolari associate al trattamento con Levofloxacina sono risultati simili a quelli associati al trattamento con Azitromicina.
I pazienti trattati con Azitromicina non dovrebbe smettere di assumere il farmaco senza prima aver parlato con il proprio medico curante.
Gli operatori sanitari devono essere consapevoli del possibile prolungamento dell'intervallo QT e di insorgenza delle aritmie cardiache in caso di prescrizione o somministrazione di farmaci antibatterici.
Azitromicina appartiene a una classe di farmaci antibatterici denominati macrolidi, che sono stati associati ad effetti cardiovascolari, in particolare, prolungamento dell'intervallo QT.
Il prolungamento dell'intervallo QT può causare torsione di punta, un ritmo cardiaco anormale con conseguenze anche fatali.
L’Azitromicina è stato l'unico macrolide esaminato nello studio pubblicato.
Lo studio non ha valutato altri macrolidi come la Claritromicina ( Biaxin; in Italia: Klacid ) e l’Eritromicina ( in Italia: Eritrocina ), per quanto riguarda il potenziale di morte per cause cardiovascolari
.
Nel 2011, l'FDA aveva esaminato le informazioni nella scheda tecnica dei macrolidi riferite al prolungamento dell'intervallo QT e alla torsione di punta.
La sezione Avvertenze e Precauzioni della scheda tecnica del farmaco Zmax ( Azitromicina a rilascio prolungato per sospensione orale ) è stata modificata nel marzo 2012 per includere nuove informazioni sui rischi riguardo al prolungamento dell'intervallo QT, che sembrano essere bassi.
Anche le schede tecniche di Claritromicina ed Eritromicina, contengono informazioni sul prolungamento dell'intervallo QT nella sezione Avvertenze.
Le indicazioni per Azitromicina, approvate dall’FDA, sono le seguenti: esacerbazioni batteriche acute della malattia polmonare cronica, sinusite batterica acuta, polmonite acquisita in comunità, faringite / tonsillite, infezioni semplici della cute e della struttura cutanea, uretrite e cervicite, ulcere genitali. ( Xagena2012 )
.
Fonte: FDA, 2012
Inf2012 Cardio2012 Farma2012
Lo studio ha riportato un lieve aumento delle morti cardiovascolari, e il rischio di morte per qualsiasi causa, nei soggetti trattati per 5 giorni con Azitromicina, rispetto ai soggetti trattati con Amoxicillina, Ciprofloxacina o nessun farmaco.
I rischi di decesso per cause cardiovascolari associate al trattamento con Levofloxacina sono risultati simili a quelli associati al trattamento con Azitromicina.
I pazienti trattati con Azitromicina non dovrebbe smettere di assumere il farmaco senza prima aver parlato con il proprio medico curante.
Gli operatori sanitari devono essere consapevoli del possibile prolungamento dell'intervallo QT e di insorgenza delle aritmie cardiache in caso di prescrizione o somministrazione di farmaci antibatterici.
Azitromicina appartiene a una classe di farmaci antibatterici denominati macrolidi, che sono stati associati ad effetti cardiovascolari, in particolare, prolungamento dell'intervallo QT.
Il prolungamento dell'intervallo QT può causare torsione di punta, un ritmo cardiaco anormale con conseguenze anche fatali.
L’Azitromicina è stato l'unico macrolide esaminato nello studio pubblicato.
Lo studio non ha valutato altri macrolidi come la Claritromicina ( Biaxin; in Italia: Klacid ) e l’Eritromicina ( in Italia: Eritrocina ), per quanto riguarda il potenziale di morte per cause cardiovascolari
.
Nel 2011, l'FDA aveva esaminato le informazioni nella scheda tecnica dei macrolidi riferite al prolungamento dell'intervallo QT e alla torsione di punta.
La sezione Avvertenze e Precauzioni della scheda tecnica del farmaco Zmax ( Azitromicina a rilascio prolungato per sospensione orale ) è stata modificata nel marzo 2012 per includere nuove informazioni sui rischi riguardo al prolungamento dell'intervallo QT, che sembrano essere bassi.
Anche le schede tecniche di Claritromicina ed Eritromicina, contengono informazioni sul prolungamento dell'intervallo QT nella sezione Avvertenze.
Le indicazioni per Azitromicina, approvate dall’FDA, sono le seguenti: esacerbazioni batteriche acute della malattia polmonare cronica, sinusite batterica acuta, polmonite acquisita in comunità, faringite / tonsillite, infezioni semplici della cute e della struttura cutanea, uretrite e cervicite, ulcere genitali. ( Xagena2012 )
.
Fonte: FDA, 2012
Inf2012 Cardio2012 Farma2012
Iscriviti a:
Post (Atom)